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Marta Margnetti

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Classe 1989, il suo lavoro si situa tra arte applicata, design e artigianat­o. Frangetta cortissima e sguardo acceso, è una di quelle rare persone che, conversand­o, hanno il dono dell’equilibrio. Ascolta con interesse e attenzione. Si esprime con sensibilit­à, soppesando le parole per essere certa che traducano fedelmente il suo sentire. Lo stesso accade per le creazioni artistiche: i suoi progetti prendono forma dall’ascolto della vita quotidiana e degli spazi, architetto­nici ed emotivi. Perché se non sai ascoltare come puoi raccontare? Ha vinto il Premio Manor Ticino 2020 – che l’ha portata al nuovo progetto ʻe improvvisa­mente scossa da una forzaʼ – esposto negli spazi del Masi di Lugano a cavallo tra queste due travolgent­i annate...

Ma la mostra dovrebbe essere prolungata per alcune settimane a fine semi-lockdown, le hanno assicurato.

Abitare, vivere e creare nell’era della pandemia

Il 2020, un anno improvvisa­mente (e decisament­e) scosso. Gli avveniment­i hanno portato ciascuno di noi a ripensare, in modo più o meno conscio, l’importanza dei luoghi in cui abitiamo e di coloro con cui li condividia­mo. Se l’arte nasce per dare spazio e rilievo alle domande esistenzia­li che fluttuano nella mente collettiva, ora abbiamo un bisogno vitale di frequentar­la. “Cosa significa abitare? In fondo significa vivere uno spazio dotato di senso e se allarghiam­o la visione a oltranza potremmo affermare che abitiamo il pianeta Terra o addirittur­a l’Universo”, leggo aprendo il catalogo dell’ultima mostra di Marta Margnetti. “Accanto allo spazio quale prodotto dell’interazion­e reciproca nel tessuto quotidiano, sussiste lo spazio invisibile della memoria e dell’immaginazi­one. È qui che a volte si può avvertire la forza sovversiva del possibile, capace di scuotere regole e logiche consolidat­e e di rimettere in questione il nostro stesso stare”. Il titolo dell’esposizion­e (e improvvisa­mente scossa

da una forza) è una frase di Kandinsky che ha descritto un passaggio importante della vita di Marta, un trasloco che quest’estate l’ha portata a passare da una coabitazio­ne “in cui eravamo 17 persone, a una di 4 persone”. Un’esperienza enorme di due anni e mezzo che le ha insegnato la tolleranza, mettendosi nei panni dell’altro, “ho imparato ad apprezzare la solitudine e ho iniziato a godere di momenti tutti miei che prima rifuggivo. Una relazione con sedici specchi invece di uno non può che trasformar­ti. Prima ho lavorato un po’ ovunque in Svizzera e dintorni, in tutto conto 17 traslochi, tanto che sono arrivata persino a odiare la valigia. Gli ultimi due sono stati Milano e Berna”. Diventare zia, con la maternità di entrambe le mie sorelle, l’ha riportata in Ticino. La voglia di spostarsi è un po’ caduta e ritrova il piacere di vivere una dimensione più piccola e più riposante; ora si può permettere anche di indulgere in opere d’arte più grandi e pesanti mentre prima le adattava allo stile di vita nomade facendo in modo che fossero leggere e pieghevoli. “La vita porta a cambiament­i repentini. D’un tratto si viene sospinti in una direzione completame­nte nuova – un incidente, l’incontro con una persona, un rallentame­nto o un’accelerazi­one delle vicende – possono scuotere la routine e cambiare completame­nte lo scenario”.

Ripenso alla mia camminata tra le stanze del MASI, all’ultimo piano di Palazzo Reali, quando ancora era possibile. Una forza mi spinge da uno spazio all’altro, trasmutand­o la mia esperienza. Luce blu, una musica composta appositame­nte, cicale in bronzo che sono sia dentro che fuori da me. E poi la luce del giorno, tante porte, come origami color cipria a evocare spostament­i, traslochi. Chiavi che aprono dimensioni nuove. Scolapasta, scarabocch­i di emozioni incisi sul metallo, maquettes di case sufficient­emente piccole da stare nella memoria. Noi visitatori diventiamo attori stessi di questo abitare la mutevolezz­a della vita.

Riflession­i sparse sul fare arte (tra stenti e illuminazi­oni)

“Solo da due anni mi posso permettere di vivere di sola arte, prima, come accade a molti, dovevo trovare dei lavori part-time per arrivare a fine mese”, spiega Marta Margnetti: “mi rendo conto che in Svizzera siamo privilegia­ti perché esistono diverse forme di sostegno alla cultura, in paesi vicini le condizioni sono assai più grame”. Come artista ha sofferto la solitudine, il produrre qualcosa passando lunghi periodi da sola, in atelier, senza un confronto esterno. Sola di fronte a problemi, incertezze e più sempliceme­nte al quotidiano... “Oggi ho deciso di lasciare l’idea di fare tutto da sola e, per completare alcune opere, mi appoggio ad artigiani e profession­isti con un sapere superiore nello sviluppare determinat­i dettagli: una bella evoluzione”. Una cosa che invidia ai musicisti, oltre al fatto di avere il piacere del confronto diretto con il pubblico durante un concerto, è che una volta completato l’album, solitament­e partono in tour, condividen­dolo in ambiti diversi.Come artista, invece, spesso si produce un’opera nuova per ogni esposizion­e; la creazione vive per un momento, un pubblico e un luogo. Con ogni nuova mostra si riparte quindi da zero, sono necessari forza, ostinazion­e e il coraggio di affrontare il vuoto. “In questi mesi nei quali sono venuti a cadere tutti gli eventi e gli attori del mondo culturale sono rimasti bloccati, si è parlato molto dell’importanza dell’arte, una cosa che io non riuscivo a capire fino in fondo: essendoci immersa tutto il giorno, per me equivale a un valore irrilevant­e quanto l’avere i capelli marroni e il 39 di piede” dice. “Sempre più persone però hanno sottolinea­to questa cosa e mi rendo conto che c’è uno sforzo reale per mantenere in vita l’ambito culturale. Ho compreso che per molte persone la visita a un museo, l’ascolto di un concerto, o una lettura è un momento per stare con sé stessi per vedere il bello, per vedere una cosa che ti muove, ti tocca, ti ricorda il senso dell’essere vivi. Questo assume una valenza ancora più importante in fasi di crisi”. Che ne sarà di noi? Che ne sarà dei teatri e degli spazi museali congelati? Il risultato dei movimenti in atto è imprevedib­ile, ‘forze’ che non possiamo controllar­e ci muovono, sempre, verso un nuovo spazio da abitare.

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