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Quel memorabile tris nel segno della Svezia

Kent Johansson e John Slettvoll, ovvero il braccio e la mente degli ‘anni d’oro’

- Di Moreno Invernizzi e Daniele Neri

Non si può parlare degli anni d’oro del Lugano – quelli dal 1986 al 1990, fruttati quattro finali e tre titoli – senza menzionare due nomi su tutti. Perché alla base di quel memorabile tris ci sono proprio loro: John Slettvoll e Kent Johansson. Entrambi svedesi, il primo nei panni di ‘direttore d’orchestra’ alla transenna, il secondo implacabil­e cecchino in pista. «Ricordo ancora quando Fausto Senni e Geo Mantegazza volarono fino in Svezia per propormi di venire a Lugano – ricorda un oggi 64enne Johansson –. A quei tempi, far carriera all’estero per un giocatore di hockey non era certo cosa comune. Anzi, sono stato uno dei primi in Svezia a imbarcarmi in quest’avventura partendo per la Svizzera; prima di me, a mia memoria, solo un difensore lo aveva fatto: Karl-Johan Sundqvist, sbarcato ad Arosa. E non fu nemmeno facile partire, visto che la stagione precedente avevamo vinto il titolo con il Djurgarden e diverse squadre mi volevano… Ma ero persuaso che quella, per me, era un’occasione da non perdere».

Detto e fatto: nella stagione 1983-84, Johansson sbarca a Lugano, rivelandos­i sin da subito un acquisto azzeccato. Il suo primo anno in bianconero il nativo di Katrinehol­m lo chiude con un bottino personale di 31 reti e 28 assist in 39 partite: 59 punti per un biglietto da visita niente male. Che diventano addirittur­a 76 (57 gol e 19 assist) il campionato successivo, in 38 partite. Ma non bastano però al Lugano per vincere il titolo. Il terzo tentativo è però quello buono: il 1° marzo 1986 Johansson e compagni possono finalmente festeggiar­e il primo titolo della loro storia, al termine di un’incredibil­e cavalcata, conclusa a Davos. «Dei tre titoli vinti con la maglia del Lugano, il primo è quello che ricordo con più emozione. Non scorderò mai la sera della vittoria decisiva a Davos: una serata incredibil­e a coronament­o di una settimana magica. È stata l’apoteosi. Quella sera avevo addirittur­a realizzato quattro reti negli ultimi minuti. E poi ricordo quando siamo tornati in Ticino a notte fonda, per fare il nostro ingresso trionfale alle 5 di mattina in una Resega gremita di tifosi esultanti. Era un grande giorno per noi, ma prima di tutto per i nostri fan».

‘I sei anni più belli della mia carriera’ Cosa ti ricordi di quelle sei stagioni a Lugano? «Sono stati gli anni più belli della mia carriera di giocatore. Al mio arrivo c’era un chiaro progetto a Lugano: John (Slettvoll, ndr) parlò della sua volontà di costruire una squadra che potesse puntare al titolo in tre anni, e così fu per davvero! Ricordo che la mia prima estate in riva al Ceresio la trascorsi sudando parecchio per quel progetto. Le prime due stagioni gettammo le basi per poi tentare la scalata vera e propria al titolo. Arrivando là dove altri squadroni, penso ad esempio al Berna, le cui risorse finanziari­e erano di gran lunga superiori a quelle del Lugano, da anni tentavano invano di arrivare. Nei sei anni passati a Lugano ho anche vissuto bei momenti fuori dal ghiaccio, godendomi la città». E stringendo anche amicizie poi mantenute nel tempo… «Tra i compagni di squadra che ricordo con più piacere, e che poi sono diventati anche miei amici, ci sono i vari Giovanni Conte, Arnold Lörtscher, Bruno Rogger e Thierry Andrey. A quei tempi era anche più facile stringere amicizie che poi si mantenevan­o salde pure fuori dal ghiaccio».

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE Le sette perle più luminose della storia societaria

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