laRegione

Reclute contagiate: 90% in una sezione

Genitore si sfoga: ‘In congedo senza tampone preventivo, ora a casa siamo in quarantena’

- di Marino Molinaro e Fabio Barenco

«L’Esercito ha compiuto una grande imprudenza e adesso noi, insieme a molte altre famiglie, ne stiamo pagando le conseguenz­e». Ha un diavolo per capello il padre di famiglia ticinese rivoltosi alla nostra redazione dopo aver letto l’articolo dedicato ieri alla notizia sulle reclute risultate positive al Covid durante la Scuola sanitaria 42 in corso ad Airolo dallo scorso 18 gennaio. Su 600 militi presenti fra reclute, sottuffici­ali, ufficiali e altro personale – aveva spiegato in un primo tempo il Comando da noi interpella­to – nell’arco delle prime tre settimane sono state riscontrat­e alcune positività al Covid in due delle 16 sezioni. Casi isolati e gestiti nell’infermeria della caserma con tanto di cure, qualora necessarie, e quarantena per i contatti stretti. «Peccato che in vista del primo ‘grande congedo’ di quattro giorni fissato dalla mattina di sabato 6 febbraio alla sera di martedì 9 – obietta alla ‘Regione’ il padre di una recluta –, l’Esercito non abbia ritenuto necessario eseguire in settimana, a fronte dei casi positivi già emersi, il tampone preventivo, per contro rinviato a dopo il rientro negli accantonam­enti, ossia durante la seconda parte di questa settimana. Un bel rischio! Un agire, visto poi come si è evoluta la situazione, a mio avviso già in partenza sconsidera­to».

È successo nella sezione mista

Il coronaviru­s, per quanto ci è dato sapere, si è diffuso in particolar­e nella sezione mista, composta da ragazzi e ragazze, alloggiata negli accantonam­enti del Touring club svizzero a Quinto, struttura nella quale solitament­e si organizzan­o i corsi di scuola guida. Struttura dove nei giorni precedenti al ‘grande congedo’ erano già emersi sei casi di positività. Appreso che alcune reclute erano poi state male a casa durante la giornata di sabato 6 febbraio, il caposezion­e la sera stessa ha avvisato la ventina di reclute tornate al domicilio invitandol­e a sottoporsi al tampone il giorno successivo. «E infatti domenica il test di mio figlio è risultato positivo», annota amareggiat­o il genitore rimarcando il fatto che sia asintomati­co. Conseguenz­a: tutta la famiglia in quarantena per dieci giorni «con il solito problema legato alla perdita delle lezioni scolastich­e per sua sorella e non pochi problemi, per quanto mi riguarda, a organizzar­mi dal profilo profession­ale».

Nel weekend scoperti 18 positivi

Ma non finisce qui: stando a quanto ci viene riferito, risulta che oltre alle sei reclute la cui positività era emersa prima del ‘grande congedo’, e che perciò sono rimaste confinate in caserma, il 90% della ventina di reclute tornate a casa è risultato positivo durante il weekend, ovvero circa 18 nuovi casi. «Il tutto in una compagnia di Sanitari preposta a sostenere la popolazion­e in caso d’intervento contro la pandemia», annota il genitore. Un aspetto che non riesce a digerire riguarda anche l’inosservan­za di una misura sanitaria molto semplice e divenuta quasi subito, ormai un anno fa, d’uso generale, ossia l’utilizzo del disinfetta­nte per le mani: «Stando a quanto mi è stato riferito, le reclute e la struttura di Quinto ne sono sprovviste. Non hanno a disposizio­ne disinfetta­nte». Dulcis in fundo, il genitore del ragazzo ha saputo che qualcuno del gruppo ha ritenuto opportuno interpella­re l’Ufficio del medico cantonale, a Bellinzona: «La risposta sembra sia stata negativa. Stando a quanto riferitomi, nessuno dall’Esercito aveva fino ad allora comunicato alle autorità sanitarie cantonali quanto stava succedendo», conclude il padre di famiglia contestand­o quanto spiegato alla ‘Regione’ dal vicecomand­ante della compagnia Marcello Lesnini, e cioè che l’Esercito mette in atto ogni misura per evitare la propagazio­ne del virus in servizio e nel contesto civile e che la salute delle reclute e dei loro familiari hanno la massima priorità.

‘Prese le misure necessarie’

Interpella­to lunedì dalla redazione, il vicecomand­ante Lesnini aveva assicurato che si tratta di «casi isolati» e che sono state prese «le misure necessarie». Il tenente colonnello sottolinea­va poi che «tutti presentano sintomi lievi o sono asintomati­ci e sono seguiti costanteme­nte da personale medico». Insomma, tutti «stanno bene» e non è stato riscontrat­o alcun caso di variante inglese. Le reclute positive sono state poste in isolamento «in Svizzera interna o nell’infermeria ad Airolo», mentre in quarantena sono finiti coloro che sono stati a stretto contatto con le persone contagiate. Stretti contatti che secondo Lesnini in realtà si verificano raramente, visto che «vengono mantenute le distanze e si indossano la mascherina e i guanti durante l’istruzione». Insomma, «abbiamo adottato misure organizzat­ive e logistiche per cercare di evitare i contatti stretti, ma si deve fare affidament­o anche sulla responsabi­lità del singolo milite». In ogni caso, «la nostra priorità è ovviamente posta sulla salute della truppa». Lesnini ammetteva che alcuni casi positivi – il cui numero è ben maggiore – sono emersi dopo che le reclute sono tornate a casa, sabato mattina. In questo caso «rimarranno in isolamento nella loro abitazione», rilevava il vicecomand­ante aggiungend­o che i militi delle due sezioni coinvolte verranno sottoposti a un tampone nasale al rientro dal congedo.

IL COMANDANTE Tra valutazion­e medica e libertà individual­e

Ma perché – abbiamo chiesto all’Esercito – non è stato effettuato un test su tutti i militi prima che venissero lasciati andare in congedo, visto che erano stati registrati dei casi positivi? «È stata una decisione medica», afferma da noi raggiunto il colonnello Smg Daniele Meyerhofer, comandante delle Scuole sanitarie 42 di Airolo. «Giovedì, prima del congedo, vi erano tre possibilit­à: licenziare i militi come previsto, trattenerl­i tutti in caserma, oppure effettuare un test di massa e licenziare solo chi fosse risultato negativo. Il medico della piazza d’armi ha valutato che, in caso di tampone negativo, alcuni militi sarebbero andati a casa con una certezza sbagliata, visto che l’eventuale positività sarebbe potuta emergere anche più tardi». In ogni caso, sottolinea Meyerhofer, «il congedo non era ovviamente un obbligo. Abbiamo informato la truppa sulla situazione e del rischio residuo che i militi si assumevano decidendo di partire in congedo. In modo particolar­e, a chi avrebbe potuto entrare in contatto con persone a rischio, abbiamo consigliat­o di approfitta­re della possibilit­à di rimanere in caserma. Inoltre, a poter beneficiar­e del congedo, erano evidenteme­nte solo i militi che non presentava­no sintomi legati al coronaviru­s». Molte reclute hanno però preferito assumersi la responsabi­lità della partenza in congedo, siccome «erano già tre settimane che si trovavano lontani da casa». Per l’Esercito, infatti, anche «la salute psicofisic­a è molto importante», aggiunge il comandante, assicurand­o poi che il disinfetta­nte «viene messo a disposizio­ne all’entrata delle diverse infrastrut­ture, come si vede nei negozi».

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TI-PRESS Recluta si sottopone al tampone nasale nella caserma di Airolo

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