Come misurare il tempo di lavoro effettivo?
Capita, ancora oggi nel terzo millennio, che i colleghi ci guardino con malcelata disapprovazione se arriviamo in ufficio per ultimi. Allo stesso modo, possiamo incontrare qualche sopracciglio sollevato se abbandoniamo la scrivania per primi per tornare a casa. I sindacati, poi, si sono spesso impuntati su rigide definizioni del tempo di lavoro effettivo. Dato che la produttività di chi lavora, specialmente in occupazioni complesse, è per sua natura difficile da misurare, la tentazione di associarla a qualcosa di immediatamente misurabile (le ore trascorse incollati alla scrivania) è senza dubbio forte. Tuttavia concentrarsi sul tempo effettivo trascorso in ufficio rischia di dare gli incentivi sbagliati. È noto, ad esempio, che in Giappone gli impiegati rimangono in ufficio più tempo del necessario, fino a notte fonda, quando non hanno più alcun compito da svolgere, pur di mostrare ai propri superiori la propria dedizione. Un simile comportamento si traduce dal punto di vista sociale in un puro e semplice spreco di risorse in quanto gli stessi lavoratori farebbero meglio ad andare a casa a dormire, in modo da essere più riposati e dunque in grado di commettere meno errori il giorno seguente. Nel suo libro “Deep work”, Cal Newport spiega che per effettuare un lavoro di alta qualità intellettuale è necessario ritagliarsi degli ampi spazi di tempo non interrotto da altre attività. Dunque la mattinata piena di telefonate, e-mail a cui rispondere immediatamente e riunioni con superiori e colleghi non rappresenta effettivamente il contesto migliore per poter rif lettere e avere idee innovative. Ovviamente alcune attività lavorative, come ad esempio il servizio ai clienti oppure le attività di vendita e di management, non permettono di isolarsi dalle interruzioni. Tuttavia sono sempre più numerose le attività del settore terziario, e in particolare del cosiddetto terziario avanzato, che richiedono la capacità di studiare e risolvere problemi complessi, si pensi ad esempio a tutti i campi della ricerca scientifica. Per svolgere compiti complessi Newport consiglia di isolarsi da tutte le distrazioni (spegnere il cellulare, disattivare gli allarmi che avvertono della ricezione delle e-mail e così via) o se possible meglio ancora lavorare in una stanza priva di connessione Internet. Certo, per molte attività, ad esempio di ricerca, Internet è indispensabile, ma in quel caso Newport consiglia di limitarne l’uso a dei momenti prestabiliti e ben autodisciplinati. Se si riesce ad essere concentrati e ad evitare le distrazioni, ecco che non è più necessario trascorrere la gran parte della giornata alla scrivania. Al contrario, poche ore di lavoro intenso (deep work, appunto) possono valere più di un’intera giornata. L’attuale crisi della COVID, tra le altre cose, dovrebbe farci rif lettere ulteriormente sul fatto che solo perché le persone stanno lavorando da casa non significa che non stiano producendo. Al contrario, in alcuni casi (si legga: in assenza di responsabilità di cura, ad esempio per dei bambini nel nucleo familiare) la produttività a casa potrebbe essere persino maggiore di quella abituale sul posto di lavoro. L’idea è che bisognerebbe concentrarsi di più su misure della qualità del lavoro svolto, piuttosto che della mera quantità di ore lavorate. * economista