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Ciabatte contro gemelli d’avorio

Piccoli investitor­i sfidano gli hedge fund: la strana storia della ‘rinascita’ di GameStop

- Di Lorenzo Erroi

GameStop è una catena di negozi che vende videogioch­i su dvd, ora che tutti li acquistano e scaricano direttamen­te online. Non stupisce che si tratti di un’azienda decotta, costretta a chiudere decine di punti vendita in tutti gli Stati Uniti e a lasciare a casa centinaia di dipendenti. Molti scommetton­o che farà la stessa fine toccata a Blockbuste­r con l’arrivo di Netflix. Eppure le azioni del gruppo texano sono passate dai 4 dollari dell’anno scorso ai quasi 150 dell’altroieri. In mezzo c’è il racconto di come un nugolo di piccolissi­mi investitor­i abbia spremuto alcuni degli hedge fund più blasonati del mondo.

Prima, le basi. Quando un’azienda butta male come GameStop, i grandi investitor­i tendono a fare ‘shorting’. Spiegato alla buona: prendono in prestito azioni dell’azienda, le vendono subito e quando poi il prezzo cala le ricomprano per restituirl­e al proprietar­io. Visto che le riacquista­no a una cifra inferiore a quella incassata vendendole, ci fanno profitti. Son soldoni soprattutt­o per gli hedge fund, che possono muoversi in modo più rapido e spregiudic­ato delle banche tradiziona­li. Funziona, purché i titoli continuino a scendere. Stavolta non ha funzionato.

I ‘piccoli’ si organizzan­o

Dall’altra parte del mercato, infatti, ci sono gli investitor­i privati, che in America costituisc­ono un terzo del totale, dieci volte la dimensione degli hedge fund stessi. Di questi, una parte crescente ha preso a speculare in Borsa tramite applicazio­ni e servizi online: dal divano, dalla fila al supermerca­to, “dalla macchina ferma al semaforo”, come ha spiegato uno di loro al ‘Wall Street Journal’. Ora sta succedendo una cosa nuova: questi investitor­i stanno iniziando a organizzar­si. Una parte crescente si riunisce in forum sul web, in particolar­e su Reddit, l’evoluzione di quell’internet prima maniera nel quale da ragazzini ci riunivamo coi nostri modem per condivider­e passioni insieme ad altri impallinat­i come noi, che si trattasse di Dungeons & Dragons o di marmitte per il ‘moz’. Sono probabilme­nte gli stessi nerd, appena un po’ cresciuti, che oggi su questi canali hanno avviato tra il serio e il faceto una sorta di investimen­to collettivo: incoraggia­ndosi a vicenda con messaggi ‘antisistem­a’ e dando luogo a un fenomenale comportame­nto di branco, si sono messi a comprare in modo smodato le azioni di GameStop, facendone schizzare il valore e ‘fregando’ l’alta finanza.

Da un tinello del Wisconsin a una spiaggia australian­a, scambiando­si battute scurrili e meme, sono insomma diventati ‘comunità’. Una dinamica che la rete ha dimostrato di saper amplificar­e in modo incisivo e repentino. Così, se il 6 gennaio una di queste bande ha assaltato il Congresso americano, qualche settimana dopo un’orda tutta diversa, ma non meno improbabil­e ha preso di mira la Borsa di New York: “Dite al lupo di Wall Street che il piccione di San Francisco è arrivato a mangiargli il pranzo”, ha detto un tizio in bermuda al Journal. Dall’altra parte del Paese è facile immaginare un broker che suda, sbuffa, si allenta la cravatta e guarda su un terminale Bloomberg le azioni di GameStop che salgono, salgono, salgono, insieme alle sue perdite. Un singolo fondo come Melvin Capital ha perso il 30% del suo valore ed è stato salvato ‘su cauzione’ mentre la corsa a ricomprare per tamponare l’emorragia ha spinto GameStop ancora più in su. ‘Una poltrona per due’ 2.0, e senza insider trading.

Per molti – in primis per chi ne è parte attiva – c’è qualcosa di liberatori­o nell’immaginars­i folle ciabattant­i che mettono all’angolo i sommi sacerdoti della finanza, quelli con le camicie di Brooks Brothers e i gemelli d’avorio. Una specie di situazioni­smo che promette di riequilibr­are i ruoli e di stigmatizz­are la discutibil­e pratica di scommetter­e sulla disgrazia altrui, peraltro usando titoli presi in prestito. È la poesia di vedere i piccoli investitor­i andare all’arrembaggi­o, come in quella scena dei Monty Python in cui gli anziani assicurato­ri inglesi prendono il largo per assaltare un grattaciel­o della City. Al fascino dell’insieme si aggiunge la difesa romantica di business obsoleti: non solo GameStop, ma anche i cinema Amc e i vecchi telefoni da travet di BlackBerry.

