Ciabatte contro gemelli d’avorio
Piccoli investitori sfidano gli hedge fund: la strana storia della ‘rinascita’ di GameStop
GameStop è una catena di negozi che vende videogiochi su dvd, ora che tutti li acquistano e scaricano direttamente online. Non stupisce che si tratti di un’azienda decotta, costretta a chiudere decine di punti vendita in tutti gli Stati Uniti e a lasciare a casa centinaia di dipendenti. Molti scommettono che farà la stessa fine toccata a Blockbuster con l’arrivo di Netflix. Eppure le azioni del gruppo texano sono passate dai 4 dollari dell’anno scorso ai quasi 150 dell’altroieri. In mezzo c’è il racconto di come un nugolo di piccolissimi investitori abbia spremuto alcuni degli hedge fund più blasonati del mondo.
Prima, le basi. Quando un’azienda butta male come GameStop, i grandi investitori tendono a fare ‘shorting’. Spiegato alla buona: prendono in prestito azioni dell’azienda, le vendono subito e quando poi il prezzo cala le ricomprano per restituirle al proprietario. Visto che le riacquistano a una cifra inferiore a quella incassata vendendole, ci fanno profitti. Son soldoni soprattutto per gli hedge fund, che possono muoversi in modo più rapido e spregiudicato delle banche tradizionali. Funziona, purché i titoli continuino a scendere. Stavolta non ha funzionato.
I ‘piccoli’ si organizzano
Dall’altra parte del mercato, infatti, ci sono gli investitori privati, che in America costituiscono un terzo del totale, dieci volte la dimensione degli hedge fund stessi. Di questi, una parte crescente ha preso a speculare in Borsa tramite applicazioni e servizi online: dal divano, dalla fila al supermercato, “dalla macchina ferma al semaforo”, come ha spiegato uno di loro al ‘Wall Street Journal’. Ora sta succedendo una cosa nuova: questi investitori stanno iniziando a organizzarsi. Una parte crescente si riunisce in forum sul web, in particolare su Reddit, l’evoluzione di quell’internet prima maniera nel quale da ragazzini ci riunivamo coi nostri modem per condividere passioni insieme ad altri impallinati come noi, che si trattasse di Dungeons & Dragons o di marmitte per il ‘moz’. Sono probabilmente gli stessi nerd, appena un po’ cresciuti, che oggi su questi canali hanno avviato tra il serio e il faceto una sorta di investimento collettivo: incoraggiandosi a vicenda con messaggi ‘antisistema’ e dando luogo a un fenomenale comportamento di branco, si sono messi a comprare in modo smodato le azioni di GameStop, facendone schizzare il valore e ‘fregando’ l’alta finanza.
Da un tinello del Wisconsin a una spiaggia australiana, scambiandosi battute scurrili e meme, sono insomma diventati ‘comunità’. Una dinamica che la rete ha dimostrato di saper amplificare in modo incisivo e repentino. Così, se il 6 gennaio una di queste bande ha assaltato il Congresso americano, qualche settimana dopo un’orda tutta diversa, ma non meno improbabile ha preso di mira la Borsa di New York: “Dite al lupo di Wall Street che il piccione di San Francisco è arrivato a mangiargli il pranzo”, ha detto un tizio in bermuda al Journal. Dall’altra parte del Paese è facile immaginare un broker che suda, sbuffa, si allenta la cravatta e guarda su un terminale Bloomberg le azioni di GameStop che salgono, salgono, salgono, insieme alle sue perdite. Un singolo fondo come Melvin Capital ha perso il 30% del suo valore ed è stato salvato ‘su cauzione’ mentre la corsa a ricomprare per tamponare l’emorragia ha spinto GameStop ancora più in su. ‘Una poltrona per due’ 2.0, e senza insider trading.
Per molti – in primis per chi ne è parte attiva – c’è qualcosa di liberatorio nell’immaginarsi folle ciabattanti che mettono all’angolo i sommi sacerdoti della finanza, quelli con le camicie di Brooks Brothers e i gemelli d’avorio. Una specie di situazionismo che promette di riequilibrare i ruoli e di stigmatizzare la discutibile pratica di scommettere sulla disgrazia altrui, peraltro usando titoli presi in prestito. È la poesia di vedere i piccoli investitori andare all’arrembaggio, come in quella scena dei Monty Python in cui gli anziani assicuratori inglesi prendono il largo per assaltare un grattacielo della City. Al fascino dell’insieme si aggiunge la difesa romantica di business obsoleti: non solo GameStop, ma anche i cinema Amc e i vecchi telefoni da travet di BlackBerry.
