laRegione

No allo sfruttamen­to spietato

- di Gianfranco Cavalli, Locarno

Il prossimo 7 marzo saremo invitati ad esprimerci per la prima volta su un accordo di libero scambio, in questo caso con l’Indonesia. L’economia indonesian­a è basata sulle monocultur­e e sull’estrazione mineraria ed è il risultato di un lungo processo storico. Un lavoro cominciato sotto il dominio coloniale dell’Olanda e portato avanti fino ad oggi attraverso tutta una serie di programmi struttural­i che hanno deregolame­ntato l’economia e permesso la massiccia espansione delle aree di piantagion­i e lo sfruttamen­to indistinto delle risorse minerarie. L’unico tentativo di rompere con gli schemi di accesso e di controllo delle terre (ideati nell’epoca coloniale e vigenti tutt’oggi) è finito in un bagno di sangue. Più di un milione di comunisti, socialisti e militanti per i diritti civili hanno pagato con la loro vita la proposta di riformare l’economia. Ad oggi, in Indonesia, lo sfruttamen­to spietato tanto delle risorse naturali quanto degli esseri umani è all’ordine del giorno, solo nel 2019 una superficie come il Ticino è stata distrutta per fare spazio alle piantagion­i di palma d’olio e un milione e mezzo di bambini lavorano attualment­e nella filiera produttiva dell’olio di palma. L’accordo che andremo a votare non farà che peggiorare le cose, esso prevede infatti una protezione più rigorosa della proprietà intellettu­ale e una liberalizz­azione del settore bancario. Di tali disposizio­ni benefician­o soprattutt­o le industrie farmaceuti­che e finanziari­e. Per la popolazion­e indonesian­a, invece, significa medicine più costose, un settore bancario locale indebolito e un accesso più difficile alle sementi. Se vogliamo mettere al centro le persone e l’ambiente e non l’interesse delle multinazio­nali, il prossimo 7 marzo dobbiamo votare no all’accordo di libero scambio con l’Indonesia.

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