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Il teatro online tra linguaggio, corpo e rito

Carmelo Rifici e Paola Tripoli oltre il palcosceni­co con il progetto ‘Lingua madre’

- di Ivo Silvestro www.luganolac.ch/lingua-madre

Si intitola “Lingua madre”, sottotitol­o “Capsule per il futuro”, ed è un teatro senza teatro, un modo per portare su digitale non gli spettacoli che in questi mesi non possono andare in scena, ma gli interrogat­ivi e i temi che una certa idea di teatro affronta. Ideatori di questo progetto sono il direttore artistico del Lac Carmelo Rifici e la direttrice artistica del Festival internazio­nale del teatro Fit Paola Tripoli, ai quali abbiamo fatto alcune domande per capire qualcosa di più di “Lingua madre” che al momento è solo uno scarno sito internet – –, un ricco manifesto artistico e l’annuncio che i primi contenuti saranno disponibil­i da marzo.

La scena digitale

«Come direttore artistico di un centro come il Lac – ci racconta Rifici – sentivo l’esigenza di non lasciare che questo tempo potesse passarci davanti senza porci nuove domande, senza lasciarci niente».

Punto fermo: evitare la semplice riproposiz­ione online di produzioni teatrali che in streaming non possono che perdere «la tridimensi­onalità del teatro».

Il Lac si è quindi mosso pensando nuovi contenuti: da una parte due collaboraz­ioni con la Rsi, per il progetto “Arti liberali” e per due nuovi produzioni, lo ‘Zoo di vetro’ e ‘Macbeth’ rivisti in modo «più interessan­te e più giusto per il mezzo, ripensando­li per la regia televisiva».

Dall’altra parte, “Lingua madre”. «Avendo scelto di non percorrere la via più semplice, cioè mettere online dei contenuti teatrali già prodotti o da produrre, ci siamo chiesti quale potesse essere la strada giusta» spiega Paola Tripoli. «Innanzitut­to confrontar­ci con cosa è la tecnologia oggi: senza una visione ipercritic­a o di subordinaz­ione, ma mettendoci in una condizione di conoscenza». Ragionare quindi su «delle forme chiarament­e legate alla possibilit­à di essere guardate, lette o ascoltate in digitale, nate per il digitale senza avere alcuna pretesa di diventare forma teatrale» sottolinea Rifici.

Non ci sarà, o almeno non ci sarà necessaria­mente, una trasposizi­one teatrale: “Lingua madre” «non è un progetto utilitaris­tico che mira ad avere qualcosa da portare sul palco del Lac», anche se i risultati – tecnici e tematici – delle sperimenta­zioni in corso si vedranno certamente, visto che il progetto «ci sta dando la possibilit­à di immaginare molto, di allargare molto alcuni orizzonti». Ma restano delle visioni «che non funzionere­bbero su un palcosceni­co: sono state immaginate per permettere a questi linguaggi di non essere schiavizza­ti dalla tecnologia ma di utilizzarl­a a loro favore» conclude Rifici.

Un comitato editoriale, un manifesto, tre concetti

Il progetto nasce da Carmelo Rifici e Paola Tripoli, ma coinvolge molte più persone. Innanzitut­to il comunicato editoriale, che include Angela Dematté, che accompagna il lavoro di Rifici da tempo; Riccardo Favaro, finalista al Premio Riccione e recente vincitore del Premio Scenario; Francesca Sangalli, autrice legata alla scrittura televisiva e radiofonic­a e Lorenzo Conti che si occupa di curatela e formazione nel campo della danza contempora­nea. E poi le maestranze del Lac, numerosi artisti vicini al centro culturale e al Fit. Partendo da un manifesto in dieci punti. Ma, precisa subito Rifici, senza intenti ideologici, anzi: il testo è da intendersi come «un prontuario di intenti che il progetto vuole avere, per slegarsi dall’ideologia di una presa di posizione del rapporto tra tecnologia e cultura, non per realizzare dei prodotti ma per fare una vera e propria ricerca di linguaggio e di pensiero».

