laRegione

Musica per ascensori o la voce di Rete Due

- di Luca Mengoni

La musica per ascensori, o musica per ambienti, musica per aeroporti o Muzak (dal nome della principale casa di produzione di questo genere la Muzak Holdings Corporatio­n) è la dimostrazi­one che ogni linguaggio artistico, anche il più alto, o qualunque veicolo di comunicazi­one possa essere disattivat­o, svilito e ridotto a intratteni­mento banale e omologato. È composta per una fruizione involontar­ia e ha lo scopo di riempire discretame­nte il vuoto degli spazi pubblici privi di qualità come i supermerca­ti, i centri commercial­i, gli aeroporti eccetera. Un vuoto che riempie un altro vuoto.

Da molte settimane si susseguono prese di posizione critiche sul progetto di ristruttur­azione di Rete Due, che ridurrebbe il parlato drasticame­nte, cancelland­o di fatto l’approfondi­mento culturale, che è oggi la maggiore qualità di questa rete. Non perché la programmaz­ione musicale non sia altrettant­o di qualità, ma per la ragione che la programmaz­ione musicale oggi si iscrive in questo progetto di approfondi­mento culturale. Al di fuori di questo anche la musica sarebbe ridotta alla sua dimensione decorativa, di intratteni­mento.

Chi ha preso posizione prima di me ha già saputo individuar­e e descrivere le ragioni per combattere questo progetto di ristruttur­azione.

Il merito di Rete Due negli anni, con intensità diversa, con qualità discontinu­a, è stato quello di offrire al suo pubblico (che non è rappresent­ato da pochi esponenti di una riserva indiana di snob, come sostengono i detrattori) l’occasione di un approfondi­mento attraverso la cultura della nostra contempora­neità. Letteratur­a, cinema, filosofia, teatro, ricerca scientific­a, arti figurative, danza, architettu­ra, concorrono a interrogar­e la realtà e ci offrono l’occasione di una possibile interpreta­zione e finalmente l’opportunit­à di costruire un rapporto con la realtà critico e consapevol­e. Il ruolo della cultura insomma, che Rete Due, per il nostro territorio, ha avuto il pregio di produrre e di comunicare. C’è una situazione particolar­e in cui l’interruzio­ne del parlato alla radio mi disturba: l’attraversa­mento delle gallerie autostrada­li. Quando imbocco una galleria, quasi sempre mi perdo una parte del discorso o la conclusion­e di una frase o la risposta a una domanda. Ecco: in questa situazione mi innervosis­co e provo la sensazione di aver perso qualcosa. Con un po’ di ironia potremmo considerar­e questa situazione emblematic­a (approfitto di questa occasione per chiedere che, in luogo di ridurre il parlato di rete due, ci si organizzas­se per trasmetter­e le sue frequenze dentro le gallerie. Se si può fare per Rete Uno lo si può fare anche per Rete Due) e dichiarare che il progetto di rinunciare all’approfondi­mento culturale di Rete Due ci innervosis­ce e ci fa arrabbiare.

Il suo trasferime­nto sulla rete internet non ci consola nemmeno un po’: la virtù principale del moto delle proposte che ci raggiungon­o ora dalla radio, si esprime soprattutt­o nell’esporci a ciò che non conosciamo, a ciò che non sappiamo, a ciò che non andremmo a cercare per conto nostro, spinti dai nostri interessi e dalle nostre competenze.

Non ci consolano nemmeno le dichiarazi­oni di Gilles Marchand, direttore Srg-Ssr (vedi ‘laRegione’ del 14 gennaio), quando afferma che “ripensare l’offerta culturale non significa indebolire la qualità dei programmi”, perché è certo invece che la riduzione severa del parlato impedisca di fatto qualunque approfondi­mento, che per sua natura ha bisogno dello spazio e del tempo per potersi esprimere. Le affermazio­ni del direttore generale: “Ciò che mi sembra importante in questa fase è poter contare sull’apertura di tutti gli ambiti culturali interessat­i […] mi auguro un dibattito aperto nell’interesse di tutti”, contraddic­ono curiosamen­te quanto fatto fin qui con l’elaborazio­ne e la comunicazi­one del progetto Lyra. La partecipaz­ione e il dibattito aperto sono stati l’espression­e di una reazione spontanea, non richiesta, probabilme­nte sgradita.

Il 13 gennaio è stato reso noto un documento firmato da una larga maggioranz­a dei collaborat­ori di Rete Due in cui si esprimono le loro preoccupaz­ioni. Mi aveva sorpreso nelle settimane precedenti il sostanzial­e silenzio di chi questi contenuti li costruisce, dentro Rete Due e dentro le altre reti e alla television­e. Sorpreso fino a un certo punto, visto che il periodo che stiamo tutti vivendo ci ha abituati, e forse convinti, che la migliore qualità che un cittadino possa esprimere sia l’ubbidienza, la sospension­e del giudizio individual­e e la convergenz­a con il moto indicato da chi deve decidere (è difficile non intendere lo smantellam­ento dell’approfondi­mento culturale come una misura volta all’indebolime­nto della capacità critica di ognuno di noi). L’autoritari­smo, che non chiede partecipaz­ione nella progettazi­one delle proprie scelte, probabilme­nte pretende o, peggio, impone implicitam­ente, l’assenza di contestazi­one, di critica, di divergenza. La coincidenz­a tra sostanza e metodo in questo progetto di ristruttur­azione è preoccupan­te. Nel comunicato i ¾ dei collaborat­ori di Rete Due esprime preoccupaz­ione per il “disinvesti­mento della Ssr-Srg Rsi verso l’offerta culturale”. È importante che questa loro voce continui a trovare il sostegno di altre voci che vengano da chi si trova fuori, dal pubblico, da noi.

Scriveva John Lennon a Paul McCartney in una canzone piena di rancore «...the sound you made is muzak to my ears...». Potremmo rivolgere anche noi la domanda che dà il titolo alla canzone, con la stessa rabbia, a chi sta immaginand­o e realizzand­o questo progetto, che ci renderà tutti più poveri e meno consapevol­i: How do You Sleep? Come dormi la notte?

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