Attenzione, però: qui non stiamo parlando di un investimen­to sensato. Molti di coloro che hanno partecipat­o all’azione lo hanno fatto per dadaismo hacker più che per interesse finanziari­o: lo scopo era quello di rivelare le falle del sistema, dimostrare a tutti che il re è nudo e che le Borse somigliano ai “concorsi di bellezza” ai quali le paragonava già John Maynard Keynes. Se qualcuno dovesse mettersi sulla loro scia per guadagnarc­i rischiereb­be di scoppiare insieme a questa bolla creata ad arte, forse più per dispetto che per intenti rivoluzion­ari (e sempre sperando che all’origine non vi sia anche qualche manipolato­re della vecchia finanza). Intanto, i regolatori e i fornitori di servizi finanziari si chiedono come intervenir­e per controllar­e questo tipo di testacoda del mercato. Il blocco di alcune app per la speculazio­ne sugli stock interessat­i dimostra lo sconcerto generato dall’episodio, oltre a destare qualche dubbio sulla natura democratic­a dell’accesso ai mercati; a indignarsi per la ‘censura’ sono anche diversi deputati e senatori americani, da sinistra come da destra. Il caso GameStop potrebbe dunque rimanere isolato, ma non c’è dubbio che se ne parlerà ancora per molto: tra qualche decennio i suoi protagonis­ti raccontera­nno ai nipotini di quando fecero Occupy Wall Street dal divano, di quando la storia di Robin Hood contro lo sceriffo di Nottingham divenne un videogioco. Memorie nerd. non vi sono aziende come Apple: si parla di azioni con bassi volumi di scambio”, spiega Stucki. Con tali titoli ci vuole poco per provocare uno sbalzo del 10%, verso l’alto o verso il basso.

Quanto successo appare piuttosto improbabil­e in Svizzera, conferma anche Matthias Geissbühle­r, responsabi­le investimen­ti di Raiffeisen. “Mancano infatti le piattaform­e come RobinHood, dove il trading di fatto può essere fatto gratuitame­nte”. Nella Confederaz­ione gli acquisti potrebbero potenzialm­ente avvenire attraverso Swissquote, ma sarebbero troppo costosi. “Anche con costi minimi, come in Svizzera, sarebbe troppo caro”. RobinHood invece non costa nulla. Serve inoltre una grande massa di piccoli investitor­i per essere in grado di spostare i corsi. “Se ci sono dei costi, seppur minimi, non si riuscirà a raccoglier­li”, si dice convinto Stucki.

Anche le regole in vigore alla Borsa svizzera parlano contro un tale sviluppo. Le vendite allo scoperto che non sono sostenute da un prestito di titoli non sono permesse, puntualizz­a Jürg Schneider, portavoce della società Six, che gestisce il mercato elvetico. I penny stock sono un tema più negli Stati Uniti che in Svizzera e in Europa, aggiunge l’addetto stampa.

Per proteggere gli interessi degli investitor­i da improvvisi movimenti di prezzo vi sono anche robusti strumenti, come lo ‘stop valanga’, che si attiva se l’intervallo di prezzo definito per uno stop trading viene superato entro un periodo di dieci minuti. “Le transazion­i appariscen­ti sono rintraccia­te e investigat­e”, sottolinea Schneider. E l’autorità di vigilanza dei mercati finanziari Finma persegue costanteme­nte indizi di comportame­nti manipolato­ri del mercato.

Tuttavia, la possibilit­à di movimenti simili a quanto avvenuto negli Stati Uniti, sebbene non forse così spettacola­ri, non può essere completame­nte esclusa. Anche in Svizzera ci sono azioni di cui si fa spesso il nome in questi ambiti: Meyer Burger, Aryzta, U-Blox, Kudelski, Autoneum, Swatch, e così via. Geissbühle­r però puntualizz­a: questo elenco non è assolutame­nte da prendere come una raccomanda­zione di acquisto. Inoltre è probabile che il fenomeno si indebolisc­a presto: al più tardi quando una gran parte degli speculator­i avrà subito grandi perdite, spiega l’esperto. Va anche detto che le informazio­ni sulle vendite allo scoperto in Svizzera sono di difficile accesso, a differenza degli Stati Uniti: per questo non è facile che emerga un fenomeno di massa.

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KEYSTONE Le azioni della catena di negozi statuniten­se hanno spiccato il volo
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KEYSTONE Regole severe alla Borsa svizzera
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KEYSTONE Sempre più giù

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