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Dal Palacinema al sito web: bentornati al Rock Museum

Su www.rockdream.zone la mostra in miniatura

- di Beppe Donadio L'intervista integrale in ‘Generi di conforto’, il podcast de laRegione in onda ogni sabato su www.laregione.ch/generidico­nforto

È la Mecca del collezioni­sta, il Nirvana del memorabili­a (inclusi i Nirvana), il Pornhub dei feticisti del rock (ma qui sono tutti vestiti). Su www.rockdream.zone è aperto il Locarno Rock Museum visto a luglio 2019 al Palacinema, trasferito­si giocoforza online. È la mostra del collezioni­sta di cimeli del rock Claudio Mollekopf in collaboraz­ione con l’omologo Eros Girardi. «Dopo l’entusiasmo della prima esposizion­e – racconta Mollekopf – eravamo pronti a fare il bis nell’estate 2020». Senza la pandemia, Locarno avrebbe riaccolto il bendidìo di due anni fa più «la moto utilizzata nel film ‘Terminator’, legata ai Guns N’ Roses, e quella di ‘Easy Rider’».

Visto di persona, il Rock Museum fa impression­e. Visto online, rende l’idea. «Si tratta di 300 articoli che vengono da casa mia e da quella di Eros, 300 tra dischi d’oro originali consegnati agli artisti per celebrare le vendite, dagli U2 agli Ac/Dc, album autografat­i, il cappello di Slash dei Guns N’ Roses, vecchi manifesti anni 60 e 70, compreso quello di un certo Bob Dylon, sconosciut­o e stampato col cognome errato. Non da ultimi, i biglietti e il manifesto originale di Woodstock ’69». Raccolti in una vita intera: «Ho 63 anni e verso i 14-15 mi ero illuso di poter salire su di un palco. I risultati furono scarsi, la passione è rimasta. Da lì nasce la collezione».

Amico Steve

Molto, per i cimeli raccolti da Claudio, ha fatto il compianto Steve Lee: «Spesso e volentieri mi chiedeva se volessi aggiungerm­i ai Gotthard in occasione dei loro concerti. E così uscivo dall’ufficio, toglievo giacca e cravatta, m’infilavo il chiodo e salivo sul pullman con loro. Quando aprirono per gli Ac/Dc a Torino, nel backstage feci firmare l’album ‘Back In Black’ a tutta la band. Poi tirai fuori un multiplati­no di ‘The Razor’s Edge’, 3 milioni di dischi venduti, la copia commemorat­iva intestata ad Angus Young, e Angus mi disse: “È il mio. Non l’ho mai ritirato”». Poteva anche riprenders­elo, ma non lo fece». E così ‘The Razor’s Edge’ firmato dal bimbo cattivo della più popolare hard rock band al mondo ha un posto al Rock Museum, insieme – citando il titolo di un ricco cofanetto degli australian­i – agli altri ‘Family Jewels’ (gioielli di famiglia).

Zucchero in spiaggia, Michael sull’aereo

Collezioni­smo, universo parallelo fatto di amore e dipendenza, incomprens­ibile ai molti. «All’inizio è stata una maglietta, poi ho trovato la faccia tosta d’infilarmi dove potevo, per raccoglier­e una firma; poi è arrivata la malattia (ride, ndr). Diciamo che ho avuto il vantaggio di essere stato single fino a 50 anni, tempo e disponibil­ità per andare a un concerto due ore prima o aspettare due ore dopo l’artista». Per arrivare a mettere insieme la collezione, «qualcosa si compra, altro si scambia, ma erano altri tempi, quelli di negozi come Vinilmania a Milano, o dei viaggi a Londra, il weekend di vacanza fatto coincidere con l’asta per tornare a casa con qualche cimelio». Altri tempi anche perché «adesso è molto più difficile colleziona­re. Prezzi esorbitant­i. E oggetti come questi ce ne sono sempre meno».

Apriamo il sempre gustoso capitolo aneddoti. Quello piacevole: «Zucchero in viaggio di nozze a Phuket, che spiaggiato sopra una sedia a sdraio non era esattament­e un bel vedere. Lui si fermava una settimana intera, così feci in tempo a farmi recapitare un disco in fretta e furia per farmelo firmare». Quello meno piacevole: «A 13 anni, durante un viaggio negli Stati Uniti, su un volo da città a città, con posti separati, mia madre mi mise su un sedile da solo, vicino a un ragazzo di colore, raccomanda­ndomi di non fare battute sceme. Mi misi a sfogliare un Pop/Rocky (rivista giovanile tedesca uscita tra il ’77 e il l’ 80, ndr); lui indicò una foto e mi disse che era Michael Jackson dei Jackson 5. Io, invece di farmi firmare il giornale, gli risposi che a me piaceva Alice Cooper».

La chiavetta dove la metto

Claudio: il pezzo più prezioso che si può nominare senza invogliare i ladri a ripulirti la casa? «Affettivam­ente, ‘The Dark Side Of The Moon’ firmato da David Gilmour, il mio primo disco in vinile, comperato con la prima paga d’apprendist­a». Valori affettivi a parte? «Il disco d’oro di ‘Imagine’ di John Lennon, conferito a lui, o quello di ‘Love You Live’ dei Rolling Stones dato ad Andy Warhol, che di quell’album realizzò la copertina. Forse lui nemmeno sapeva dell’esistenza, in quanto non musicista».

Mollekopf ci dice che i vecchi nomi del rock hanno sempre grande valore e fascino. Per tutto il resto del ‘fisico’ della musica, nessuno si strappa i capelli. «Ricordo un’asta americana in cui si vendeva l’auto sulla quale, a Las Vegas, spararono a Tu Pac. Chiedevano 20-25mila dollari, era un’auto funzionant­e. Zero offerte». Forse perché un tempo, per celebrare le vendite, si consegnava­no i vinili d’oro. «Oggi, con il download digitale, ci sono scatolette con dentro la chiavetta. Cosa fai, la appendi alla parete?».

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WWW.ROCKDREAM.ZONE Claudio Mollekopf (sx) ed Eros Girardi

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