laRegione

Protezioni­smo, la (nuova) regola del gioco

Vaccini, un altro scivolone della globalizza­zione

- Di Danilo Taino, L’Economia

Se le vicende dei vaccini prefiguran­o il futuro – e qualcosa certamente raccontano – la globalizza­zione sta facendo un altro scivolone all’indietro. A cominciare dal commercio internazio­nale. Nazionalis­mo e protezioni­smo – sanitari nel caso di questi giorni – stanno diventando la regola del gioco. Ciò che si temeva mesi fa e che è accaduto. Il caso più eclatante è la disputa tra Unione europea, in teoria il paladino supremo dei mercati aperti e delle regole, e AstraZenec­a, con il Regno Unito di Boris Johnson trascinato nel conflitto.

Ma nazionalis­mo dei vaccini si registra negli Stati Uniti di Joe Biden, dai quali dosi usciranno quando sarà certa la fornitura per gli americani. E anche la Cina – a nome della quale Xi Jinping aveva promesso la creazione di una Nuova Via della Seta Sanitaria sulla quale fare viaggiare anche i vaccini – ne esporta più con obiettivi geopolitic­i che altro. E lo stesso è vero per Russia e India. Covax, l’alleanza per garantire le vaccinazio­ni nei Paesi più poveri, non decolla. Che i governi si sentano obbligati a pensare prima di tutto ai cittadini del loro Paese è comprensib­ile e per molti versi giusto. Ma la mancata collaboraz­ione internazio­nale durante la pandemia e la crisi più grave da decenni è una cattiva semina per le relazioni future tra Paesi. E questo capita mentre nel commercio globale è in atto una controrivo­luzione dopo decenni di aperture.

I movimenti

Le merci scambiate nel terzo trimestre del 2020 hanno registrato una caduta di solo il 5% rispetto allo stesso periodo del 2019. Ma nello stesso periodo il commercio di servizi era ancora del 24% inferiore a quello di un anno prima, una quota che si è poi ridotta a un sempre elevato 16% in novembre. Con un crollo di quasi il 70% nei viaggi e del 24% nei trasporti (dati della Wto). Dietro a questi numeri, in grande misura influenzat­i dalla crisi da pandemia, c’è una realtà in deterioram­ento che va dallo stato di semiparali­si dell’Organizzaz­ione mondiale del commercio (Wto) alle alleanze regionali di libero scambio che sono sempre più mosse dalla geopolitic­a, e quindi divisive, anziché da una logica multilater­ale.

Già prima dell’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca, la Wto aveva perso di fatto il suo ruolo di forum in cui si negoziano le liberalizz­azioni degli scambi. Con la scorsa amministra­zione americana è successo che Washington ha anche bloccato il secondo pilastro su cui si fonda l’Organizzaz­ione, il panel d’appello che giudica le dispute commercial­i tra Paesi. Trump ha impedito la nomina di nuovi giudici nel panel, il quale di conseguenz­a non è tuttora in grado di giudicare.

Molte delle irritazion­i americane verso la Wto, alcune condivise dal nuovo team di Joe Biden e dalla stessa Unione europea, non sono campate per aria. L’istituzion­e è una creatura degli Anni Novanta e succede al Gatt, il Trattato che ha aperto i mercati dal dopoguerra.

Ma nel 2001 vi è entrata la Cina, la quale con le politiche di sostegno statale alle sue imprese, la discrimina­zione verso le aziende estere, l’uso non infrequent­e di politiche di dumping, l’appropriaz­ione di tecnologia ha creato problemi nuovi che la Wto non è preparata ad affrontare. L’amministra­zione Biden si trova questa eredità e nei prossimi mesi si impegnerà probabilme­nte per concordare con una serie di Paesi un confronto su come riformarla. L’ordine esecutivo del nuovo presidente che istituisce una politica di Buy American non fa però pensare a una spinta di Washington verso un protezioni­smo commercial­e molto minore di quello perseguito da Trump. I democratic­i Usa, d’altra parte, in ragione della loro vicinanza ai sindacati, sono in genere meno favorevoli al libero commercio dei repubblica­ni.

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KEYSTONE Il caso più eclatante è la disputa tra Unione europea e AstraZenec­a

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