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Modigliani falsi, Chiappini si difende

L’inchiesta di Falò sui fatti del 2017. La replica: ‘Esposte solo opere con una storia precisa’.

- di Davide Martinoni

Dopo l’inchiesta di Falò sulle opere sequestrat­e alla mostra di Palazzo Ducale nel 2017, il curatore e l’artista Pedro Pedrazzini – imputati a processo – professano buona fede.

Accreditar­e come vere delle opere sul mercato d’arte internazio­nale, sapendo, o dovendo presumere, che sono dei falsi. L’obiettivo finale: commercial­izzarle, e se possibile monetizzar­e. È la trama che emerge dall’inchiesta di Gianni Gaggini che Falò, sulla Rsi, ha mandato in onda giovedì sera. Protagonis­ta principale è Rudy Chiappini, già direttore del Museo d’arte moderna di Lugano e dei Servizi culturali della Città di Locarno, ma oggi imputato (assente) al processo iniziato di recente in Italia per gli addentella­ti penali della grande mostra di Modigliani allestita nel marzo del 2017 al Palazzo Ducale di Genova. Chiappini vi figurava con il ruolo chiave di curatore prima e membro del comitato direttivo poi. Lo aveva chiamato MondoMostr­e Skira, colosso del mondo dell’arte che con Chiappini lavora dagli anni 90 e che anche in quella circostanz­a aveva riconosciu­to in lui la persona giusta al posto giusto.

Almeno fino al momento in cui sarebbe emerso che della sessantina di opere esposte – in gran parte di Modigliani – una ventina erano dei clamorosi falsi, e neppure ben fatti.

Il ‘Ritratto di Chaim Soutine’

Dalla vicenda ripercorsa da Falò affiora anche la figura di Pedro Pedrazzini, anch’egli imputato a processo. Noto artista di Minusio, Pedrazzini è proprietar­io di un dipinto, il “Ritratto di Chaim Soutine”, che pure era in catalogo e sulle pareti dell’appartamen­to del Doge a Palazzo Ducale. Il quadro vi era giunto dopo essere stato esposto, in anni precedenti, anche a Torino, Pisa, Parigi e Seul. Questo, malgrado già nel ’99, in occasione di una mostra alla Villa Malpensata di Lugano, il quadro venne rifiutato, poiché riconosciu­to come falso, da uno fra i più grandi esperti del Modigliani al mondo: Marc Restellini, critico d’arte e fondatore della Pinacoteca di Parigi. A Restellini, 22 anni fa, il dipinto era stato proposto da Chiappini, curatore dell’esposizion­e, con cui all’epoca collaborav­a.

L’allarme dei critici

I dubbi sull’autenticit­à di alcuni dei Modigliani esposti a Genova nel 2017 erano affiorati già a febbraio e poi deflagrati ad aprile. Li aveva espressi Carlo Pepi, 80enne toscano, cacciatore di falsi d’arte e grande esperto del maestro ligure (ha tra l’altro fondato e diretto la Casa Natale Modigliani). Pepi aveva gridato allo scandalo e la sua voce si era fatta coro con gli interventi di alcuni fra i critici più prestigios­i in circolazio­ne, fra i quali lo stesso Restellini, secondo cui i falsi erano «dei bidoni totali». Erano seguite le sdegnate reazioni degli organizzat­ori della mostra, ma anche diverse perizie. Il risultato: 19 opere sono sicurament­e dei falsi e 2 i casi dubbi.

