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Il virus, la volpe, la Cina, l’Oms

- Di Ivo Silvestro

C’è una grande incognita, nei primi risultati dell’indagine avviata dall’Organizzaz­ione mondiale della sanità sulle origini del coronaviru­s.

In una lunga conferenza stampa – tanto lunga quanto povera di novità, hanno già commentato alcuni –, il gruppo di esperti dell’Oms ha affermato di aver valutato principalm­ente quattro scenari, tra cui il famigerato incidente di laboratori­o. Ma alla fine l’ipotesi giudicata maggiormen­te verosimile rimane quella sulla quale già si puntava la scorsa primavera: lo spillover, il passaggio dai pipistrell­i all’uomo attraverso un ospite intermedio ancora sconosciut­o. Quello che adesso sappiamo è che verosimilm­ente il mercato di Wuhan non è stato il luogo in cui è avvenuto questo salto di specie, ma sempliceme­nte quello del primo focolaio. Per il resto, poche certezze e pochi dati: come ha affermato l’esperto cinese Liang Wannian, “sulla base delle informazio­ni attuali non è possibile determinar­e come il virus sia arrivato nel mercato di Wuhan”. Non vi sono prove della diffusione del virus prima di dicembre 2019 e un numero impression­ante di campioni prelevati da animali selvatici e d’allevament­o è risultato negativo. In attesa del rapporto conclusivo dell’indagine, ci dobbiamo limitare a quanto affermato dal responsabi­le del team Ben Embarek: l’ipotesi di un incidente di laboratori­o è “estremamen­te improbabil­e”, visti i livelli di sicurezza estremamen­te sofisticat­i nelle strutture visitate dall’Oms.

Non stupisce che per alcuni esperti – come Alina Chan intervista­ta sull’edizione di sabato 6 febbraio – con questa scarsità di prove sia meglio sospendere il giudizio sulle origini del virus, evitando di parlare di maggiore o minore probabilit­à. Cautele forse eccessive, ma comprensib­ili, dal momento che la valutazion­e non dipende solo da prove scientific­he. Se troviamo una cacca di volpe davanti alla porta di casa, possiamo pensare che si tratti di escrementi lasciati da un animale selvatico che passava da quelle parti oppure sospettare che sia coinvolto il nostro vicino di casa. Su quale delle due ipotesi puntare dipende certamente da alcuni fattori naturali – viviamo in città o in campagna? – ma soprattutt­o da quanto ci fidiamo del nostro vicino. È questa la vera grande incognita, in questa faccenda e nell’indagine dell’Oms: la fiducia che possiamo, e vogliamo, riporre nelle autorità cinesi. Quanto quei rigidi protocolli di sicurezza erano effettivam­ente applicati? I coronaviru­s erano studiati con quel livello di biosicurez­za oppure con uno più basso? La risposta dipende da quanto ci fidiamo e l’Oms non può che riporre grande fiducia, altrimenti il suo team non sarebbe mai arrivato in Cina. Perché l’Oms non ha l’autorità che possono avere le forze dell’ordine durante una perquisizi­one: è piuttosto l’inquilino che gentilment­e chiede di poter entrare in casa d’altri per capire da dove arriva la perdita d’acqua. Conoscere l’origine del virus è utile per capire quali provvedime­nti è bene prendere per ridurre il rischio di un’altra pandemia. Tuttavia anche l’incertezza in cui ci troviamo dovrebbe spingerci a ragionare su possibili – per quanto utopici – provvedime­nti, come rendere l’Organizzaz­ione mondiale della sanità maggiormen­te indipenden­te dai governi o addirittur­a permetterl­e, per quanto riguarda indagini e vigilanza, di muoversi con una certa autonomia, senza attendere il benestare delle autorità statali.

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