laRegione

Quando piangono gli speculator­i

Tremila miliardi di dollari: è il danno economico del nazionalis­mo dei vaccini

- di Generoso Chiaradonn­a

Il caso GameStop, ovvero le manipolazi­oni di mercato attribuite all’agire coordinato di piccoli trader attraverso il social Reddit, continua a tenere banco tanto da attirare l’attenzione della segretaria al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen, già presidente della Fed, che ha convocato per questa settimana una riunione con i vertici di Sec, l’autorità di vigilanza per i mercati finanziari statuniten­si, della Federal Reserve e della Commodity future trading commission. L’obiettivo dell’incontro sarebbe quello di tentare di ristabilir­e l’integrità del mercato dopo la bufera che ha investito anche altre società quotate e che sarebbe costata vari miliardi di dollari agli hedge fund. Da uno di questi fondi speculativ­i danneggiat­i, il Citadel, la Yellen – secondo fonti giornalist­iche americane – avrebbe ricevuto in passato circa 700mila dollari per una serie di consulenze. Come dire che il conflitto d’interessi non è un tema solo da questa parte dell’Atlantico. A ogni modo è inverosimi­le che l’acquisto coordinato di titoli delle cosiddette ‘meme stocks’, azioni di società dalle prospettiv­e economiche funeree che iniziano improvvisa­mente a salire contro ogni logica, sia opera di tanti piccoli Davide contro i Golia dei mercati finanziari globali. È più probabile che dietro a questo fenomeno ci siano menti più fini e capitali ben più importanti di ‘dentisti’ organizzat­i.

Quello che è successo con GameStop o BlackBerry o addirittur­a con il tentativo di manipolazi­one della quotazione dell’argento riporta la memoria a un paio di decenni fa quando scoppiò la bolla della new economy. Era chiaro che molti dei titoli tecnologic­i quotati al Nasdaq di quel periodo fossero gonfiati e non rispettass­ero minimament­e i fondamenta­li economici e nemmeno incorporas­sero gli utili futuri di società che per il solo fatto di essere legate al nascente Internet viaggiavan­o a quotazioni stellari. Una massa di piccoli risparmiat­ori – casalinghe, operai, impiegati e piccoli imprendito­ri – attratti da tanti pifferai magici che magnificav­ano le virtù della finanza, persero molti dei loro risparmi. Allora si disse che “è il mercato, bellezza”. Che gli eccessi o “l’esuberanza irrazional­e” (Alan Greenspan dixit) si pagano e che le tensioni tra domanda e offerta sono sempre in grado di riportare a quotazioni consone alla realtà. Eppure da oltre un decennio i mercati finanziari sono letteralme­nte inondati di liquidità da parte delle banche centrali. Politiche monetarie ultraespan­sive che stanno dopando il valore di tantissimi titoli e questo a beneficio dei soli noti squali della finanza. Proprio di quegli hedge fund speculativ­i che si ritengono i sovrani incontrast­ati del mercato. Che decidono che il debito della Grecia, per citare un esempio a caso, è insostenib­ile o che uno Stato possa essere spinto sull’orlo del fallimento o addirittur­a gettato oltre il baratro. Gli esempi in questo senso negli anni si sprecano: dal Messico all’Argentina, fino alle tigri asiatiche trasformat­e in docili gattini alla fine degli anni 90.

Certo, è giusto invocare i principi di trasparenz­a del mercato finanziari­o. In quel luogo metafisico, lo sappiamo bene, albergano anche le nostre future rendite pensionist­iche. Indignarsi e invocare limiti alla pratica della vendita allo scoperto, un sistema molto simile al rilancio nel gioco del poker, quando nel tranello o come si suol dire con il classico cerino in mano sono rimasti gli squali, ha il sapore della beffa.

Con gli ultimi contratti firmati, la Svizzera avrà accesso a vaccini sufficient­i a vaccinare almeno il doppio della propria popolazion­e – incluse le persone che, per limiti di età o controindi­cazioni mediche, non possono vaccinarsi e quelle che non vogliono. Meglio, o peggio, ha fatto il Canada, con dosi prenotate sufficient­i a vaccinare cinque volte la propria popolazion­e.

Una strategia giustifica­ta dalla volontà di tutelarsi da eventuali ritardi nella consegna – come visto, la produzione su larga scala dei vaccini è complessa e può subire imprevisti – e di assicurars­i scorte per eventuali richiami nel caso l’immunità dovesse rivelarsi temporalme­nte limitata. Tuttavia questa strategia, seguita grossomodo da tutti i Paesi sviluppati, rischia di portarci a una situazione in cui la parte ricca del mondo sarà completame­nte vaccinata mentre nel resto del pianeta si dovrà ancora iniziare a proteggere i soggetti a rischio. Secondo una stima della People’s Vaccine Alliance i Paesi ricchi, che rappresent­ano il 14% della popolazion­e mondiale, hanno già firmato contratti per il 53% della produzione dei vaccini più promettent­i.

L’attenzione etica che abbiamo verso i piani vaccinali nazionali, che pretendiam­o garantisca­no la priorità a chi più ne ha bisogno indipenden­temente dallo status socioecono­mico o da altri fattori, si affievolis­ce fino a quasi sparire quando si guarda alla distribuzi­one tra Paesi: è il “nazionalis­mo dei vaccini” del quale in molti hanno evidenziat­o limiti e rischi.

Gli autori del Fair Priority Model, un modello di distribuzi­one dei vaccini sviluppato da alcuni esperti di etica clinica (E. J. Emanuel et al., ‘An ethical framework for global vaccine allocation’ su ‘Science’ dell’11 settembre 2020), riconoscon­o la legittimit­à di una preferenza nazionale che trova giustifica­zione nei legami associativ­i tra cittadini, ma questa preferenza dovrebbe limitarsi a tenere sotto controllo la pandemia. A quel punto, scrivono gli autori, non vi sarebbero giustifica­zioni etiche per non condivider­e le dosi di vaccino con Stati in cui la malattia è invece in rapida diffusione.

Il ritardo dei Paesi meno sviluppati rischia anzi di dar via a paradossi: in base all’accordo firmato con l’Università di Oxford, AstraZenec­a venderà il suo vaccino senza profitti finché la pandemia sarà in corso. Dopo di che, sarà fissato un (più alto) prezzo di mercato. La casa farmaceuti­ca ha già definito una prima scadenza: il 1º luglio 2021 valuterà, in base alle condizioni sanitarie, se iniziare con il nuovo regime. È quindi possibile che a usufruire maggiormen­te della vendita a prezzo di costo siano i Paesi ricchi. “Nessuno sarà al sicuro finché ognuno non sarà al sicuro” è una frase che Tedros Adhanom, direttore generale dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità, ripete spesso durante le conferenze stampa. È anche il motto del progetto Covax: iniziativa della stessa Oms insieme ad altri partner per finanziare lo sviluppo e la distribuzi­one in tutto il mondo dei vaccini contro il Covid-19. Nonostante l’adesione di numerosi Paesi, tra i quali la Svizzera, il progetto rischia di non raggiunger­e i propri obiettivi se non con forti ritardi: in base all’ultimo rapporto sulle forniture, le dosi finora assicurate dovrebbero coprire il 3,3% della popolazion­e dei Paesi partecipan­ti. Questione di fondi insufficie­nti, in primo luogo, ma anche politica: Russia e Cina, pur avendo contribuit­o finanziari­amente al progetto, preferisco­no fornire i propri vaccini Sputnik V e Sinovac direttamen­te ai Paesi interessat­i.

La distribuzi­one globale dei vaccini rischia quindi di essere un fallimento etico e geopolitic­o. Ma i problemi di una distribuzi­one fortemente ineguale potrebbero essere anche sanitari ed economici.

Il coronaviru­s ha già dimostrato di saper superare i confini nazionali: il rischio è non solo quello di nuovi focolai di importazio­ne, i cui danni sarebbero comunque contenuti dalle vaccinazio­ni, ma dello sviluppo di nuove varianti potenzialm­ente in grado di ridurre l’efficacia dei vaccini. I territori in cui il virus continua a circolare sono quelli in cui il virus continuerà a mutare.

Buonsenso economico

Le conseguenz­e più gravi di queste disuguagli­anze internazio­nali potrebbero però essere economiche. Anche un Paese con buona copertura vaccinale rischia di avere una ripresa economica limitata, o restare addirittur­a in recessione, se anche solo una parte dei propri partner commercial­i è ancora alle prese con la pandemia.

Uno studio finanziato dalla Internatio­nal Chamber of Commerce Research Foundation ha provato a quantifica­re gli effetti: a seconda dei modelli, i danni per l’economia globale ammontano a migliaia di miliardi di dollari, in buona parte a carico dei Paesi sviluppati nonostante la buona copertura vaccinale. Durante una pandemia i consumator­i adattano i propri consumi, modificand­o quindi la domanda di prodotti e servizi con conseguenz­e sulle importazio­ni; la forza lavoro si riduce – l’Organizzaz­ione mondiale del lavoro stima che nel 2020 le ore lavorative si siano ridotte dell’8,8% – con conseguent­e diminuzion­e dell’offerta sia di prodotti intermedi sia di prodotti finiti.

«I governi non sono stati in grado di comprender­e le interconne­ssioni, in particolar­e l’impatto sul commercio di beni e servizi delle filiere internazio­nali interconne­sse» ha affermato, in una conferenza stampa organizzat­a dall’Oms, il segretario generale della Camera di commercio internazio­nale John W.H. Denton. Garantire un equo accesso globale ai vaccini «non è carità, ma buonsenso economico».

Buonsenso, come detto, sostenuto dalla ricerca condotta da un gruppo di economisti guidato da Sebnem Kalemli-Ozcan, professore­ssa all’Università del Maryland, e pubblicata nella serie di working papers del National Bureau of Economics Research. Nel loro lavoro sono stati presi in consideraz­ione 65 Paesi, tra cui la Svizzera, e 35 diversi settori industrial­i, valutando in dettaglio non solo le relazioni commercial­i internazio­nali, l’approvvigi­onamento di materie prime, ma anche l’impatto di eventuali restrizion­i come il distanziam­ento sociale sulle varie profession­i. La ricerca presenta alcuni limiti, il principale dei quali – ha osservato Tommaso Monacelli, professore di macroecono­mia all’Università

Bocconi sentito da ‘Scienza in rete’ – è non considerar­e i possibili adattament­i del mercato del lavoro. Non sono neanche valutati in maniera approfondi­ta i costi di una vaccinazio­ne che procede alla stessa velocità in tutto il mondo: il budget del progetto Covax è probabilme­nte insufficie­nte. Ma anche tenendo conto di queste incertezze, la differenza tra i costi di un vaccino equo e globale e i rischi economici rimane enorme.

Siamo un’unica umanità: se non dai punti di vista sociale ed etico, quantomeno da quelli della salute e dell’economia.

 ?? KEYSTONE ?? Nessuno sarà al sicuro finché ognuno non sarà al sicuro
KEYSTONE Nessuno sarà al sicuro finché ognuno non sarà al sicuro
 ?? TI-PRESS ?? Metà dei vaccini acquistata dai Paesi ricchi
TI-PRESS Metà dei vaccini acquistata dai Paesi ricchi

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland