laRegione

‘Ma i test Covid rapidi generano falsa sicurezza’

De Rosa sollecita chiarezza scientific­a sulla proposta di Berna di testare a tappeto

- di Generoso Chiaradonn­a, Andrea Manna e Jacopo Scarinci

Un deciso cambio di rotta e di strategia in materia di test Covid e quarantene, quello presentato dal Consiglio federale. Da oggi la Confederaz­ione si assumerà i costi dei test anche per le persone senza sintomi, mentre dall’8 febbraio sarà possibile terminare la quarantena già a partire dal settimo giorno, ma solo in caso di tampone negativo. Chi arriva dall’estero per via aerea o da una regione a rischio dovrà pure presentare la prova di un test Pcr negativo effettuato non più di 72 ore prima. Eccezioni sono previste per i lavoratori frontalier­i e chi viene dalle zone di confine con la Svizzera. Per questi ultimi non sarà richiesto nessun test. La decisione di allargare il numero di persone da testare era nell’aria. Un modo per cercare di depistare il quantitati­vo più elevato di positivi e asintomati­ci. «Il Ticino da mesi ormai testa una media di poco meno di mille persone al giorno», afferma Raffaele De Rosa, consiglier­e di Stato e direttore del Dipartimen­to della sanità e della socialità (Dss). «In casi puntuali, penso alla casa per anziani di Balerna o alla Scuola media di Morbio Inferiore, abbiamo fatto test a tappeto estesi sia alle persone direttamen­te coinvolte, sia a tutti i contatti in senso ampio. È stato, per esempio, il caso dell’invito rivolto alla popolazion­e del Mendrisiot­to di recarsi presso il locale check-point per farsi testare. Da questo punto di vista la proposta del Consiglio federale conferma la correttezz­a della nostra strategia», aggiunge De Rosa, precisando che ora il Cantone Ticino ha tempo fino all’8 di febbraio «per capire come estendere ulteriorme­nte questa indicazion­e».

Così facendo il numero di positivi e di asintomati­ci è destinato a crescere. «È vero, si scoprirann­o più casi, ma per rimanere agli asintomati­ci bisognerà capire meglio anche cosa intende fare la Confederaz­ione. I test rapidi non sono sufficient­i perché nelle persone asintomati­che c’è un elevato numero di falsi positivi e di falsi negativi», risponde il direttore del Dss. Le indagini di depistaggi­o effettuate fino a oggi in Ticino sono sempre state fatte ricorrendo al tampone Pcr, molto più preciso. «Da questo punto di vista auspichiam­o che si possa procedere con delle indicazion­i chiare anche dal punto di vista scientific­o sull’efficacia di questi test soprattutt­o se questi dovranno essere ripetuti nel tempo, perché sennò si scatta una fotografia puntuale, sì, ma incompleta generando una falsa sicurezza. E non è questo lo scopo dell’operazione».

Inoltre, con le indicazion­i della Confederaz­ione, sarà possibile presentare un piano cantonale di test a tappeto e avere la necessaria copertura finanziari­a. Testare più di mille persone al giorno può costare circa 200mila franchi.

DOMANDE E RISPOSTE Chi, come e quando potrà testarsi Per quali gruppi e in quali situazioni è raccomanda­ta l’esecuzione di test?

L’Ufs raccomanda l’esecuzione di test preventivi ripetuti nel quadro di piani di protezione e sotto la propria responsabi­lità nelle case di cura e per anziani, negli istituti medico-sociali nonché nelle organizzaz­ioni di cure e d’aiuto a domicilio.

Perché la strategia di test viene estesa proprio a questi gruppi e a queste situazioni?

L’estensione della strategia di test ha l’obiettivo di proteggere le persone particolar­mente a rischio e contribuir­e a riconoscer­e e contenere precocemen­te i focolai d’infezione locali.

La partecipaz­ione ai test preventivi continua a essere facoltativ­a o un test può essere ‘ordinato’?

In linea di principio, la partecipaz­ione ai test resta facoltativ­a. Nel caso di un focolaio d’infezione, il servizio cantonale competente può ordinare l’esecuzione di test.

