È morto Jean-Claude Carrière
Quando muore uno sceneggiatore solo raramente la notizia colpisce al cuore gli appassionati di cinema: da sempre il suo mestiere è noto fra gli esperti e i professionisti del settore, ma la sua gloria rifulge di riflesso, grazie alla fama dei suoi registi e alla popolarità dei film che ha scritto. Forse Jean-Claude Carrière (morto nel sonno nella sua casa parigina a 89 anni) farà eccezione, tanto la sua figura giganteggia nella storia del cinema e tale è stata la sua influenza sul cinema internazionale e il teatro francese. Di lui si dice che è stato l’anima di Luis Buñuel, ma sarebbe impossibile limitarlo a questo, vista la mole della sua opera per il cinema e la televisione (oltre 80 titoli) e una carriera che è un autentico monumento all’arte di scrivere con le immagini.
Figlio di viticoltori, occitano d’origine, la sua passione è la storia, ma presto abbandonerà le velleità accademiche attratto dalla creatività. Per tutta la vita si definirà come un “cantastorie” e subirà le influenze tardive del surrealismo e dell’arte mimica, grazie all’amicizia con Pierre Étaix e Jacques Tati che lo portano a cimentarsi nella scrittura cinematografica. Un anno dopo, comincia a lavorare con Buñuel nel 1964 al ritorno a Parigi del grande regista spagnolo, ma già nel ’65 sarà Louis Malle a chiamarlo per ‘Viva Maria!’. Grazie alla passione per le lingue si scopre un talento internazionale che lo mette a suo agio nella scrittura di copioni ambientati fuori dalla Francia come quando nel 1971 sarà a fianco di Milos Forman per il rivoluzionario ‘Taking Off’. Intanto diventa famoso con ‘Bella di giorno’ (1967) e non si imbarazza a scrivere storie nei generi più diversi, dal noir psicologico (‘La piscina’ con Alain Delon e Romy Schneider) al gangster movie (‘Borsalino’, 1970), dal romanzo sentimentale (‘Un po’ di sole nell’acqua gelida’ da Françoise Sagan) al racconto allegorico (‘Il monaco’ di Ado Kyrou). Il trionfo de ‘Il fascino discreto della borghesia’ (Luis Buñuel, 1972) ne fa una star internazionale ma nello stesso periodo stringe un sodalizio fecondo con Peter Brook (sceneggerà più tardi il suo leggendario ‘Mahbhrata’) e diventa amico di Marco Ferreri per cui scrive ‘La cagna’ con Catherine Deneuve nel 1972. Ormai il suo studio parigino è diventato la meta obbligata dei migliori registi internazionali: Jacques Deray, Peter Fleischmann, Alain Corneau, Volker Schlöndorff (con ‘Il tamburo di latta’ vinceranno la Palma d’oro a Cannes e l’Oscar), Jean-Luc Godard, Nagisa Oshima, Andrzej Wajda.
Proprio perché narratore nell’anima, appassionato saggista, autore di teatro e romanziere, Jean-Claude Carrière può oggi essere ricordato come uno scrittore completo e un insostituibile frequentatore della grande letteratura che, nelle sue mani, si traduce in immagini e racconti filmati. Non aveva pudore nell’adottare l’infedeltà apparente rispetto a capolavori letterari per trarne il senso profondo e restituir loro una nuova vita attraverso i percorsi popolari del cinema. Alto, appassionato, dotato di una voce profonda e seducente, era un gentiluomo che sapeva riassumere in ogni gesto l’ampiezza delle sue passioni culturali senza mai apparire come un maestro in cattedra. Conosceva l’arte di semplificare senza tradire, di essere profondo senza apparire saccente ed era di casa in ogni contesto sociale e culturale.