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‘Nessuno è in chiaro, nemmeno le ambasciate’

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«Ho iniziato come tramite di compagnie italiane, portando artisti internazio­nali in Italia e artisti italiani all’estero». Ora, a Londra, Angela Curiello lavora per artisti di qualsiasi calibro all’interno di una delle due big internazio­nali, la Aeg Presents, colosso dell’intratteni­mento live che produce e promuove concerti, eventi musicali, festival anche jazz, dal nord dell’America all’Europa, all’Asia. I suoi uffici supportano gli spostament­i di Taylor Swift, dello Zio Elton, di Paul McCartney, degli Stones, di Ed Sheeran e anche quelli di Katy Perry e Justin Bieber, l’ultimo dei grandi eventi curati prima che il virus se la prendesse anche con il pop. Tra un tour e l’altro, Angela gestisce anche una venue a Londra, l’Indigo, «la sorellina dell’O2», dove l’O2 è l’O2 Arena, attuale tempio dei concerti indoor (e anche dei Masters di tennis).

La Brexit, per Angela, è l’ultimo dei problemi. Nel senso che arriva dopo il Covid. «Ho visto migliaia di concerti cancellati, rinviati più volte», racconta. «Si riponeva qualche speranza nella primavera 2021, ma sappiamo che nulla accadrà». E per una nazione in cui la musica muove miliardi di sterline, che sia l’O2 o l’ultimo dei pub in cui si suona l’ennesima versione di ‘Wanderwall’, lo stop è uno shock: «L’unica misura seria sono stati i fondi andati a sostenere aziende, artisti e strutture che hanno fatto la differenza in Gran Bretagna. Na si parla di mesi fa. Qualcosa ha fatto il furlough (cassa integrazio­ne, ndr), ma anche in questo caso l’ultimo stipendio arriverà ad aprile e poi non si sa cosa succederà». Alle prese con problemi che sono (o sono stati) anche ticinesi – «Ridurre, per garantire il distanziam­ento sociale, un locale di 2’800 persone come l’Indigo a 400 persone rende impossibil­e solo aprirlo» – il futuro, quando arriverà, dovrà anche fare i conti con gli impicci della Brexit: «Le cose non sono chiare. Se l’accordo è stato rifiutato dalla Gran Bretagna, temo si tratti di orgoglio. Ma è solo una mia idea. Si dice che prenderemo accordi con le singole nazioni, ma preoccupan­o i costi aggiuntivi. Non tanto per i più grandi, ma per gli artisti più piccoli da portare in Europa per farli conoscere». Tanto per girare il dito nella piaga: «Ieri in parlamento si doveva decidere di questo». E il parlamento era vuoto. Parafrasan­do il luogo comune, tutto il mondo è Ticino: «Purtroppo sì, è come se si fossero dimenticat­i che l’uomo è anche musica, scrittura, dialogo. Fa specie vedere un settore che porta così tanti soldi a livello di Pil completame­nte ignorato». Premesso che Sting potrebbe pure restarsene a Figline Val d’Arno a produrre vino, conforta il muoversi dei grandi nomi in modo compatto. Incluso il pro-Brexit Roger Daltrey, che ripropone il classico degli Who ‘Won’t Get Fooled Again’, non ci fregherete di nuovo, che sa di dietrofron­t: «Io credo che molti pro-Brexit di settori diversi si stiano rendendo conto di come questa sia un’enorme cavolata, di quanti problemi una decisione come questa porterà. Un accordo approssima­tivo, non discusso nei dettagli. Tutti hanno problemi, anche i pescatori che non possono portare il pescato in Europa». E il Covid, scegliendo un apparecchi­o a caso dal palco, fa da amplificat­ore: «Nemmeno le ambasciate sanno cosa dire. Non c’è chiarezza per noi e nemmeno per l’artista, che soffre il non potersi esibire».

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