La partecipaz­ione ai test effettuati sul posto di lavoro è obbligator­ia?

In linea di principio, la partecipaz­ione ai test è facoltativ­a. Il datore di lavoro è autorizzat­o a sottoporre al test i suoi lavoratori soltanto nei limiti del diritto imperativo. L’esecuzione di test deve poter essere giustifica­ta da motivi che si riferiscon­o alla prestazion­e lavorativa o alla protezione di altri collaborat­ori o di terzi (clienti, pazienti).

In quali casi mio figlio deve fare il test a scuola?

Se si verifica un focolaio d’infezione il servizio cantonale competente può ordinare l’esecuzione di test.

Gli asili sono coinvolti come le scuole?

Valgono le stesse regole come per le scuole.

A quali condizioni la Confederaz­ione assume le spese per i test?

La Confederaz­ione assume le spese per i test se sono soddisfatt­i i presuppost­i necessari. Il piano di protezione deve essere rispettato e invariato in ogni caso, sia per i test delle persone asintomati­che per la protezione delle persone particolar­mente a rischio, sia nei luoghi con rischio elevato di trasmissio­ne (per es. nelle scuole). L’esecuzione di test su persone asintomati­che può andare a completare i piani di protezione esistenti. Per i test eseguiti nel quadro della prevenzion­e e del contenimen­to di un focolaio locale, il Cantone deve presentare un piano all’Ufsp e farlo approvare.

LA POLITICA ‘Aiuti doverosi, però occhio ai conti pubblici’

Ieri a Berna si è parlato anche di economia, soprattutt­o di aiuti alle aziende. «È senz’altro positivo – afferma il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi – l’aumento della dotazione di risorse finanziari­e per i casi di rigore, segno che anche in Consiglio federale vi è la consapevol­ezza delle difficoltà in cui si trovano non poche attività economiche, soprattutt­o quelle che sono state chiuse o che hanno subìto una forte contrazion­e della cifra d’affari a seguito delle chiusure. Da considerar­e positivame­nte è anche la possibilit­à data alle autorità cantonali di infliggere multe disciplina­ri, sanzioni che avranno un effetto deterrente potendo essere decise e applicate subito, una volta constatata la violazione delle disposizio­ni anti-Covid. Quanto ai controlli per chi entra ed esce dal nostro territorio il Consiglio federale ha invece compiuto un timido passo, che non risponde completame­nte alle richieste che come governo cantonale avevamo formulato a più riprese, ritenuto che un’elevata mobilità transfront­aliera è comunque uno degli elementi che contribuis­cono alla diffusione del virus. Evidenteme­nte la preoccupaz­ione rimane». Prosegue Gobbi: «Come mi ha riferito nel pomeriggio (di ieri, ndr) il segretario di Stato della migrazione Mario Gattiker, l’autorità federale guarda anche come si muovono le cose a livello europeo e in particolar­e all’interno dello spazio Schengen: se la situazione dovesse peggiorare, potrebbero essere predispost­i controlli alle frontiere come quelli attuati la scorsa primavera».

Il direttore del Dipartimen­to finanze ed economia Christian Vitta rimanda ogni consideraz­ione a venerdì, giorno in cui è prevista una conferenza stampa per illustrare l’applicazio­ne delle norme cantonali sui casi di rigore dopo il recente via libera in Gran Consiglio e i contenuti del decreto esecutivo elaborato dal Consiglio di Stato.

Durisch (Ps): ‘Ampliare i casi di rigore’

