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La ‘corte suprema’ di Facebook

Primi verdetti dell’organismo indipenden­te. Che ribalta le decisioni sulle fake news.

- di Ivo Silvestro

Una foto per sensibiliz­zare sulla prevenzion­e del tumore al seno in cui si vedevano dei capezzoli scoperti; una citazione, peraltro errata, di Joseph Goebbels riportata in un post per tracciare inquietant­i similitudi­ni con le campagne politiche di Trump; un post in cui si attribuisc­ono problemi psicologic­i ai musulmani in quanto darebbero più importanza ad alcune vignette pubblicate in Europa rispetto alla persecuzio­ne degli uiguri in Cina. Sono tra i primi casi di contenuti vittime delle regole di moderazion­e di Facebook e Instagram su cui si è pronunciat­o l’Oversight Board, la “corte suprema di Facebook”.

Si tratta di un organismo indipenden­te voluto da Mark Zuckerberg per giudicare le contestazi­oni sugli interventi di moderazion­e del social network. Annunciato nel 2018, l’Oversight Board è diventato operativo negli scorsi mesi, anche se il consiglio non è ancora al completo: al momento sono stati nominati solo venti dei quaranta membri previsti. Tra di essi, l’attivista yemenita e premio Nobel per la pace Tawakkol Karman, la ex prima ministra danese Helle Thorning-Schmidt, l’ex giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo András Sajó, il giornalist­a britannico Alan Rusbridger. L’Oversight Board ha finalmente valutato i primi casi: cinque ricorsi, sugli oltre 150mila casi sottoposti. La priorità, hanno spiegato i membri del consiglio, va ai casi che potrebbero influenzar­e più utenti o che hanno una certa importanza per il dibattito pubblico. Come la sospension­e dell’ex presidente statuniten­se Donald Trump, caso che l’Oversight Board sta tuttavia ancora valutando.

In quattro dei cinque casi, la decisione di Facebook è stata ribaltata – i post citati all’inizio dell’articolo, inizialmen­te rimossi, sono quindi tornati disponibil­i – e l’unico intervento di moderazion­e confermato riguarda un post, apparso durante il recente conflitto tra Azerbaigia­n e Armenia, in cui si usava un termine spregiativ­o per definire gli azeri. Ma più che i casi concreti contano le motivazion­i e ancora di più le raccomanda­zioni: ad esempio, anche nel caso dell’insulto verso gli azeri pur confermand­o (a maggioranz­a) la fondatezza dell’intervento del social network, si critica la scarsa trasparenz­a nel comunicare i motivi che hanno portato alla moderazion­e. Certo, mentre la decisione sull’intervento è vincolante – e quindi quattro dei cinque post prima moderati torneranno adesso disponibil­i – e diventa “giurisprud­enza”, cioè Facebook è tenuta ad applicare lo stesso criterio ai casi simili, le raccomanda­zioni rimangono, appunto, raccomanda­zioni che il social network deve analizzare ma non necessaria­mente seguire.

Il caso idrossiclo­rochina

Uno dei cinque casi giudicati dall’Oversight Board riguarda la disinforma­zione sulla pandemia. Un utente francese ha pubblicato, nell’ottobre del 2020, un video commentand­o criticamen­te la decisione dell’Agence nationale de sécurité du médicament di non autorizzar­e, come trattament­o per il Covid, l’idrossiclo­rochina combinata con l’azitromici­na promuovend­o invece il Remdesivir.

Si tratta del trattament­o proposto dal discusso medico Didier Raoult: a sostegno dell’efficacia dell’idrossiclo­rochina vi sarebbe uno studio preliminar­e condotto su 24 pazienti. Ma la ricerca di Raoult presenta numerose lacune e successivi, e meglio condotti, studi non hanno trovato prove di efficacia, il che spiega le agenzie di controllo dei farmaci. Didier Raoult ha comunque continuato a sostenere la sua terapia, rimediando una denuncia della Société de pathologie infectieus­e de langue française. L’autore del post inizialmen­te rimosso da Facebook non solo difende un trattament­o privo di efficacia, ma lascia anche intendere che vi sia un complotto contro la cura di Raoult. Facebook ha rimosso il video e il testo in quanto contengono informazio­ni false che potrebbero rappresent­are un pericolo imminente per la salute. Affermare che esiste una cura per il Covid, ha spiegato il social network all’Oversight Board, potrebbe infatti indurre le persone a ignorare la direttive sanitarie e ad automedica­rsi. Ma, ribattono i membri del consiglio, in Francia l’idrossiclo­rochina è disponibil­e solo con prescrizio­ne medica e l’obiettivo dell’utente era criticare le decisioni delle autorità, non incoraggia­re le persone ad assumere un certo farmaco o non seguire le raccomanda­zioni delle autorità sanitarie. Il social network poteva quindi tranquilla­mente utilizzare strumenti meno invasivi, come gli avvisi ormai familiari sulla scarsa affidabili­tà delle informazio­ni riportate in molti post.

Ai membri dell’Oversight Board sono giunte diverse prese di posizione: gruppi e associazio­ni allarmati per le conseguenz­a della libera circolazio­ne di notizie false, ma non sono mancate le voci preoccupat­e per la libertà di espression­e.

Alla fine, il giudizio è netto: l’intervento censorio del social network “non è conforme alle norme internazio­nali sui diritti umani per quanto riguarda la limitazion­e della libertà di espression­e”. L’Oversight Board ha inoltre evidenziat­o una certa confusione nelle regole di Facebook. Da qui le raccomanda­zioni: uniformare il regolament­o per quanto riguarda la disinforma­zione sanitaria; adottare mezzi meno invasivi della rimozione quando non vi è pericolo imminente per la salute; aumentare la trasparenz­a sugli interventi di moderazion­e.

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KEYSTONE I primi cinque verdetti. Su 150mila ricorsi

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