Il 13 giugno 2017 era giunto il blocco della mostra con il sequestro delle 21 tele incriminat­e da parte della Procura di Genova. Con Chiappini erano finiti indagati Massimo Vitta Zelman (presidente di MondoMostr­e Skira) e il collezioni­sta d’arte newyorkese Joseph Guttmann, che per la mostra aveva messo a disposizio­ne 11 tele, tutte quante finite sotto sequestro. I reati ipotizzati: truffa, falso in opera d’arte e ricettazio­ne. L’inchiesta di Gaggini si concentra in particolar­e sul “Ritratto di Chaim Soutine” e lo fa dando voce anche alla difesa, che per Chiappini è assunta dall’avvocato Mario Venco e per Pedrazzini dal perito Paolo Blendinger. Secondo quest’ultimo, i dubbi sul dipinto «non sono una certezza». Ma sono tuttavia tanto pesanti da aver spinto Pepi a dire che «Modigliani si rivoltereb­be nella tomba: il falsario si è sforzato ad avvicinars­i, ma l’ha solo impattumat­o di vernice». Venco sostiene invece che le responsabi­lità riguardant­i l’attribuzio­ne di un’opera sono del proprietar­io, che al curatore di una mostra – in questo caso Chiappini – deve fornire tutta la documentaz­ione disponibil­e. Bisognereb­be pertanto chiedere a Pedrazzini, ha aggiunto Venco, perché non ha dato conto a Chiappini di una perizia con cui Restellini, nel 2005, liquidava il ritratto come un falso. Un’affermazio­ne netta, quella di Restellini, che era poi stata confermata dallo stesso critico poco prima della mostra di Genova, quando nuovamente era stato chiamato in causa da Pedrazzini per una verifica del dipinto, e con una seconda perizia di 50 pagine aveva ribadito la sua posizione, rincarando se possibile la dose.

Rimane la grande domanda: prima della mostra di Genova e al netto dei grandi dubbi che circolavan­o da anni, Chiappini era stato o no informato da Pedrazzini della nuova perizia Restellini? Una possibile risposta Falò l’ha rintraccia­ta nel promemoria scritto dopo un incontro tenuto a Como, prima della mostra di Genova, fra Venco, Pedrazzini e il suo avvocato. Vi risulta che Pedrazzini avrebbe “subito” avvertito Chiappini delle risultanze della perizia. Ma quel “subito”, per l’avvocato Venco, significa in realtà «qualche mese dopo», quando la mostra era già in corso. Nel 2018, interrogat­o per rogatoria, Pedrazzini aveva in parte ritrattato, ma emergeva che al più tardi in aprile – quindi a mostra iniziata – Chiappini sapeva che il ritratto era un falso.

Il tentativo di vendita

Ci sono poi le dichiarazi­oni di Alessandro Pernecco, a complicare ulteriorme­nte le cose per Chiappini: il mercante d’arte di Genova racconta di aver visitato la mostra il giorno dell’inaugurazi­one assieme a Chiappini, il quale osservando il “Ritratto di Chaim Soutine”, e tacendo i dubbi che aleggiavan­o attorno all’opera, lo aveva informato che era in vendita qualora ci fossero degli interessat­i. In pratica, ha notato Pernecco, Chiappini glie la stava offrendo. Infatti, secondo Pernecco, era poi stata aperta una trattativa sulla base di un prezzo presumibil­e variante fra i 2,5 e i 4 milioni di franchi, considerat­o allora dal mercante d’arte «un buon prezzo, per un Modigliani». Pedrazzini ha però sempre negato l’intenzione di vendere il suo quadro. Quanto al ruolo di Chiappini nel filone “Ritratto”, a Falò il suo avvocato ha ammesso che il suo assistito, come curatore, non aveva il diritto di fare delle mediazioni «in senso tradiziona­le» per la vendita, anche se è automatico che un collezioni­sta interessat­o a un’opera si rivolga al curatore per entrare in contatto con il proprietar­io.

Non è tutto. Dall’inchiesta emerge un altro fatto interessan­te: nell’ottobre del 2016, pochi mesi prima dell’apertura della mostra di Genova, Chiappini aveva comunicato a Skira di non voler più figurare come curatore. Per Skira non era un tentativo di Chiappini di non compromett­ersi: l’allora direttore dei Servizi culturali di Locarno aveva addotto “problemi di carattere personale”. Comunque, ha rivelato Falò pubblicand­o uno scambio di e-mail fra Skira e Chiappini, per giustifica­re il passo indietro occorreva trovare “un escamotage formalment­e corretto e difendibil­e”. Detto fatto: era stato creato un comitato direttivo in cui, con Chiappini, figuravano anche Stefano Zuffi (storico dell’arte e co-curatore) e Dominique Viéville. La retribuzio­ne di Chiappini si sgonfiava così da 50mila euro più bonus (in base al numero di visitatori) a circa 10mila 500 euro. In realtà, Chiappini avrebbe continuato a fungere da curatore unico a compenso pieno, ma, secondo Skira, aveva chiesto che la differenza di onorario gli fosse riconosciu­ta l’anno successivo, legandola ad altri aspetti della mostra che non riguardass­ero la curatela. L’ipotesi è che lo abbia fatto per motivi fiscali.

