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Lee Morgan, la cometa del jazz

Un noir, una storia di musica e disperazio­ne, un perfetto hard-boiled ambientato nella più grande metropoli americana. Questa è stata la sua vita.

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Talentuoso trombettis­ta, nato a Philadelph­ia nel 1938 e cresciuto in una frenetica New York, Lee Morgan era entrato a far parte della big band di Dizzy Gillespie, in cui emerse come secondo solista. Un anno dopo, nel 1957, fu invitato da John Coltrane a partecipar­e alle sessioni di Blue

Train, nel leggendari­o studio di Rudy Van Gelder. In quel periodo Morgan entra anche a far parte dei Jazz Messengers del batterista Art Blakey in cui, qualche tempo dopo, su suo suggerimen­to, giunge un giovane sassofonis­ta di Newark, Wayne Shorter, destinato a una brillante carriera. Quella di Lee fu una giovinezza sfrenata, in un periodo di tremenda popolarità per l’hard bop. Nel 1961, a soli 23 anni e con una dozzina di album incisi alle spalle, Lee inizia però a pagare il prezzo della crescente notorietà abbandonan­dosi agli oppiacei. Nonostante il sostegno di altri musicisti, la dipendenza lo obbligherà a lasciare il gruppo di Blakey.

Un incontro fatale

La storia di Morgan è stata dettagliat­amente narrata dal regista svedese Kasper Collin, che nel 2016 ha presentato il documentar­io

I called Him Morgan al Festival del Cinema di Venezia. Impeccabil­e ritratto di un’epoca, apprezzato dalla critica e in seguito riproposto sulla piattaform­a Netflix, il docufilm attinge a interviste e materiale inedito raccolto nel corso degli anni. Ne scaturisce una vivace antologia dell’America del tempo e di uno dei decenni più produttivi per la musica jazz e non solo. Il film ci introduce alla seconda protagonis­ta della storia, Helen Moore, una giovane afroameric­ana di umili origini, nata nel 1926 e cresciuta in una famiglia di agricoltor­i a Brunswick County, nel North Carolina. Nel 1945, dopo un matrimonio finito in tragedia, la giovane vedova (che aveva solo 19 anni) giunge a New York per iniziare una nuova vita. Quando Lee torna nella Grande Mela nel 1963, in una fredda sera d’inverno, durante una festa, avviene l’incontro fatale. Tra i due, nonostante la differenza di età, si instaura un’immediata empatia che rapidament­e evolve in relazione amorosa. La tenerezza di Helen diviene l’antidoto alla fragilità di Lee, che col tempo abbandona l’eroina e si rimette in carreggiat­a: grazie alla costanza di Helen, ricostruis­ce i suoi contatti con l’etichetta Blue Note, pubblicand­o nel luglio del 1964 The Sidewinder, che con un enorme successo commercial­e salverà la casa discografi­ca sull’orlo ormai della bancarotta.

Una seconda vita

Divenuta di fatto la sua manager, Helen segue i nuovi rapporti e si occupa dell’organizzaz­ione delle tournée americane. In un periodo di grande cambiament­o per il jazz, con l’approssima­rsi degli anni Settanta, Lee Morgan cavalcherà la metamorfos­i musicale di quel periodo, registrand­o a suo nome dischi quali Taru e The Sixth Sense.

Della tournée california­na del 1970 ricorderà con affetto le giornate passate ad Hermosa Beach, in compagnia del clarinetti­sta e sassofonis­ta Bennie Maupin e degli altri musicisti, ma al centro della scena resta sempre lei, Helen. Di quei giorni è rimasto un piccolo tesoro, Live at the Lighthouse, una performanc­e estremamen­te dinamica e solare, che rispecchia tutto il calore e l’energia della West Coast.

Il tragico epilogo

Tornato a New York, Lee riunirà quella che sarà la sua ultima formazione, con Billy Harper al sax tenore e l’amico Jymie Merritt al contrabbas­so. Con questi musicisti, nel settembre del 1971, registrerà il suo ultimo disco, The Last Session, forse il capolavoro di Morgan, che rivela la volontà di immergersi nella sperimenta­zione sonora, rimanendo però saldamente ancorato ai valori melodici del jazz.

La morte lo coglie pochi mesi dopo in una fredda notte del febbraio 1972. Il gruppo aveva eseguito il primo set allo Slugs’ Saloon e, in attesa di riprendere, Lee Morgan viene raggiunto da un fatale colpo di pistola. Sono le conseguenz­e di un tragico triangolo amoroso, la cui conclusion­e è sancita dalle gelide dita di Helen Morgan, la sua donna e la sua assassina. Dita gelide quanto quella notte che condannò Lee a una straziante agonia: i 40 centimetri di neve caduti in poche ore a New York impedirono infatti ai soccorsi di giungere in tempo e salvare la vita al musicista.

 ??  ?? Il sassofonis­ta Billy Harper in una foto di qualche anno fa.
Il sassofonis­ta Billy Harper in una foto di qualche anno fa.
 ??  ?? Lee con la moglie Helen Moore poco prima della sua morte.
Lee con la moglie Helen Moore poco prima della sua morte.
 ??  ?? Lee Morgan e John Coltrane nel corso delle registrazi­oni di ʻBlue Trainʼ. Il trombone che si intravede è quello di Curtis Fuller.
Lee Morgan e John Coltrane nel corso delle registrazi­oni di ʻBlue Trainʼ. Il trombone che si intravede è quello di Curtis Fuller.
 ??  ?? Insieme a Wayne Shorter durante la loro militanza nei Jazz Messengers di Art Blakey.
Insieme a Wayne Shorter durante la loro militanza nei Jazz Messengers di Art Blakey.
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