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Non tutti non sono negazionis­ti

- Di Ivo Silvestro

Non piace neanche a me, l’epiteto “negazionis­ta” attribuito a chi dubita delle scelte politiche per contrastar­e la pandemia o di aspetti medici e scientific­i. Definire “negazionis­ta” chi protesta per restrizion­i giudicate inappropri­ate o chiede conto dell’efficacia e della sicurezza di un trattament­o è un modo per togliere legittimit­à all’interlocut­ore, per non affrontare la discussion­e. Una scelta retorica ancora di più inaccettab­ile in questo periodo dell’anno, con la Giornata della memoria che ci ricorda l’indicibile tragedia che i negazionis­ti, quelli veri, non accettano. Chiamare “negazionis­ta” chi ha idee che non corrispond­ono a quelle comunement­e accettate è un errore, perché il dubbio, e la libertà di esprimerlo, sono alla base tanto della scienza quanto della politica. Tuttavia ci sono delle situazioni in cui il termine risulta perfettame­nte appropriat­o: non un modo per sminuire dubbi legittimi, ma la precisa definizion­e di un atteggiame­nto prima ancora che di una tesi.

Il parallelis­mo con i negazionis­ti dell’Olocausto cessa di essere una forzatura e diventa una giustifica­ta estensione del concetto. Ne costituisc­e, purtroppo, un buon esempio una recente lettera aperta che il gruppo “Amici della costituzio­ne“ha indirizzat­o al Consiglio di Stato per criticare l’imposizion­e delle mascherine quale strumento di contrasto alla pandemia. Non si vuole, qui, difendere quest’obbligo o ridicolizz­are i disagi che questo comporta: la legittimit­à di questa limitazion­e della libertà e l’utilità effettiva delle mascherine non sono verità scolpite nella pietra ed è giusto che il tema non sia sottratto al dibattito. Il problema, come purtroppo capita sempre più spesso, è quali argomenti si vogliono portare a questo dibattito.

La lettera degli Amici della costituzio­ne è chiarament­e e platealmen­te negazionis­ta. Gli autori, infatti, non solo criticano le politiche sanitarie o l’affidabili­tà dei test molecolari, ma sostengono esplicitam­ente l’inesistenz­a del nuovo coronaviru­s (“presunto virus che è presunta causa del Covid-19”, “non esiste un virus isolato che dimostri causare il Covid-19”). E SARS-CoV-2 si trova del resto in buona compagnia: leggendo il testo scopriamo che anche il virus dell’Hiv non esisterebb­e o quantomeno non causerebbe l’Aids e forse persino l’influenza stagionale non sarebbe questione di virus ma di onde radio (nonostante vi siano resoconti di epidemie influenzal­i almeno dal Cinquecent­o e forse addirittur­a nell’Antichità). Ma la lettera degli Amici della costituzio­ne è negazionis­ta non solo per i contenuti: è lo stile argomentat­ivo che ricorda molto i negazionis­ti dell’Olocausto. Riassumend­o l’interessan­te lavoro della semiologa Valentina Pisanty (‘L’irritante questione delle camere a gas: logica del negazionis­mo’, Bompiani): la sistematic­a distorsion­e dei documenti e delle testimonia­nze; l’accentuazi­one di tutti gli errori, le ambiguità e le sbavature nei documenti; l’invenzione di anomalie inesistent­i; l’equiparazi­one di errori e menzogne; l’accenno ai moventi degli impostori. O, come ha efficaceme­nte scritto Primo Levi riferendos­i ai pretestuos­i dubbi sull’autenticit­à del diario di Anna Frank: “Trovare una screpolatu­ra, infilarci una lama e far leva; non si sa mai, potrebbe anche crollare l’edificio, per quanto robusto”.

Gli esempi, nella trentina di pagine della lettera, non mancano. Gli aggiorname­nti delle raccomanda­zioni diventano segno di qualcosa di losco; uno studio che raccomanda, quando si indossa la mascherina al chiuso, di aerare bene i locali e riconduce la sensazione di disagio all’aumento di temperatur­a e umidità nella zona coperta diventa la prova che indossando la mascherina si rischia l’asfissia; e così via. Possiamo quindi tranquilla­mente affermare che gli Amici della costituzio­ne sono negazionis­ti. E probabilme­nte dobbiamo farlo: non certo per impedir loro di parlare – l’introduzio­ne del reato di negazionis­mo è del resto delicata anche a proposito dell’Olocausto –, ma per valutare con cognizione di causa quali voci ascoltare e quali invece ignorare, nel doveroso dibattito su come affrontare la pandemia.

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