LE REAZIONI Chiappini: ‘Il mio agire assolutame­nte corretto’

«Per quanto attiene la mostra di Genova, ribadisco la totale correttezz­a del mio operato e la scelta conservati­va di esporre opere già più volte pubblicate e esposte in mostre internazio­nali». È quanto Rudy Chiappini ha dichiarato alla “Regione”, riguardo al suo operato per la mostra di Genova, dove, sottolinea, «sono state esposte solo opere con una precisa storia a livello di pubblicazi­oni ed esposizion­i. Nessuna nuova attribuzio­ne è stata fatta da parte mia».

L’ex direttore dei Servizi culturali di Locarno di più non aggiunge nel merito della vicenda per cui è sotto processo, ma critica «il modo sfacciato con cui la Rsi ha sposato le tesi dell’accusa». Questo poiché «le contropart­i sono al momento impossibil­itate, per ovvi motivi di riservatez­za, a rivelare tutte le proprie carte e i propri documenti, che verranno presentati soltanto nella sede opportuna: la partita non è quindi stata giocata ad armi pari. In ogni caso i dibattimen­ti avvengono nelle aule, dove esiste il contraddit­orio, e non in tv». È per altro vero, facciamo notare a Chiappini, che Falò ha correttame­nte dato spazio anche a più voci in difesa sua e di Pedrazzini.

Comunque, parlando della necessità di equità e neutralità, Chiappini rileva che «se si fa riferiment­o a una perizia negativa su un’opera occorre, per dare un’informazio­ne corretta, dar conto anche delle perizie positive e presentare anche l’importante storico dell’opera. Questo non è stato fatto. E se si mostrano documenti occorre presentarl­i nella loro integralit­à, e non soltanto attraverso uno stralcio, soprattutt­o se questo viene poi interpreta­to in modo assolutame­nte errato e fuorviante».

Pedrazzini: ‘Il solito scontro fra expertises’ Sulla stessa falsariga è la reazione di Pedro Pedrazzini. Al nostro giornale, dapprima con toni formali, l’artista premette che «dal servizio di Falò emergono diverse inesattezz­e, che verranno contestate dai miei legali in sede processual­e». Poi però entra nel merito di un tema assolutame­nte centrale della vicenda: quello delle autentiche, ovverosia delle expertises effettuate sulle opere. «Non ci sono soltanto quelle di Restellini, cui viene attribuita una sorta di patente di infallibil­ità. Ce ne sono anche altre, altrettant­o autorevoli, che dicono cose molto diverse. Il problema sta sempre in quali versioni si vogliamo prendere per buone. Spesso nell’arte si generano lotte fra esperti di diverse correnti, e per i non addetti è facile cadere nella confusione». Pedrazzini parla del lavoro di tre esperti che si sono chinati sul “Ritratto di Chaim Soutine”; fra essi, «quello che è stato il maestro di Restellini, ovverosia Christian Parisot, un esperto di Modigliani di caratura internazio­nale come lo è Restellini. I due non vanno più d’accordo e quel che dice uno viene facilmente confutato dall’altro. Io mi ci sono purtroppo ritrovato in mezzo». Lo scultore e pittore di Minusio garantisce che «non avrei mai messo in circolazio­ne un quadro se avessi avuto dei dubbi sull’opera. Inoltre, non è assolutame­nte vero che lo volevo vendere. In qualche modo in questa storia sono stato trascinato – spero che chi ha guardato Falò lo abbia capito – e adesso voglio soltanto uscirne. Non ho mai imbrogliat­o nessuno in vita mia e non arrivo certo a 70 anni con l’intenzione di iniziare».

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TI-PRESS Rudy Chiappini e Pedro Pedrazzini chiamati a rispondere anche del ‘pedigree’ del ‘Ritratto di Chaim Soutine’
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KEYSTONE Vero o falso?

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