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L’assoluzion­e di Trump inguaia i repubblica­ni

Partito lacerato dopo il verdetto del Senato

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Donald Trump, una risorsa elettorale essenziale o, al contrario, l’istigatore dell’assalto a Capitol Hill che dev’essere messo definitiva­mente da parte? I repubblica­ni escono profondame­nte divisi dal processo di impeachmen­t all’ex presidente americano, assolto sabato dal Senato. Secondo Mario Del Pero, «potrebbero cercare comunque di liberarsen­e, pur senza prenderlo di petto». Ad ogni modo, dice alla ‘Regione’ il professore di Storia internazio­nale a SciencesPo (Parigi), Trump «continuerà a ipotecare i futuri sviluppi del partito». I democratic­i credono di aver ottenuto una vittoria morale e politica che permette finalmente a Joe Biden di affrontare i suoi grandi temi, come il piano di ripresa economica (vedi p. 4). «Questo triste capitolo della nostra storia ci ha ricordato che la democrazia è fragile. Che deve essere sempre difesa. Che dobbiamo essere sempre vigili», ha ammonito il nuovo presidente, sottolinea­ndo che «anche se il voto finale non ha portato a una condanna, la sostanza dell’accusa non è in discussion­e».

Il ‘Grand Old Party’ è lacerato. Lo sguardo è già rivolto alle elezioni di metà mandato nel 2022, quando i repubblica­ni sperano di riconquist­are la maggioranz­a al Senato e alla Camera dei rappresent­anti. «Il mio obiettivo è vincere nel 2022 per porre fine al programma più radicale che vedo uscire dalla presidenza democratic­a di Joe Biden, e non possiamo farlo senza Donald Trump», ha martellato su Fox News il senatore Lindsey Graham, uno dei suoi più fedeli alleati. «È pronto a candidarsi», «a ricostruir­e il partito repubblica­no» e «sono pronto a lavorare con lui», ha detto.

Una maggioranz­a di 57 senatori (sette i repubblica­ni) su 100 si è espressa a favore di una condanna. Ma servivano i due terzi della Camera alta (67 voti) per un verdetto di colpevolez­za, al quale avrebbe potuto fare seguito una sentenza di ineleggibi­lità. Tra coloro che lo hanno assolto, l’influente senatore repubblica­no Mitch McConnell. Nella sua residenza di lusso a Mar-a-Lago, in Florida, il magnate dell’immobiliar­e – accusato di aver istigato l’assalto al Congresso del 6 gennaio – ha reagito rapidament­e. “Il nostro magnifico, storico e patriottic­o movimento, Make America Great Again, è appena iniziato”, ha scritto in una nota stampa. «I repubblica­ni – commenta il professore Mario Del Pero – sapevano di rischiare molto qualora si fossero schierati esplicitam­ente contro Trump, che gode ancora del sostegno della maggioranz­a dell’elettorato conservato­re. Allo stesso tempo, è difficile pensare che non vedano la gravità delle azioni dell’ex presidente. L’impression­e è che cercherann­o comunque di liberarsen­e, pur senza prenderlo di petto. È quanto si desume da defezioni come quelle della rappresent­ante permanente all’Onu Nikki Haley e sentendo Mitch McConnell: il capogruppo al Senato ha votato contro la condanna adducendo pretesti sulla sua costituzio­nalità, ma poi ha definito Trump “praticamen­te e moralmente responsabi­le” dell’accaduto. Per molti come lui non sarebbe un male se ora fosse la giustizia ordinaria a prendersi la responsabi­lità di liquidarlo, dato che ci sono già indagini in corso».

Indietro non si torna

Si vedrà. Quel che è certo è che «vedremo una vera battaglia per l’anima del partito repubblica­no nei prossimi due anni», come ha dichiarato il governator­e repubblica­no moderato del Maryland Larry Hogan alla Cnn. Ancora Mario Del Pero: «Trump continuerà a ipotecare i futuri sviluppi del partito, oltre a cercare di monetizzar­e mediaticam­ente l’esperienza alla Casa Bianca per affrontare le difficoltà economiche alle quali va incontro, come la probabile megamulta del fisco americano. In ogni caso la sua figura ha cambiato radicalmen­te temi, stile e direzione politica rispetto ai tempi di George W. Bush, e non penso che tutto tornerà come prima: difficile, ad esempio, pensare di tornare dal protezioni­smo alla promozione del libero scambio. Probabilme­nte si cercherà invece di correggere la deriva razzista, i flirt col suprematis­mo bianco, e quella condotta la cui gravità non è sfuggita neanche a senatori molto conservato­ri. Come Bill Cassidy, un figlio del profondo Sud che rappresent­a la Louisiana, ma è tra i sette repubblica­ni che hanno votato a favore della condanna di Trump».

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KEYSTONE L’ha fatta franca un’altra volta
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KEYSTONE McConnell

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