La difesa, vittima non credibile
Chiesta l’assoluzione dell’ex funzionario del Dss a processo per coazione sessuale
Un uomo in lacrime e convinto della propria innocenza. «Se non avessi ricorso mi sarei evitato tre anni di insulti. Ma l’ho fatto perché è un mio diritto. Come è il diritto di mia figlia vedere il padre giudicato in modo corretto». L’ultima parola al processo d’appello apertosi giovedì a locarno è stata data ieri all’imputato, l’ex Funzionario del Dss condannato in primo grado nel 2019 per coazione sessuale ai danni di un’allora giovane diciottenne.
«Da quando sono stato arrestato la mia vita è stata completamente distrutta. Ho perso il lavoro. Un lavoro in cui credevo, che avrei potuto fare ancora e concludere con dignità. Ho perso gli amici, la compagna e la mia famiglia. Sono stato insultato e minacciato», ha raccontato il 61enne in aula durante la fase finale del processo. «Sono stato considerato il caso penale del secolo, quello che addirittura meritava o imponeva la messa in campo di una commissione parlamentare d’inchiesta. Io sono il mostro che è stato sbattuto in prima pagina e non mi è stata mai concessa la presunzione d’innocenza». A tutti i presenti ha poi lanciato due appelli: «Lasciate fuori da questa storia le persone a me più care». E ai giornalisti ha chiesto di correggere alcuni errori presenti negli articoli e di raccontare solo la verità. L’uomo contesta inoltre il suo impegno in politica: «Si crede a torto che io sia il grande vecchio che gestisce un partito politico. Niente di più falso. Sono solo vecchio». Inoltre l’accanimento di alcune persone sui social media se la spiega così: «Mi si vuol far pagare la mia collaborazione con il quindicinale ‘Il diavolo’. Ma è passata una vita da quando ho scritto l’ultimo articolo».
‘Il racconto non è lineare’
Nella sua arringa difensiva l’avvocato Niccolò Giovanettina ha basato la difesa sulla – a suo dire – «non credibilità dell’accusatrice privata» e su una sentenza di primo grado «basata su valutazioni morali che non c’entrano col diritto». Sentenza che aveva condannato l’uomo a 120 aliquote giornaliere, pari a 7’200 franchi, sospese e a una multa per coazione sessuale e ripetuta contravvenzione alla Legge federale sugli stupefacenti. L’assunzione di un medicamento che, secondo la difesa, avrebbe interferito con la percezione degli eventi della donna e una cartella clinica della psicologa. Questi i primi elementi utilizzati da Giovanettina per contestare la credibilità della donna: «La cartella clinica racconta una storia triste, ma ci dice unicamente una cosa: ha sofferto prima e dopo la relazione col mio assistito. E a prescindere da lui». Poi altre incongruenze nei racconti dei verbali. E ancora, l’impossibilità che il 61enne si fosse recato con la vittima fra il 2003 e il 2004 in due locali per scambisti perché «questi luoghi hanno delle regole ferree», fornendo anche i suddetti regolamenti.
‘Nessuna prova di coazione sessuale’
«Il mio cliente non ha mai scritto quello che la donna racconta che lui le diceva». Per l’avvocato non vi sono dunque prove di una coazione sessuale e ribadisce: «Non c’è linearità logica e coerenza comportamentale in nessuno dei differenti racconti della donna». E ancora: «Non ci sono casi simili nella giurisprudenza federale. Dare credibilità a questo racconto significa fare giurisprudenza, a mio avviso negativa». Completamente in disaccordo la procuratrice pubblica Chiara Borelli e l’avvocato della donna Carlo Borradori. Entrambi sostengono la veridicità dei racconti della vittima e riguardo al medicamento la procuratrice spiega: «Era una dose minima che non inficiava la sua capacità intellettiva».
Riguardo alle discrepanze sollevate da Giovanettina, Borelli afferma: «Si è voluta creare l’immagine di una giovane donna che si è scollegata dalla realtà prendendo storie di terze persone per creare un film. È possibile che in alcuni casi si sia confusa, ma non ha mentito».
Il verdetto della Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will è atteso per i prossimi giorni.