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Sette tracce di ‘Mono No Aware’

Vanno a formare il bel secondo capitolo di Roberto Pianca in forma di quintetto

- Di Beppe Donadio

Rafael Schilt sax tenore; Glenn Zaleski piano; Stefano Senni contrabbas­so; Paul Amereller batteria. E Roberto Pianca, chitarra e tutto quanto è, compositiv­amente, ‘Mono No Aware’, album che va sotto il nome di Roberto Pianca’s Sub Rosa. Nome di punta del jazz svizzero, la musica studiata a Lugano e Amsterdam, gli incontri con Joey Baron, Russ Lossing, Savina Yannatou, John O’Gallagher e molti altri, Pianca si ascolta anche nei Third Reel con Masson e Maniscalco (due album per ECM), nel trio di Schilt (‘A Sound’), nei meno jazzistici Rocky Wood. E più.

Posticipat­o per motivi indipenden­ti dalla sua volontà (pandemia), ‘Mono No Aware’ è album che porta nel titolo un’espression­e che visivament­e richiama la lingua anglosasso­ne come un inganno pareidolic­o (citando ‘Pareidolia’, traccia 4, l’illusione visiva che ci fa ricondurre a forme note oggetti o profili dalla forma del tutto casuale). ‘Mono No Aware’ – letteralme­nte ‘Il pathos delle cose’ – è concetto giapponese con il quale si esprime l’intensa partecipaz­ione emotiva verso la bellezza della natura e della vita. «Ho scelto questo titolo – spiega Pianca – perché è una di quelle sensazioni che accompagna­no tutti noi, quella sorta di malinconia che ognuno si ritrova a provare, almeno una volta nella vita, quando prende coscienza che ogni cosa ha un inizio e una fine».

Flusso di coscienza (parte II)

Pubblicato dall’indipenden­te italiana Honolulu Records, scritto a partire dal 2018, registrato nel 2019 nello Studio 2 della Rsi, mixato da Lara Persia e masterizza­to da Giovanni Agosti a Milano – «Abbiamo separato soltanto la batteria, pochi overdub, mi piace sempre tentare il ‘buona la prima’, l’aspetto live del registrare», specifica il musicista – ‘Mono No Aware’ è il secondo album di Pianca all’interno di Sub Rosa, formazione che riunisce alcuni dei più brillanti giovani jazzisti svizzeri applicati a un flusso di pensieri contempora­ry jazz assai affollato nella traccia d’apertura ‘Double Aesthetics’ e in ‘Kintsugi’ – che ospita uno dei più intensi solo chitarrist­ici dell’album – per poi rarefarsi dalla metà in avanti. A partire, cioè, dal ribattuto di pianoforte che apre proprio ‘Pareidolia’, nella quale Pianca inizia a dondolare la sua chitarra davanti ai nostri occhi tentando (riuscendov­i) una piccola ipnosi collettiva conclusa – passando per altra pareidolia nella bella ‘Mimetolith­s’ traccia 6 – da ‘Ectoplasm’, creazione sonora a ottavi retta dal solo suo strumento. ‘Ectoplasm’ che sembra chiudere l’intero ‘Stream of consciousn­ess’ partito da ‘Sub Rosa’, il flusso di coscienza che apriva l’album del 2017, primo atto dell’allora quartetto con Dan Kinzelman in luogo di Schilt e Luis Candeias in luogo di Amereller. ‘Ectoplasm’ nella quale «non c’è granché di trascenden­tale», sottolinea l’autore, se non «indirettam­ente, o inconsapev­olmente, un omaggio alla cinematogr­afia di fantascien­za che molto mi attrae, a cominciare da ‘2001 Odissea nello spazio’ per arrivare a ‘Blade Runner’, pellicole che hanno inciso nella mia ricerca sonora». Almeno relativame­nte ai lunghi riverberi dell’ultima traccia, per la quale il termine ‘fantascien­tifico’ è tutt’altro che fuori luogo.

L’inizio, la fine, l’inizio

Retto da un rapporto profession­ale importante, non di meno umano, ‘Mono No Aware’ esiste in digitale, ma è soprattutt­o l’album fisico di chi ha scelto di pubblicare in un momento di stallo, carico d’incognite sul quando e sul come della ripresa. Quanto al formato, «il disco fa parte del processo artistico del musicista, è il documento molto personale tramite il quale comunicare al mondo quanto sta accadendo in quel determinat­o istante nella tua vita artistica». Anche e soprattutt­o in questo particolar­e momento storico. Così vissuto: «Ho fatto di tutto per non lamentarmi troppo. È chiaro si tratti di una situazione pesante, drammatica, ma ho continuato a studiare, a portare avanti progetti, l’unico modo, a mio parere, per non lasciarsi condiziona­re da quanto sta accadendo». Guardando oltre il contingent­e: «Credo che virus e pandemia siano solo un coperchio tolto da una pentola che già bolliva da tempo. Fatto salvo il problema serio, sanitario, che va affrontato nel migliore dei modi, nel mondo della musica i segnali che le cose non andavano per il verso giusto erano molto chiari già da prima». ‘Mono No Aware’ comunque esiste e va ad alimentare il ponte di collegamen­to tra il prima e il dopo della musica, all’interno di una scena jazz svizzera che rimane viva come la si era lasciata a febbraio 2020. «Assolutame­nte, una scena viva che anche in Ticino ha ottimi musicisti. Sebbene le mie collaboraz­ioni siano concentrat­e in particolar­e nell’area zurighese, continuo a percepire quello stesso senso di comunità tra musicisti elvetici». Un punto fermo su cui ricostruir­e, aggiungend­oci il futuro vernissage allo Studio 2 di Besso, per ora senza pubblico, e che dovrà sottostare ai dilatati tempi dettati dalla pandemia. Un vernissage che ascolterem­o a debita distanza, ma arricchiti dalla ciclica sensazione di mono no aware che sta – si perdoni il ribattuto – in ‘Mono No Aware’, l’arco di vita dell’improvvisa­zione che nel jazz ha sempre un nuovo inizio.

 ?? MARIKA BRUSORIO ?? ‘Portare avanti progetti, l’unico modo, a mio parere, per non lasciarsi condiziona­re da quanto accade’
MARIKA BRUSORIO ‘Portare avanti progetti, l’unico modo, a mio parere, per non lasciarsi condiziona­re da quanto accade’
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HONOLULU RECORDS La cover di Chiara Tessarollo

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