Attenzione, però: qui non stiamo parlando di un investimento sensato. Molti di coloro che hanno partecipato all’azione lo hanno fatto per dadaismo hacker più che per interesse finanziario: lo scopo era quello di rivelare le falle del sistema, dimostrare a tutti che il re è nudo e che le Borse somigliano ai “concorsi di bellezza” ai quali le paragonava già John Maynard Keynes. Se qualcuno dovesse mettersi sulla loro scia per guadagnarci rischierebbe di scoppiare insieme a questa bolla creata ad arte, forse più per dispetto che per intenti rivoluzionari (e sempre sperando che all’origine non vi sia anche qualche manipolatore della vecchia finanza). Intanto, i regolatori e i fornitori di servizi finanziari si chiedono come intervenire per controllare questo tipo di testacoda del mercato. Il blocco di alcune app per la speculazione sugli stock interessati dimostra lo sconcerto generato dall’episodio, oltre a destare qualche dubbio sulla natura democratica dell’accesso ai mercati; a indignarsi per la ‘censura’ sono anche diversi deputati e senatori americani, da sinistra come da destra. Il caso GameStop potrebbe dunque rimanere isolato, ma non c’è dubbio che se ne parlerà ancora per molto: tra qualche decennio i suoi protagonisti racconteranno ai nipotini di quando fecero Occupy Wall Street dal divano, di quando la storia di Robin Hood contro lo sceriffo di Nottingham divenne un videogioco. Memorie nerd. non vi sono aziende come Apple: si parla di azioni con bassi volumi di scambio”, spiega Stucki. Con tali titoli ci vuole poco per provocare uno sbalzo del 10%, verso l’alto o verso il basso.
Quanto successo appare piuttosto improbabile in Svizzera, conferma anche Matthias Geissbühler, responsabile investimenti di Raiffeisen. “Mancano infatti le piattaforme come RobinHood, dove il trading di fatto può essere fatto gratuitamente”. Nella Confederazione gli acquisti potrebbero potenzialmente avvenire attraverso Swissquote, ma sarebbero troppo costosi. “Anche con costi minimi, come in Svizzera, sarebbe troppo caro”. RobinHood invece non costa nulla. Serve inoltre una grande massa di piccoli investitori per essere in grado di spostare i corsi. “Se ci sono dei costi, seppur minimi, non si riuscirà a raccoglierli”, si dice convinto Stucki.
Anche le regole in vigore alla Borsa svizzera parlano contro un tale sviluppo. Le vendite allo scoperto che non sono sostenute da un prestito di titoli non sono permesse, puntualizza Jürg Schneider, portavoce della società Six, che gestisce il mercato elvetico. I penny stock sono un tema più negli Stati Uniti che in Svizzera e in Europa, aggiunge l’addetto stampa.
Per proteggere gli interessi degli investitori da improvvisi movimenti di prezzo vi sono anche robusti strumenti, come lo ‘stop valanga’, che si attiva se l’intervallo di prezzo definito per uno stop trading viene superato entro un periodo di dieci minuti. “Le transazioni appariscenti sono rintracciate e investigate”, sottolinea Schneider. E l’autorità di vigilanza dei mercati finanziari Finma persegue costantemente indizi di comportamenti manipolatori del mercato.
Tuttavia, la possibilità di movimenti simili a quanto avvenuto negli Stati Uniti, sebbene non forse così spettacolari, non può essere completamente esclusa. Anche in Svizzera ci sono azioni di cui si fa spesso il nome in questi ambiti: Meyer Burger, Aryzta, U-Blox, Kudelski, Autoneum, Swatch, e così via. Geissbühler però puntualizza: questo elenco non è assolutamente da prendere come una raccomandazione di acquisto. Inoltre è probabile che il fenomeno si indebolisca presto: al più tardi quando una gran parte degli speculatori avrà subito grandi perdite, spiega l’esperto. Va anche detto che le informazioni sulle vendite allo scoperto in Svizzera sono di difficile accesso, a differenza degli Stati Uniti: per questo non è facile che emerga un fenomeno di massa.