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‘Giravo con auto di lusso, ora in coda alla mensa’

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Como – “La prima volta che sono venuto qui avevo una specie di passamonta­gna per non farmi riconoscer­e”. Qui è la mensa della Caritas di Como. E il passamonta­gna ha lasciato il posto a un cappellino da baseball nero. “All’inizio mi facevo tutte quelle paranoie sulla dignità, la reputazion­e. Ma la verità è che vengo qui a prendere il pranzo. E va accettata”.

Michele M., 52 anni, non nasconde più il viso, né la sua storia. “La mia vita, negli ultimi anni, è stata una palla di neve che rotola e s’ingrossa sempre più. Sembrava andasse tutto bene, poi ho fatto qualche errore, e uno via l’altro, sempre più velocement­e, mi sono ritrovato a elemosinar­e i pasti. Ma chi non sbaglia? Poi c’è chi la paga cara e chi meno. O per niente”. Lavorava nel settore auto. “Automotive”, dice lui, orgoglioso. “Quando le cose andavano bene giravo per queste stesse strade con macchinoni e belle donne. Anche per questo, i primi tempi che venivo alla Caritas pensavo: e se mi vede qualcuno? Sai quelle situazioni per cui incroci una persona del tuo passato e ti risuona nelle orecchie una voce che dice ‘Ma quello non è il Michele? Guarda che brutta fine che ha fatto’”.

Un percorso a ostacoli

Il viaggio che lo porta da Como a Como è lungo e tortuoso, con due tappe decisive in Thailandia e a Bormio. “Sono nato in un paesino qui vicino, Maslianico. E per anni me la sono spassata tra qui e Milano. Poi una serie di vicissitud­ini familiari mi ha complicato la vita. Sono andato in Thailandia a fare l’imprendito­re. Non è stato facile, ma per un periodo le cose sono andate bene anche lì. Quando sono rientrato tutto ha iniziato a precipitar­e. Ho cercato di riposizion­armi nel mondo dell’auto, ma a 50 anni non è facile. E anche quelli che pensavi ti aiutassero ti voltano le spalle”. Risultato: una serie di lavori stagionali. “Non amo piangermi addosso. Mi sono rimboccato le maniche e ho ricomincia­to cercando lavori stagionali. A Bormio c’era bisogno e sono andato a Bormio. Non guadagnavo più come un tempo, ma riuscivo a cavarmela”.

Il 17 febbraio del 2020 a Codogno c’è il primo caso conclamato di Covid. Due settimane dopo inizia il primo lockdown. Michele viene licenziato il giorno stesso: è il primo marzo. “Non porto rancore, so come funziona, anch’io ho fatto l’imprendito­re. Ma da quel momento mi ritrovo a spasso. Ho provato a riciclarmi, ma è praticamen­te impossibil­e”.

Quanto costa la pasta

Prima trova ospitalità da qualche amico e conoscente, “poi non è che puoi restare a casa degli altri all’infinito”. Ma i soldi sono sempre meno. “Una persona fidata mi indirizza alla Caritas. All’inizio mi dico no, non posso essere caduto così in basso. Un giorno ci penso, un altro pure, alla fine mi copro con questa specie di passamonta­gna, come se dovessi svaligiarl­a la mensa, non chiedere aiuto. Piano piano mi sono abituato e se posso passo sul tardi, quando c’è meno gente. Vengo a pranzo, mentre a cena mi arrangio diversamen­te. E certo non è una cucina gourmet, ma almeno si mangia. E lo so che un pacco di pasta costa 70 centesimi e basta un po’ di passata per farsi un piatto decente. Ma se non hai una cucina, un fornello, dove te la prepari la pasta?”.

Michele ci tiene a precisare che un posto per dormire ce l’ha, che non sta al freddo. “Però non pago la stanza da novembre. E i soldi che riesco a racimolare mi servono per l’affitto. Per ora va così – dice mostrando il sacchetto penzolante con il pranzo – poi non si sa mai, le cose cambiano. Io lo so bene”.

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