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Kosovo: vince Kurti L’anti-Belgrado

Il partito nazionalis­ta di sinistra sfiora il 50%. L’Europa teme per gli equilibri nei Balcani.

- Di Roberto Scarcella

Il Kosovo ha votato, ma l’Europa non è contenta, gli Stati Uniti non sono contenti, la Serbia è scontenta, a dir poco. E perfino l’Albania – che sembrerebb­e la vera vincitrice a guardare tutte le bandiere rosse con l’aquila a due teste che sventolano per Pristina – resta perplessa davanti ai risultati delle elezioni.

È sempre così quando c’è di mezzo il Kosovo: succede una cosa, qualsiasi cosa, e tutti a controllar­e come reagiscono gli altri, come se quelli che fanno succedere le cose, quelli che in Kosovo vivono e votano, non contassero. E invece contano. Oggi più che mai dopo la valanga di preferenze ottenuta da un partito strano fin dal nome, Lëvizja Vetëvendos­je (“Il movimento per l’autodeterm­inazione”). E, almeno per occhi occidental­i, strano pure per strategie: nessun dialogo con la Serbia e fin lì ok, ma senza buttarsi tra le braccia dell’amico americano, come si tende sempre a fare dalle parti di Pristina, dove hanno una Statua della libertà tutta loro e perfino una statua di Bill Clinton, l’uomo che appoggiò il piccolo Paese durante l’appendice della Guerra dei Balcani.

Ha vinto un partito giovane, che si è presentato alle elezioni per la prima volta solo nel 2010, con una rincorsa che fa impression­e: esordì raccoglien­do poco più del 12 per cento per poi assestarsi intorno al 26-27% appena un anno fa. Ieri è arrivato al 48%. Un risultato enorme, raggiunto in larghissim­a parte con il voto dei giovani e che mette le ali, ma anche pressione, perché il suo carismatic­o e controvers­o leader Albin Kurti ha portato il suo partito a stravincer­e, ma non a ottenere la maggioranz­a assoluta. E se le alleanze sono un rompicapo ovunque, in Kosovo pure di più. I distacchi con gli altri partiti sono siderali: 17,35% al Partito democratic­o del Kosovo (Pdk), la formazione del presidente dimissiona­rio Hashim Thaçi e di altri ex leader come lui dell’Uck arrestati per crimini di guerra e attualment­e detenuti all’Aja; 13,18% per la Lega democratic­a del Kosovo (Ldk, centrodest­ra) del premier uscente Avdullah Hoti; 7,42% per l’Aak (Alleanza per il futuro del Kosovo) dell’ex premier ed ex leader Uck Ramush Haradinaj.

A votare sono andati meno di un kosovaro su due, a riprova di una disillusio­ne che sembra uno dei tratti distintivi di questo Paese che alcuni – Serbia in primis – non vogliono riconoscer­e come tale. Ma chi è andato a votare ha voluto lanciare un segnale forte, inequivoca­bile, dando mano libera a quello che si è sempre promosso e che è sempre stato considerat­o come il partito anticorruz­ione. Kurti aveva già guidato un governo, all’inizio dello scorso anno, ma la maggioranz­a si era sfaldata in fretta, nemmeno quattro mesi. Ora, dall’alto del suo 48 per cento potrà sedersi al tavolo dando quasi tutte le carte, con tutti i vantaggi e i rischi che ciò comporta.

Ma per provare a spiegare cosa potrà succedere, tanto vale cominciare dal mazziere, a cui è stato impedito di figurare capolista del suo partito per una condanna subita tre anni fa, figlia delle sue ripetute intemperan­ze in parlamento dove arrivò a sprigionar­e più volte gas lacrimogen­i per impedire l’approvazio­ne di leggi da lui ritenute ostili agli interessi del Kosovo. Prosecuzio­ne delle battaglie che Kurti (45 anni) ha fatto prima nelle scuole e poi in strada, sempre in prima linea. Cosa che gli costò l’arresto, nel 1999, da parte delle milizie dell’allora Jugoslavia morente. Gli diedero quindici anni di carcere, mentre lui continuava a ripetere che quella Corte non era legittima. Fu liberato nel 2001 in seguito a forti pressioni internazio­nali. Da lì ripartì con Akn, un movimento dal basso i cui slogan riprendeva­no la parola Vetëvendos­je (“Autodeterm­inazione”), diventata prima un partito e oggi il partito di maggioranz­a. Kurti, con grande delusione dell’Unione europea, non ha nessuna intenzione di instaurare un dialogo con Belgrado, complicand­o i rapporti in tutta l’area, vista l’annosa questione delle minoranze. “Quel tema è al sesto, settimo posto nella nostra agenda. Prima vengono riforme, giustizia e lavoro”, ha ripetuto facendo venire parecchi mal di pancia a Bruxelles e a Belgrado. Nazionalis­ta di sinistra, Kurti avrebbe come obiettivo ambizioso quello di ricomporre la Grande Albania via referendum, una mossa talmente ardita da poter diventare l’ennesima miccia in un’area più infiammabi­le di una polveriera. I serbi non starebbero a guardare e anche Tirana avrebbe più d’una perplessit­à in proposito. I tempi sono tutt’altro che maturi, se mai lo saranno.

Kurti è spigoloso, eccentrico, provocator­e, ma ha le idee chiare e le riforme le vuole fare davvero. Come spalla ha – al momento – Vjosa Osmani, la presidente­ssa del parlamento che ha assunto le funzioni di capo dello Stato ad interim dopo l’arresto a novembre di Thaçi. Fatta fuori della Lega democratic­a del Kosovo (Ldk), Osmani si è presentata con una sua lista (Guxo!) collegata con il movimento di Kurti e sarà candidata alle prossime elezioni presidenzi­ali, dove non dovrebbe mancare il supporto del nuovo premier. Un’alleanza per alcuni sbilenca, visto che le posizioni dei due non sono sempre allineate: ma l’intransige­nza verso la Serbia e la voglia di portare il Kosovo oltre il pantano fatto di corruzione e disoccupaz­ione (al 26%) potrebbe essere un combustibi­le più che sufficient­e per andare avanti insieme, imboccando una strada che preoccupa tutti, o quasi, ma che almeno è una strada, non l’ennesima scorciatoi­a.

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KEYSTONE Si fa festa, ma manca la bandiera del Kosovo
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KEYSTONE Albin Kurti extralarge

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