No allo sfruttamento spietato
Il prossimo 7 marzo saremo invitati ad esprimerci per la prima volta su un accordo di libero scambio, in questo caso con l’Indonesia. L’economia indonesiana è basata sulle monoculture e sull’estrazione mineraria ed è il risultato di un lungo processo storico. Un lavoro cominciato sotto il dominio coloniale dell’Olanda e portato avanti fino ad oggi attraverso tutta una serie di programmi strutturali che hanno deregolamentato l’economia e permesso la massiccia espansione delle aree di piantagioni e lo sfruttamento indistinto delle risorse minerarie. L’unico tentativo di rompere con gli schemi di accesso e di controllo delle terre (ideati nell’epoca coloniale e vigenti tutt’oggi) è finito in un bagno di sangue. Più di un milione di comunisti, socialisti e militanti per i diritti civili hanno pagato con la loro vita la proposta di riformare l’economia. Ad oggi, in Indonesia, lo sfruttamento spietato tanto delle risorse naturali quanto degli esseri umani è all’ordine del giorno, solo nel 2019 una superficie come il Ticino è stata distrutta per fare spazio alle piantagioni di palma d’olio e un milione e mezzo di bambini lavorano attualmente nella filiera produttiva dell’olio di palma. L’accordo che andremo a votare non farà che peggiorare le cose, esso prevede infatti una protezione più rigorosa della proprietà intellettuale e una liberalizzazione del settore bancario. Di tali disposizioni beneficiano soprattutto le industrie farmaceutiche e finanziarie. Per la popolazione indonesiana, invece, significa medicine più costose, un settore bancario locale indebolito e un accesso più difficile alle sementi. Se vogliamo mettere al centro le persone e l’ambiente e non l’interesse delle multinazionali, il prossimo 7 marzo dobbiamo votare no all’accordo di libero scambio con l’Indonesia.