Niccolò Castelli e le vite di Allegra
‘Atlas’ del regista ticinese ha aperto, sulle reti Ssr, il festival del cinema svizzero
‘Atlas’ di Niccolò Castelli si apre con una scalata: riprese ravvicinate della protagonista su una parte rocciosa, poi lo sguardo si allarga, scopriamo i suoi amici e infine un campo lungo delle vette delle Dolomiti. Il mondo di Allegra (la brava Matilda De Angelis) è questo: lei, il suo corpo, la sua libertà, la sua amica del cuore Sonia (Anna Manuelli), i loro ragazzi Benni (Nicola Perot) e Sandro (Kevin Blaser), un futuro tutto da costruire. Ma senza fretta: per le responsabilità e gli immancabili compromessi c’è tempo. Un breve stacco e ritroviamo Allegra: rinchiusa in camera, le montagne lontane, dietro le inferriate di un’alta finestra, il corpo ferito, difficoltà di movimento. Cosa è successo lo sappiamo, anche se nel film sarà una lenta rivelazione: mentre i quattro amici si trovavano in Marocco per realizzare il sogno di scalare la catena montuosa dell’Atlante, un attentato ucciderà Sonia, Benni e Sandro e lascerà profonde ferite nel corpo e nella mente di Allegra. Lo sappiamo perché tutti ricordiamo l’attentato di Marrakech del 2011, nel quale morirono tre giovani ticinesi, e il regista Niccolò Castelli non nasconde di essersi ispirato a quel tragico evento che – parole sue – ha infranto quell’illusione di “vivere su un’isola neutrale, libera e felice, riparata dal resto del mondo”.
Ma questa idea dell’illusorio velo di Maya squarciato dall’esplosione è più che altro suggerita: al centro di ‘Atlas’ c’è in primo luogo la lenta e difficile guarigione di Allegra. Guarigione del corpo e guarigione dell’anima procedono di pari passo: tornare a muoversi autonomamente, a correre, magari anche ad arrampicarsi, accettare la morte degli amici, tornare a vivere e anche a divertirsi, superare le paure e i timori verso il diverso, rappresentato nel film da un giovane rifugiato di nome Arad (Helmi Dridi) che Allegra incontra quasi per caso sul bus. Un personaggio interessante, Arad, che forse poteva essere maggiormente sfruttato per raccontare, insieme alle paure di Allegra, quelle della nostra società, ma il sospetto è che non si sia voluto insistere troppo su questo tema per non correre il rischio di mancare di rispetto verso il dolore della protagonista.
‘Atlas’ racconta quindi la vita, le vite di Allegra. E lo fa molto bene: Niccolò Castelli si tiene lontano dalla facile retorica, non rinuncia a un po’ di speranza risparmiando allo spettatore uno stucchevole lieto fine. La regia è ben curata, lenta senza mai annoiare, il montaggio efficace nel suo muoversi avanti e indietro nel tempo, tra la spensieratezza del prima e il disorientamento del dopo, mischiando rievocazioni, ricordi e illusioni, un’ambiguità che riesce persino a ridare dignità all’abusata formula degli “spettri” del passato che popolano lo sguardo della protagonista. Se ‘Atlas’ ha dei limiti, non sono nella regia ma nella sceneggiatura. Mentre la protagonista Allegra risulta ben caratterizzata – per quanto forse un po’ troppo impenetrabile nel dopo l’attentato –, gli altri personaggi sono spesso solo abbozzati, a volte al limite della macchietta. Fulvio, il padre di Allegra, è uno stereotipo che cammina, ripetendo le frasi che ci aspettiamo dica uno che non capisce i giovani ed è pure un po’ razzista: uno spreco, pensando alle potenzialità di un attore come Angelo Bison; appena un po’ meglio per Ludovico, il padre di Sonia, interpretato da Neri Marcorè. Vista la durata non eccessiva del film – siamo poco sotto l’ora e mezza –, ci si poteva prendere qualche minuto in più per dare un po’ di spessore anche agli altri personaggi.