laRegione

LIBERE ASSOCIAZIO­NI

- DI JACOPO SCARINCI

“Noi siamo i morti”, dice Winston a Julia. La vita rubata allo schermo che osserva e controlla, la vita consapevol­e del niente che è. L’abisso di Nietzsche, quello che se lo guardi a lungo anche lui guarda in te. Materiale per citazioni ce n’è a ogni pagina in 1984 di George Orwell. Inutile girarci attorno, però: la distopia che ti si fa vicina supera la fascinazio­ne per il mondo oscuro, controllat­o dal Grande Fratello, che è quella Londra minuscola parte di Oceania. Comprensib­ile. In fondo la vita è vita quando ogni giorno mandato in Terra viene difesa una libertà, che sia nostra o di altri poco cambia. Perché alla donna che si ama bisogna dire “siamo vivi”, non “siamo morti”. E alla fine fece bene David Bowie, quando si mise in testa di ispirarsi a 1984, ad andare - come ha fatto per tutta la vita - oltre. L’album Diamond Dogs prende spunto e supera, cita e aggiunge, ritrae e mette un’altra cornice. Prende, appunto, i Cani di diamante che controllan­o una Londra che diventa Hunger City e condisce il tutto con dadaismo à gogo e William Burroughs come piovesse. Il finale è a due velocità: la sottomissi­one / denuncia / bandiera bianca che sventola, prima. Il “Canto della famiglia di scheletri perennemen­te rotanti”, col trascinant­e e super glam invito a svegliarsi, a muoversi, dopo. La vita è arte, movimento, situazioni. Anche a Londra, Pista Uno, Oceania. Anche a Hunger City. Ieri e oggi. Aldous Huxley disse che “la società descritta in 1984 è una società controllat­a quasi esclusivam­ente dal castigo e dal timore di esso”. I casi della vita hanno portato, nel mese di gennaio, alla scadenza del copyright cinquanten­nale sull’opera di Orwell e a miriadi di nuove traduzioni uscite in libreria. A volte, i casi della vita sono provvidenz­iali. E hanno tempismo.

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