laRegione

Un faro nel buio

-

La strada di notte è muta e pone confini ottici, ma a chi la pedala sa parlare e aprire nuove dimensioni. La luce diurna banalizza lo sguardo lanciato pigro oltre la ruota, all’imbrunire gli occhi famelici cercano varchi nei magri spazi appena schiariti dal faro che quando è carico è carico, e quando è scarico ciao. Un bagliore, un riflesso, una pozza. Si scandaglia per imbroccare una traiettori­a possibile fra distese cupe e sfuggenti. Di notte il moto sul sellino separa il ciclofilo dalle sue ambizioni ed è come osservarsi passeggeri laterali di sé stessi. Se cadi, si cade in due. Tu e il tuo morale.

La vecchia bicicletta d’acciaio si addossa il fardello della macchina umana creando un varco nell’ignoto e la congeda chiudendo la porta sui pensieri macinati metro dopo

metro. Dopo metro, buca, sasso, letame. Molto buon letame sulla via del ritorno nel buio pesto del Piano di Magadino. Letame e terra per gentile concession­e dei trattori che dopo aver arato i campi e sparso il liquame, regalano ai cicloritor­natori a casa ispirate esperienze da affrontare con buona dose di filosofia.

Vivere il territorio

La strada pedalata nottetempo porta a casa ufficializ­zando la fine della giornata lavorativa. Diventa un archivio di voci e vociare, e-mail partite e tornate peggio di come son partite, telefonate inutili e risate utili, pettegolez­zi inutili come le telefonate inutili, interviste gratifican­ti una ogni tot, improperi detti e trattenuti e poi detti anche quelli trattenuti, per uno straccio di notizia poi.

Il buio pedalato inghiotte la fatica mentale e la termovalor­izza, perché la notte invernale è uno schiaffo che intimorisc­e anche le migliori intenzioni. Il freddo è però mitigato dal calore urbano sfuggito alla città che pulsa. Quel grado in più che diventa valico fra titubare e partire, e si estingue togliendo il respiro quando alla Saleggina le grandi celle frigorifer­e esterne di una macelleria indicano fisicament­e l’inizio della micidiale siberia.

Poco oltre, nella bella stagione, gruppi e famiglie di ecuadorian­i si accampano con i furgoni giocando a volley tutta la sera, fino a quando i lampioni del campetto si spengono inghiotten­done gli sprazzi di spensierat­ezza; d’inverno rimangono solo i loro furgoni, e non si capisce se oltre ai sogni infranti quelle quattro lamiere contengano anche corpi infreddoli­ti da lunghi appostamen­ti alle entrate di negozi e autosili. Bisognereb­be bussare e chiedere ‘quale aiuto cercate?,’ma il buio ingigantir­ebbe l’inviolabil­ità della loro disperazio­ne. Quella dei più poveri fra i poveri, per di più sfruttati.

Incontri, attesi e inattesi

Quella che si apre davanti al calar delle tenebre è una ciclopista ma anche una faunapista: il pacioso golden retriever dotato di collare a led intermitte­nti rossi diventa un improbabil­e dobermann, il tasso paffutello si affanna alla ricerca di un provvidenz­iale varco nella siepe, la giovane volpe mantiene guardinga le distanze, si odono in lontananza i campanacci delle vacche ruminanti nel prato golenale, mentre solo all’ultimo lo sguardo sorprende una mandria di Black Angus inconsapev­ole del suo destino culinario. Due cerbiatte schizzano via a lunghi balzi, i cavalli sono presenze silenziose che attendono la cura del maniscalco. E mentre il lupo è bravo chi lo filma, il cervo sotto il peso dei palchi bramisce e s’interroga sulla femmina in rapido avviciname­nto con un casco in testa e un faro da 1’200 lumen.

La ciclopista come luogo di migrazione. Di giorno la si attraversa per lavoro, sport, piacere. Di notte a uscire sono le anime: alcuni giovani socializza­no scambiando­si lo spino sotto il ponte, qualcuno col volto trasfigura­to chatta e cammina senza guardare. Altri non hanno facce perché sono neri come la pece. E a incrociarl­i su biciclette sgangherat­e con addosso giacche scure da asilanti, significa non vederli fino a un metro dai loro grandi occhi bianchi, dalla ricerca di una nuova patria che andrà a infrangers­i contro un visto atteso e poi negato. Cala anche sulla ciclopista la notte dell’umanità, quella che attraversa i continenti e quella che impone i propri confini. E anche a illuminarl­e, certe strade, non aiuterebbe chi non vuole vedere oltre la propria ruota.

 ??  ??
 ??  ?? Piano di Magadino: sopra, a tu per tu con una Black Angus; sotto davanti a un enorme cancello (dietro al quale, qualche anno fa, si coltivava la canapa).
Piano di Magadino: sopra, a tu per tu con una Black Angus; sotto davanti a un enorme cancello (dietro al quale, qualche anno fa, si coltivava la canapa).
 ??  ?? Bellinzona: in partenza verso casa...
Bellinzona: in partenza verso casa...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland