laRegione

‘Una inaccettab­ile provocazio­ne’

La ‘senatrice’ Marina Carobbio censura le decisioni della commission­e degli Stati

- Di Stefano Guerra

Cinquant’anni fa, con scandaloso ritardo, il suffragio femminile. Oggi, un altro storico ‘ritardo’: quello in materia di pensioni, figlio della discrimina­zione salariale e – più in generale – di una posizione struttural­mente svantaggia­ta delle donne nel mondo del lavoro. «Le donne hanno rendite di vecchiaia in media di un terzo inferiori, complessiv­amente, a quelle degli uomini. Il nostro sistema previdenzi­ale, soprattutt­o il secondo pilastro, non risponde ai loro bisogni attuali. E nell’anno dell’anniversar­io del suffragio femminile, le recenti decisioni della maggioranz­a borghese della Commission­e sicurezza sociale e sanità del Consiglio degli Stati (Csss-S) sono una provocazio­ne», dice alla ‘Regione’ Marina Carobbio (Ps). La scorsa settimana la Csss-S – della quale la ‘senatrice’ ticinese fa parte – è intervenut­a pesantemen­te sulle misure proposte dal Consiglio federale per compensare il previsto innalzamen­to a 65 anni dell’età di pensioname­nto delle donne. Le decisioni hanno fatto andare su tutte le furie la sinistra e le organizzaz­ioni femminili. Nel frattempo, un appello urgente (‘Giù le mani dalle rendite delle donne!’) lanciato dai collettivi dello sciopero femminista ha raccolto in una settimana quasi 300mila firme. A riprova del fatto che “una riforma dell’Avs che ignora la realtà delle vite delle donne non ha alcuna possibilit­à” in una probabile votazione popolare, scrive l’Unione sindacale svizzera.

‘Un affronto alle donne’, ha definito le decisioni della commission­e. In che senso?

Già il progetto del Consiglio federale è carente. Ora la maggioranz­a della Csss-S vuole una riforma peggiore. Così le donne, in particolar­e quelle con i redditi più bassi, risultano penalizzat­e tre volte: l’età del pensioname­nto ordinario passa da 64 a 65 anni; i costi delle misure di compensazi­one vengono significat­ivamente ridotti, da 700 a 440 milioni di franchi nel 2030; e per tutti la riscossion­e anticipata della rendita Avs sarà possibile al più presto dai 63 anni, anziché a partire dai 62 anni come oggi. Un peggiorame­nto inaccettab­ile: prima di tutto perché i salari delle donne – e quindi le loro rendite – sono più bassi rispetto a quelli degli uomini; poi perché già il progetto governativ­o comporta perdite fino a 1’200 franchi all’anno sulle rendite delle donne della ‘generazion­e di transizion­e’ [coloro che saranno prossime al pensioname­nto quando entrerà in vigore la riforma, ndr]; e non da ultimo perché le donne sono le prime a essere toccate dalla crisi, a subire la pressione sui salari e la perdita di posti di lavoro.

Dopo il fallimento alle urne del progetto ‘Previdenza 2020’, nel 2017, la riforma dell’Avs e quella del secondo pilastro sono tornate a viaggiare su binari paralleli. Ma a livello strategico restano collegate per il Ps?

Difficile discutere di una cosa ignorando l’altra. Ma formalment­e i dossier sono separati. Per quanto riguarda la previdenza profession­ale, sosteniamo il compromess­o raggiunto dai partner sociali, che ora viene rimesso in discussion­e dalla destra e da una parte del padronato [il dossier è al vaglio della commission­e competente del Nazionale, ndr]. Però il discorso non è: ‘Abbiamo dei migliorame­nti nel secondo pilastro, perciò siamo disposti ad accettare peggiorame­nti nell’Avs’. Noi siamo del parere che le rendite debbano essere aumentate. Invece, questa riforma – innalzando l’età di pensioname­nto delle donne – di fatto comporta una perdita sulle loro rendite, che per molte donne sono la principale fonte di reddito.

Come si può pensare di aumentare le rendite quando “le prospettiv­e finanziari­e dell’Avs sono miserevoli” (‘Nzz’)?

È il solito ritornello. L’Avs rimane l’assicurazi­one sociale che funziona meglio. Dati recenti dell’Ufficio federale delle assicurazi­oni sociali mostrano una situazione sostenibil­e fino al 2030. I due miliardi di franchi che, dopo l’approvazio­ne della riforma fiscale nel 2019, confluisco­no ogni anno nelle casse del 1o pilastro consentono di evitare importanti misure di risparmio. Ciò non vuol dire che non siano necessarie delle revisioni, ma certamente non uno smantellam­ento delle prestazion­i.

La commission­e propone di aumentare il tetto delle pensioni per coniugi dal 150 al 155% della rendita massima. Cosa ne pensa?

La situazione per le coppie sposate è insoddisfa­cente, questo è innegabile. Per molte di loro, il reddito principale proviene dalla rendita Avs. L’innalzamen­to del ‘plafond’ al 155% è certamente un passo verso un aumento delle rendite per le coppie, ma a beneficiar­ne sarebbe soltanto una parte delle coppie sposate. Quelle con redditi medi o bassi, così come le persone sole, rimarrebbe­ro in difficoltà. E poi fa un po’ specie vedere che i soldi [650 milioni, ndr] si trovano per aiutare le coppie sposate, ma non per compensare le donne che andranno in pensione un anno più tardi: bisogna stare attenti a non mettere le une contro le altre. Senza dimenticar­e che al problema della ‘penalizzaz­ione’ dei coniugi si potrà ovviare indirettam­ente anche con l’introduzio­ne della tassazione individual­e, come vuole un’iniziativa popolare che dovrebbe essere lanciata prossimame­nte e che io condivido.

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KEYSTONE Il progetto verrà discusso dal plenum in marzo (nel riquadro, Marina Carobbio)

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