L’onsernonese alla rivoluzione
Charles-Ferdinand Gambon, dai ‘Gamboni’ di Spruga, nel volume di Luciano Chiesa
L’emigrazione, per diversi secoli, è stata una componente assai rilevante della società e dell’economia ticinesi, e oggetto di un’abbondante storiografia (basti pensare ai documentati libri di Giorgio Cheda). Un singolare prodotto dell’emigrazione in Francia nel secolo XVIII fu l’attività politica di un discendente di una famiglia onsernonese, attiva nel commercio a Bourges, il quale fece parte, con una presenza costante e convinta, di quel vasto movimento che operò a favore dell’instaurazione della Repubblica e della democrazia. E ciò in aspro contrasto con i regimi monarchici che dominarono la società francese fino al 1870: dall’impero del primo Napoleone alla monarchia borbonica, da quella orleanista all’impero di Luigi Napoleone. Charles-Ferdinand Gambon, (la versione francese di ‘Gamboni’, famiglia di Spruga), 1820-1887, è l’appassionante oggetto di un avvincente libro di Luciano Chiesa: ‘Dall’Onsernone alla Francia’, ed. Dadò, 2020). L’opera ripercorre tutta la vita e l’attività politica del protagonista che, ispirandosi costantemente agli ideali di libertà e giustizia, da realizzarsi nella Repubblica sociale, operò instancabilmente a favore della “vera carità” che “consiste a rendere giustizia a tutti con la legge e a non mantenere la servitù e la miseria con l’elemosina. Per cui, come scrisse negli anni maturi, per l’affermazione della giustizia, “ero diventato un soldato della rivoluzione. Allora ebbi contro di me l’odio implacabile dei nemici di ogni progresso, di ogni libertà”. Fondamentalmente socialista, aderì a diverse formazioni della sinistra, animate da questi sentimenti.
Combattente per natura L’attività politica di Gambon si svolse a livello locale, nel dipartimento della Nièvre, dove fu eletto sia a cariche comunali sia all’assemblea generale, ma anche a Parigi, dove si spostava in occasione dei grandi eventi rivoluzionari, ai quali partecipava in prima persona. Parigi non era solo la capitale della Francia, ma anche, in contrapposizione al resto del paese, il centro rivoluzionario, dove fermentavano e si esprimevano con l’azione le nuove idee contro il potere costituito. In questo contele sto, egli portava il suo entusiasmo e la sua voglia di cambiamento a favore degli umili. Già da molto giovane, durante gli anni del regno di Louis Philippe, anche nella sua qualità di consigliere municipale, Gambon frequentava gli ambienti rivoluzionari, facendosi notare per le sue opinioni repubblicane e socialmente avanzate. Ma fu soprattutto nel 1848 che esplose la sua natura di combattente, in occasione della rivoluzione scoppiata a Parigi in febbraio. Grazie alla notorietà acquisita, Gambon fu eletto all’Assemblea costituente, incaricata di fissare le basi della nuova Repubblica. Con i massimi esponenti della sinistra parlamentare, fu il fondatore di un’organizzazione che raggruppava tutte le forze democratiche francesi, e che si adoperò per far approvare i principi che avevano presieduto alla caduta della monarchia.
Ma le forze conservatrici, guidate da LouisNapoléon Bonaparte, riuscirono a capovolgere le cose, sconfiggendo le idee della sinistra e indirizzando la Francia verso uno stato autoritario. Crollarono così i tentativi di conquistare i ceti più deboli (in parte suggestionati dal Bonaparte) e di affermare la supremazia del popolo sulla classe dirigente corrotta, e con essi gli ideali repubblicani e sociali di coloro, primo fra tutti Blanqui, il rivoluzionario per eccellenza, che avevano fermamente sognato un capovolgimento della situazione politica. Per questi idealisti, la sconfitta politica (culminata con l’instaurazione dell’impero napoleonico, mediante una sanguinaria azione di forza, il 2 dicembre 1851) fu purtroppo accompagnata da un’accusa arbitraria di attentato alla Repubblica e di cospirazione contro il governo, che sfociò, da parte di un tribunale asservito al nuovo despota, in una condanna di deportazione a vita per i dirigenti delle forze antibonapartiste, tra i quali Gambon. Per lui, come per gli altri, seguirono 8 anni di carcere durissimo, in condizioni disumane, in una remota fortezza sull’isola di Belle-Ile, sull’Atlantico.