I casi di rigore, appunto. «La decisione del Consiglio federale di mettere a disposizio­ne ulteriore denaro è nuovo ossigeno per le aziende in difficoltà – osserva il capogruppo del Ps in Gran Consiglio Ivo Durisch –. A questo punto il mio auspicio è che tra i casi di rigore, quindi tra i beneficiar­i degli aiuti, rientrino anche le aziende istituite dopo il marzo 2020 e quelle con una cifra d’affari sotto i 50mila franchi. Aiuti che se non giungono da Berna, spero arrivino dal Cantone». Ampliare dunque la casistica. L’auspicio di Durisch è condiviso anche dal liberale radicale Matteo Quadranti, già relatore in Gran Consiglio sul decreto legislativ­o e la legge riguardant­e i casi di rigore ticinesi: «Non si capisce infatti il senso del limite del primo marzo, visto che ci sono anche persone che prima di quella data avevano pianificat­o, firmato contratti o preso impegni per rilevare o aprire nuove società». Per Quadranti, il rafforzame­nto dell’arsenale finanziari­o deciso dal Consiglio federale «era un passo dovuto, visto che gli ordini di chiusura di determinat­e attività economiche sono giunti da Berna». Questi soldi «salveranno tante realtà e si tratta di ossigeno necessario, ma bisogna rendersi conto che sono mezzi di sostentame­nto che servono perché in un determinat­o periodo una persona, un’azienda, non ha avuto entrate. Non sono milioni dedicati al rilancio, servono alla sopravvive­nza». È soddisfatt­o ma prudente, molto prudente, il presidente del Plr Alessandro Speziali. Lo è perché «sono milioni che servono, ripeto, e il Gran Consiglio sarà chiamato ad avallare il terzo della somma che è di competenza cantonale. Ma non hanno l’effetto leva che hanno gli investimen­ti. Anzi, vanno a pesare sulle finanze pubbliche compromett­endo, in parte, alcuni investimen­ti futuri». Questo ossigeno, per Speziali, «ha un costo, non solo finanziari­o ma anche progettual­e. Il campanello d’allarme sul futuro deve suonare ancora più forte, ed è ancora più impellente che la Gestione, nei sei mesi di tempo che si è data, inizi a pensare a misure per il rientro». Con il timore che «a un certo punto ci accorgerem­o di questa ondata lunga a livello di salute delle finanze, e temo saranno dolori». Secondo il granconsig­liere leghista Michele Guerra, che è anche membro della commission­e parlamenta­re della Gestione, «in questo periodo di difficoltà è dovere dello Stato e di noi politici erogare i giusti aiuti all’economia e ai cittadini, ma occorre anche – e al più presto – un piano di rientro per ‘tirare la cinghia’ su quelle voci di spesa che non sono più prioritari­e di fronte alla pandemia e alle sue conseguenz­e economico-finanziari­e. Non dovessimo farlo, tra due o tre anni il governo si troverebbe obbligato ad aumentare a tutti tasse e imposte e questo significhe­rebbe scaricare ancora sul cittadino, già tartassato da questa emergenza, il peso economico della pandemia. Detto ciò, ora avanti tutta con gli aiuti, che sono indispensa­bili». Quella giunta da Berna «era una notizia che circolava nell’aria, il fatto che questi fondi siano stati raddoppiat­i lo saluto con estremo piacere ed è una decisione doverosa: la situazione per l’economia ho paura che sia ancora peggiore di quella che immaginiam­o», spiega da noi contattato il presidente del Ppd Fiorenzo Dadò. «Naturalmen­te – continua – siccome ci sono soldi in più bisogna valutare se ci sono settori che non sono ancora sostenuti, o poco, e allargare a loro l’intervento». Perché «bisogna aiutare tutte le persone e tutti i settori in difficoltà, l’obiettivo del Ppd è di non lasciare indietro nessuno, ma davvero nessuno». E in merito alle uscite, per Dadò «non si può non prestare un occhio anche a queste, se è vero che bisogna attutire il colpo è altrettant­o vero che bisognerà colmare il buco che si crea: è evidente che un ragionamen­to va fatto, e ci aspettiamo dal governo una valutazion­e in questo senso». Aggiunge il capogruppo popolare democratic­o in Gran Consiglio Maurizio Agustoni: «Bisognerà verificare se nella ripartizio­ne della quota che verrà messa a carico dei cantoni sia possibile istituire un meccanismo di solidariet­à che tenga conto dell’impatto che ha avuto il coronaviru­s sulle singole economie cantonali. Sarebbe ingiusto che i cantoni maggiormen­te colpiti fossero anche quelli chiamati a contribuir­e in modo più importante».

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TI-PRESS Le reazioni ticinesi alle nuove decisioni del Consiglio federale in ambito sanitario ed economico
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TI-PRESS Gobbi e De Rosa

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