E poi venne lo smart working
Ma in questi mesi siamo di fronte alla necessità di gestire modi nuovi di lavorare, il lavoro a casa. Dapprima gradito a molti, divertente, più f lessibile e vario, con lunghe pause di disimpegno. Impossibile misurare come prima la intensità del lavoro di un addetto al marketing, più facile valutare quello di un servizio alla fatturazione, col numero di fatture al giorno.
D’altra parte, dopo mesi di lavoro da casa, si sentono fra gli impiegati sempre di più frasi di rimpianto per le ore di lavoro trascorse insieme in ufficio. Da casa manca, per certe professioni, un confronto continuo e una conseguente produzione di ipotesi e di costruzioni operative intorno ad un progetto. Erano le frasi come «oppure potremmo invitarli tutti insieme in un pulmino così cominciano a conoscersi». «Ma no!!!, che magari viene fuori il problema della cattiva accoglienza all’aeroporto» (che è una tipica conversazione sulla organizzazione di un congresso di medici e del loro trasporto dall’hotel al palazzo congressuale). Si potrebbe quindi concludere, molto grossolanamente, che il lavoro da casa invece che dagli uffici non è il classico lavoro di gruppo, interattivo e spontaneo. Una call on line è per forza di cose la somma di interventi individuali ordinati e distinti. Difficile notare le smorfie di disapprovazione dei partecipanti, o la loro partecipazione. Non è raro che il loro atteggiamento faccia dubitare che veramente partecipino al dibattito, a volte sembra guardino altri documenti, specie se in quel momento l’argomento non è proprio la loro specialità. Si è venuto a creare un nuovo “tempo di lavoro”, incontrollabile dai capi responsabili e meno fruibile. E non è sempre gradito dagli impiegati, tanto che in certe banche si cerca di “schivare” il lavoro a casa perché considerato alienante, fa sentire estranei al lavoro stesso e al team di appartenenza. In questo senso si può dire che la pandemia ci ha cambiato la vita, almeno in parte. Sta all’uomo adattarsi e trarne i vantaggi, ma con giudizio.