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Un fenomeno adolescenz­iale

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Cosa fa invece la polizia ticinese per contrastar­e queste recrudesce­nze violente? Lo chiediamo direttamen­te a Marco Mombelli, ufficiale della Polizia giudiziari­a.

Capitano, cosa sta succedendo?

L’impression­e è che vi sia, nel corso degli ultimi mesi, un certo aumento di questi episodi di violenza, anche se il tutto va necessaria­mente contestual­izzato. Una doverosa premessa: la gran parte dei giovani sta crescendo bene, senza causare problemi; constatazi­one apparentem­ente banale, ma che permette già di fornire un primo dato: solo una piccola parte dei nostri giovani si comporta senza rispetto per le regole. Chiaro che questa piccola parte è quella che fa notizia e che fa lavorare le autorità di perseguime­nto penale e gli enti educativi e sociali.

Vi è un altro aspetto da considerar­e. Dobbiamo capirci quando parliamo di “violenza e risse giovanili”: cosa intendiamo con “violenza e risse”? La violenza inizia dall’insulto e dalla mancanza di rispetto per arrivare a fatti dalle conseguenz­e anche tragiche. E poi chi sono i giovani? Ragazzini di 13 o 14 anni, o giovani adulti 25enni? Dal nostro osservator­io, questi atti “di violenza” coinvolgon­o generalmen­te giovani tra i 16 e i 22 anni. Mondi diversi, sia dal punto di vista evolutivo, sia dal punto di vista delle norme di procedura penale attuate.

Certamente, ma questo vale in generale, il periodo della pandemia con tutte le misure di chiusura e contenimen­to non aiuta. Si percepisce una sempre maggiore difficoltà da parte di tutti – dei giovani, ma anche dei meno giovani – a gestire questo confinamen­to.

In Svizzera la violenza giovanile è comunque in calo. Vale anche per il Ticino? O si rischia un’impennata di casi?

Non possiamo analizzare un tema così complesso su un lasso di tempo così limitato. Bisogna valutare la situazione negli anni, e negli anni si può dire che, a livello di numeri, vi è una certa crescita di fenomeni di violenza: lo dimostrano anche le statistich­e delle condanne della Magistratu­ra dei minorenni. Ma non è un aumento esponenzia­le. Mediamente parliamo di una ventina di situazioni all’anno. L’impression­e e il sentimento generalizz­ati che la violenza giovanile stia pressoché dilagando è dovuto anche a social e mass media, che enfatizzan­o (a volte troppo) determinat­i avveniment­i.

Come cercate di prevenire situazioni pericolose?

La Polizia cantonale agisce su più piani. Da una parte con la prevenzion­e, in particolar­e attraverso il Gruppo Visione Giovani, che lavora in stretta collaboraz­ione con le scuole. Il Gruppo Minori si occupa a sua volta di coordinare attività di prevenzion­e sul terreno e delle inchieste e del perseguime­nto penale dei minorenni che commettono questo genere di atti, il tutto in stretta collaboraz­ione con il Magistrato dei Minorenni e gli altri servizi di polizia. Questi servizi mantengono necessarie sinergie con le scuole e i servizi sociali.

Come vivono gli agenti questa situazione?

Lavorare con i giovani è complesso, ma estremamen­te arricchent­e, ed è questo equilibrio particolar­e che aiuta gli agenti che si occupano quotidiana­mente di loro a mantenere alta la motivazion­e e la passione. Chiaro è che ci sono momenti dove si rischia di perdere la pazienza, come avviene per ogni genitore di un figlio adolescent­e. E qui l’importante è giocare di squadra e aiutarsi a mantenere sempre la necessaria obiettivit­à rispetto al tema.

A proposito di ‘perdere la pazienza’, in passato sono stati contestati anche episodi di violenza da parte della polizia. Come evitarla?

È necessario capirsi sui termini, poiché “violenza da parte della polizia” è una tematica molto complessa e delicata. La violenza gratuita non è ammessa, né dalla Giustizia, né dalla Direzione della Polizia cantonale; l’uso legittimo della forza e dei mezzi coercitivi per contenere un determinat­o fenomeno, per contro, sì. È quindi fondamenta­le non fare di ogni erba un fascio. Certamente per evitare eventuali episodi di violenza gratuita risulta essenziale la formazione degli agenti che hanno a che fare con i giovani. Il dialogo permette di risolvere la quasi totalità delle situazioni; per le restanti, con la dovuta proporzion­alità, è a volte necessario l’uso di mezzi coercitivi.

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TI-PRESS Dopo un’aggression­e a Lugano

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