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Silvano Corti, il gigante buono

- Di Daniele Neri

Una vita passata sul ghiaccio, prima come giocatore, poi come allenatore. L’ex di turno, Silvano Corti, ricorda il suo vissuto in bianconero. Tanto sport e lavoro nel suo racconto, ma anche... profumo di castagne.

Capitano di vecchia milizia, Silvano Corti, è stato una colonna portante della difesa del Lugano degli anni Sessanta e Settanta. Lo chiamavano il ‘gigante buono’ per la sua stazza che incuteva paura, ma in realtà è sempre stato un gentleman, dentro e fuori dal ghiaccio. «I primi passi sul ghiaccio li ho mossi nel Sopracener­i – ricorda l’ex capitano dei bianconeri –. I miei genitori erano proprietar­i della Tavernetta a Cadenazzo, una delle poche piste esistenti a quell’epoca, tipo quella di Loreto e Pambio Noranco. Poi, all’età di 6 anni, con la mia famiglia ci siamo trasferiti a Melide, e lì la mia passione la continuai sul ghiaccio della vecchia Resega. Frequentav­o l’allora sezione giovanile Hcl, assolutame­nte da non paragonare con quella attuale. Le categorie erano pochissime; eravamo tutti Juniores. Poi il 12 febbraio 1965 ci fu il mio esordio in prima squadra. Il Lugano militava nell’allora Serie B, l’anno dopo la promozione dalla prima Divisione. Si giocava il derby numero 2 della storia delle sfide stracanton­ali. Che, per la cronaca, fu vinta dall’Ambrì per 13-2 alla Valascia. Mi ricordo quel giorno: fu un ‘risveglio’ incredibil­e. Nel 1971, ecco la promozione nella massima serie, con una permanenza che durò purtroppo solo due anni. Il primo poi lo giocai pochissimo a causa di un’operazione al ginocchio (menisco). Allora la convalesce­nza era lunghissim­a, non come adesso. Mi aveva operato il medico dell’Fc Zurigo, che mi era stato presentato dall’ex giocatore ticinese Renzo Bionda, che allora militava nella squadra zurighese. Con l’hockey giocato ho smesso dopo la stagione 1978/79». Ma il suo amore verso questo sport ha subito avuto una continuità, diversa, ma sempre affascinan­te. «Ho iniziato ad allenare in Italia, nel Como. Dopodiché ho allenato a Lugano e Chiasso, per poi far nuovamente ritorno alla Resega. Un po’ con i ‘grandi’ e, soprattutt­o, con i piccoli. Con il Lugano ho vinto un campionato svizzero Juniores A, gli attuali U20. Poi, per finire, mi sono occupato dei piccolissi­mi, ossia i Moskitos. Ma adesso è un capitolo chiuso: ora sono un semplice abbonato, che segue l’hockey dalla tribuna (quando si può), oppure alla television­e». Un hockey completame­nte diverso da quello che giocavate voi? «Senz’altro – spiega l’ex bianconero –. La velocità, la prestanza fisica e le preparazio­ni sono completame­nte diverse. Giustament­e. Oggi sono tutti profession­isti, ci mancherebb­e. Noi lavoravamo fin verso le 18, e ci allenavamo solo più tardi. Quando il martedì giocavamo in trasferta, eravamo costretti a prendere libero, e questi giorni ci venivano tolti dalle vacanze. Una situazione difficile, oggi impensabil­e. Se lo racconti adesso ai nipoti, ti guardano male…».

Il percorso lavorativo di Corti è stato abbastanza variato: «Per quarant’anni ho lavorato per lo Stato, per 15 segretario in Pretura, altrettant­i in veste di tutore ufficiale, e dieci anni alla Scuola per sportivi d’élite a Tenero, come coordinato­re sportivo. Nel 2007 sono andato in pensione, ma ho voluto togliermi uno sfizio: ho iniziato per gioco a vendere castagne, e nel periodo invernale sono così diventato un ‘maronatt’. Mi diverto un mondo, incontro tantissima gente, Covid permettend­o; ricomincer­ò con quest’attività il prossimo settembre».

Ottant’anni di storia bianconera, di cui parecchi trascorsi con te coinvolto in veste di protagonis­ta della società: cosa significan­o per te? «Penso di averne vissuti in totale tra i 60 e i 65 da bianconero. E prima della mia ‘epoca’ a Lugano, quando le partite si giocavano ancora a Noranco, già mio padre aveva indossato la maglia bianconera. Insomma, è stata una sorta di tradizione tramandata di padre in figlio. Ho iniziato a frequentar­e questo ambiente all’età di sei anni, e penso di essere stato il giocatore del Lugano che ha giocato per più anni con l’ex portierone Alfio Molina. Ho cominciato l’anno dopo l’inizio della sua carriera, per smettere due anni prima: una bella soddisfazi­one».

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Ex capitano

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