Musica per ascensori o la voce di Rete Due
La musica per ascensori, o musica per ambienti, musica per aeroporti o Muzak (dal nome della principale casa di produzione di questo genere la Muzak Holdings Corporation) è la dimostrazione che ogni linguaggio artistico, anche il più alto, o qualunque veicolo di comunicazione possa essere disattivato, svilito e ridotto a intrattenimento banale e omologato. È composta per una fruizione involontaria e ha lo scopo di riempire discretamente il vuoto degli spazi pubblici privi di qualità come i supermercati, i centri commerciali, gli aeroporti eccetera. Un vuoto che riempie un altro vuoto.
Da molte settimane si susseguono prese di posizione critiche sul progetto di ristrutturazione di Rete Due, che ridurrebbe il parlato drasticamente, cancellando di fatto l’approfondimento culturale, che è oggi la maggiore qualità di questa rete. Non perché la programmazione musicale non sia altrettanto di qualità, ma per la ragione che la programmazione musicale oggi si iscrive in questo progetto di approfondimento culturale. Al di fuori di questo anche la musica sarebbe ridotta alla sua dimensione decorativa, di intrattenimento.
Chi ha preso posizione prima di me ha già saputo individuare e descrivere le ragioni per combattere questo progetto di ristrutturazione.
Il merito di Rete Due negli anni, con intensità diversa, con qualità discontinua, è stato quello di offrire al suo pubblico (che non è rappresentato da pochi esponenti di una riserva indiana di snob, come sostengono i detrattori) l’occasione di un approfondimento attraverso la cultura della nostra contemporaneità. Letteratura, cinema, filosofia, teatro, ricerca scientifica, arti figurative, danza, architettura, concorrono a interrogare la realtà e ci offrono l’occasione di una possibile interpretazione e finalmente l’opportunità di costruire un rapporto con la realtà critico e consapevole. Il ruolo della cultura insomma, che Rete Due, per il nostro territorio, ha avuto il pregio di produrre e di comunicare. C’è una situazione particolare in cui l’interruzione del parlato alla radio mi disturba: l’attraversamento delle gallerie autostradali. Quando imbocco una galleria, quasi sempre mi perdo una parte del discorso o la conclusione di una frase o la risposta a una domanda. Ecco: in questa situazione mi innervosisco e provo la sensazione di aver perso qualcosa. Con un po’ di ironia potremmo considerare questa situazione emblematica (approfitto di questa occasione per chiedere che, in luogo di ridurre il parlato di rete due, ci si organizzasse per trasmettere le sue frequenze dentro le gallerie. Se si può fare per Rete Uno lo si può fare anche per Rete Due) e dichiarare che il progetto di rinunciare all’approfondimento culturale di Rete Due ci innervosisce e ci fa arrabbiare.
Il suo trasferimento sulla rete internet non ci consola nemmeno un po’: la virtù principale del moto delle proposte che ci raggiungono ora dalla radio, si esprime soprattutto nell’esporci a ciò che non conosciamo, a ciò che non sappiamo, a ciò che non andremmo a cercare per conto nostro, spinti dai nostri interessi e dalle nostre competenze.
Non ci consolano nemmeno le dichiarazioni di Gilles Marchand, direttore Srg-Ssr (vedi ‘laRegione’ del 14 gennaio), quando afferma che “ripensare l’offerta culturale non significa indebolire la qualità dei programmi”, perché è certo invece che la riduzione severa del parlato impedisca di fatto qualunque approfondimento, che per sua natura ha bisogno dello spazio e del tempo per potersi esprimere. Le affermazioni del direttore generale: “Ciò che mi sembra importante in questa fase è poter contare sull’apertura di tutti gli ambiti culturali interessati […] mi auguro un dibattito aperto nell’interesse di tutti”, contraddicono curiosamente quanto fatto fin qui con l’elaborazione e la comunicazione del progetto Lyra. La partecipazione e il dibattito aperto sono stati l’espressione di una reazione spontanea, non richiesta, probabilmente sgradita.
Il 13 gennaio è stato reso noto un documento firmato da una larga maggioranza dei collaboratori di Rete Due in cui si esprimono le loro preoccupazioni. Mi aveva sorpreso nelle settimane precedenti il sostanziale silenzio di chi questi contenuti li costruisce, dentro Rete Due e dentro le altre reti e alla televisione. Sorpreso fino a un certo punto, visto che il periodo che stiamo tutti vivendo ci ha abituati, e forse convinti, che la migliore qualità che un cittadino possa esprimere sia l’ubbidienza, la sospensione del giudizio individuale e la convergenza con il moto indicato da chi deve decidere (è difficile non intendere lo smantellamento dell’approfondimento culturale come una misura volta all’indebolimento della capacità critica di ognuno di noi). L’autoritarismo, che non chiede partecipazione nella progettazione delle proprie scelte, probabilmente pretende o, peggio, impone implicitamente, l’assenza di contestazione, di critica, di divergenza. La coincidenza tra sostanza e metodo in questo progetto di ristrutturazione è preoccupante. Nel comunicato i ¾ dei collaboratori di Rete Due esprime preoccupazione per il “disinvestimento della Ssr-Srg Rsi verso l’offerta culturale”. È importante che questa loro voce continui a trovare il sostegno di altre voci che vengano da chi si trova fuori, dal pubblico, da noi.
Scriveva John Lennon a Paul McCartney in una canzone piena di rancore «...the sound you made is muzak to my ears...». Potremmo rivolgere anche noi la domanda che dà il titolo alla canzone, con la stessa rabbia, a chi sta immaginando e realizzando questo progetto, che ci renderà tutti più poveri e meno consapevoli: How do You Sleep? Come dormi la notte?