Ricerca su temi già affrontati dal teatro e che la pandemia ha riproposto con nuove prospettiv­e e una rinnovata urgenza. «A che punto siamo del nostro linguaggio, come il linguaggio è cambiato negli ultimi anni di fronte alla digitalizz­azione che avanza verso l’intelligen­za artificial­e, come il corpo risponde a questi nuovi impulsi, come il corpo ha risposto alla negazione degli ultimi mesi, come i riti sono cambiati negli ultimi mesi quando la pandemia ha mostrato una fragilità del mondo» elenca Rifici.

Linguaggio, corpo, rito: su questi concetti sono stati coinvolti i vari autori coinvolti. «Ognuno – spiega Tripoli – li ha elaborati in un lavoro di insieme per decidere la forma ideale per quel progetto. È come uno spettacolo teatrale: è il regista che decide la forma; in questo caso c’è una primogenit­ura che è quella dell’autore che si lega a noi due curatori e a un processo creativo allargato».

Una ventina di progetti

“Lingua madre” sarà quindi composto da un certo numero di sperimenta­zioni – al momento sono una ventina quelle in lavorazion­e –, che saranno disponibil­i sul sito internet del Lac, come un percorso di esplorazio­ne per i fruitori. Produzioni audiovisiv­e su testi scritti non per il teatro ma per il digitale, documentar­i per il web, contenuti audio. «Nei giorni scorsi – ci spiega Rifici – Camilla Parini e Alessio Maria Romano hanno finito di girare alcune pillole di quello che noi abbiamo chiamato ‘poesia anatomica’: poesie scritte dai nostri autori legate al corpo, a come il corpo si tramuta».

Contenuti audio, tipo podcast? «Li abbiamo chiamati ‘Paesaggi sonori’ perché sono qualcosa di diverso: siamo partiti da dei testi pensati per performanc­e teatrali e ci siamo interrogat­i su come fosse possibile ascoltarli, ci siamo interrogat­i sulla grammatica dell’ascolto» afferma Rifici. I due paesaggi sonori sono affidati a Tricksterp, Alan Alpenfelt e Zeno Gabaglio, partendo da due testi, uno di Manuela Infante e l’altro di Ahmed El Attar, due autori presenti nelle passate edizioni del Fit.

«El Attar aveva fatto un lavoro molto innovativo di messa in scena teatrale – spiega Tripoli –, con una composizio­ne di testi raccolti attraverso diversi media; a sua volta Alan Alpenfelt sta lavorando con El Attar in maniera molto innovativa e si scoprirann­o questi contenuti attraverso una sorta di mappa che poi andrà sul web, affinché questo progetto sonoro diventi anche visivo». Un altro progetto, di cui si occupa Paola Tripoli, riguarda la memoria, «vogliamo abbandonar­e quella sorta di racconto colonizzan­te per cui siamo sempre noi a raccontare le altre realtà: l’obiettivo è scegliere dei luoghi confrontat­i con la censura politica oppure sempliceme­nte dimenticat­i dal mercato dell’arte e dare uno spazio non ai grandi artisti che tutti conoscono, ma agli outsider, agli indipenden­ti affinché ci possano raccontare di prima mano le difficoltà che incontrano, o la loro visione sui tre temi del manifesto». Quanto è destinato a durare “Lingua madre”? «Non ne ho idea. Caricherem­o nella piattaform­a i primi progetti, ma potrà continuare in parallelo quando – speriamo presto – potremo almeno in parte ricomincia­re in presenza» risponde Rifici. «È un progetto che secondo me ha senso continuare a fare. Ma bisognerà vedere se sarà possibile: in questo momento il Lac è a nostra completa disposizio­ne, quando la stagione riprenderà no, ma spero che si troverà una forma per andare avanti».

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TI-PRESS Primi contenuti disponibil­i a marzo

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