Il calvario terminò nel 1859, dopo 10 anni, per un’amnistia imperiale. Ritornato libero, Gambon proseguì la sua decisa opposizione al regime autoritario di Napoleone III, operando nella Nièvre dove erano numerosi coloro che condividevano le sue idee e che potevano collaborare con lui, con dovute precauzioni. Nel 1869 si presentò, per la sinistra repubblicana, a una elezione parziale per il parlamento nazionale, ma la spuntò il candidato governativo. Nel frattempo maturavano grandi avvenimenti. L’azione politica più significativa nella vita di Gambon fu la sua attiva partecipazione alle vicende della ‘Commune’ parigina. Questa era il seguito della pesante sconfitta subita dall’esercito napoleonico a Sedan, nel settembre 1870, ad opera delle truppe prussiane, e del relativo crollo, dopo pochi giorni, dell’impero. A quel momento Parigi divenne il centro delle speranze e dell’impegno politico e militare dei repubblicani e di chi aspirava alla Repubblica sociale, e ciò in contrapposizione al resto della Francia, che aderiva alle varie forze moderate, favorevoli a una soluzione che non implicasse un mutamento radicale. Significativo il fatto che nella Nièvre, con a capo Gambon, un evento rivoluzionario fosse scoppiato già nell’aprile. Benché represso, fu un segnale importante per chi sognava nuovi e diversi orizzonti. Egli, fedele ai suoi convincimenti, si spostò a Parigi non appena proclamata la Repubblica dalle municipalità parigine, e partecipò quindi, in veste di protagonista accanto ai tradizionali capi della sinistra, alle vicende della Commune. Fra l’altro, fu autorevole membro del Comitato di Salute Pubblica. Si batté valorosamente anche negli scontri militari, e restò sulle barricate fino all’ultimo, quando le truppe del governo installatosi a Versailles stroncarono i Communards, compiendo una carneficina: Gambon scampò alla morte per puro caso.
L’unica soluzione poteva essere l’esilio; scelse, a ricordo della sua patria, la Svizzera, meta per la sua politica tollerante dei perseguitati politici, e si soffermò in diverse città romande. Per la sua partecipazione alla Commune, Gambon fu condannato a Versailles in contumacia a una pena di 20 anni e successivamente, nel 1872, alla pena capitale. Soggiorno obbligato, quello in Svizzera, con una capatina in Ticino, dove, a Locarno, incontrò Bakunin, che attendeva di trasferirsi alla Baronata. Non è escluso che in quell’occasione Gambon abbia incontrato suoi estimatori onsernonesi. Anche nell’esilio, egli fu molto attivo, specie a Ginevra dove, costantemente spiato da agenti francesi, funse da capo dei rifugiati, tenendosi informato delle vicende del suo paese, e preparando future azioni per una repubblica sociale, in opposizione a quella moderata instaurata da coloro che avevano stroncato la Commune.
Gli ultimi anni
Su proposta di Victor Hugo e di altri deputati, nel 1879 fu votata un’amnistia parziale, seguita da una grazia governativa. Gambon poté quindi ritornare in Francia, dove riprese la sua attività politica contro la maggioranza. Con l’appoggio dei radicalsocialisti, riuscì pure a vincere, nel 1882, un’elezione parziale nella Nièvre, rientrando nel Parlamento. Da cui proseguì la sua battaglia, per una drastica modificazione della Costituzione. Obiettivi: una vera repubblica sociale, l’abolizione del Senato, la laicità dello Stato, la riforma delle istituzioni, il cambiamento nell’esercito (con modello quello svizzero) e misure a favore dei meno abbienti.
In questa azione si distanziò dal partito radical-socialista per operare con le varie formazioni della sinistra: anche se grazie alla Commune era stata conquistata la Repubblica, l’assetto istituzionale non corrispondeva agli ideali da lui difesi per tutta la vita. È quindi con la delusione dello sconfitto che trascorse i suoi ultimi anni. La lettura del documentato libro di Luciano Chiesa è molto stimolante. Esso descrive la vita politica di un discendente di famiglia onsernonese, ma anche l’atmosfera politica e ideologica che, nella Francia di fine ’800, ha presieduto all’affermazione delle istituzioni democratiche che ci regolano tuttora. E ci dà pure conto di un dissidio tra le due forze democratiche: quella liberale, che si è poi affermata, e quella di stampo socialista che, grazie alla convinta difesa della libertà e dell’uguaglianza tra cittadini, ha pure contribuito, con forte spinta sociale, a maturare una democrazia pluralista. Considerazioni ancora oggi da meditare.