laRegione

‘Sono dipendenti, non liberi profession­isti’

La Corte Suprema britannica: gli autisti sono dipendenti, non collaborat­ori freelance

- Di Stefano Guerra

La Corte Suprema britannica fa saltare il pilastro su cui poggia il modello d’affari della società di taxi online. Una sentenza esemplare, per Umberto Bandiera (Unia).

È il pilastro su cui poggia il modello d’affari di Uber, il colosso california­no dei taxi online: gli autisti sono liberi profession­isti che prestano la loro forza lavoro all’azienda, non dipendenti veri e propri. La Corte Suprema britannica lo ha fatto crollare. Con una sentenza resa nota ieri, ha stabilito che gli autisti vanno invece considerat­i dipendenti a tutti gli effetti, non collaborat­ori freelance. Il verdetto potrebbe fare scuola altrove. Anche in Svizzera. «Non è solo una questione giudiziari­a. Quello emesso dai giudici britannici è anzitutto un giudizio di civiltà, che sancisce la presenza del diritto in un contesto dove la tecnologia – venduta come oasi di libertà – nasconde in realtà situazioni di precarietà e di barbarie», commenta Umberto Bandiera, responsabi­le per la Romandia del settore trasporti e logistica presso il sindacato Unia.

La decisione unanime della Corte Suprema britannica conferma quanto sancito in precedenti gradi di giudizio. Costringer­à la società che tramite una app mette in collegamen­to diretto passeggeri e autisti a garantire contratti e tutele rafforzate a questi ultimi, come invocato da tempo da sindacati e autorità locali. E questo nel paese che rappresent­a il suo maggior mercato in Europa, sia nel trasporto dei passeggeri che nella distribuzi­one di pasti. La piattaform­a, che non è redditizia su scala globale, potrebbe non avere altra scelta che aumentare le sue tariffe nel Regno Unito, con il rischio di perdere quote di mercato se i suoi concorrent­i non saranno assoggetta­ti alle stesse regole.

‘Vittoria storica’

Uber non si scompone. La decisione, ha detto Jamie Heywood, responsabi­le per la Regione Uk, Northern & Eastern Europe, «si riferisce a un piccolo numero di autisti che hanno usato l’app di Uber nel 2016. Da allora abbiamo apportato alcuni significat­ivi cambiament­i al nostro business, guidati in ogni passo dagli autisti. Questi includono dare anche più controllo su quanto guadagnano e fornire nuove protezioni come l’assicurazi­one gratuita in caso di malattia o di incidente». «Siamo impegnati a fare di più», ha aggiunto.

Il sindacato Gmb festeggia una “vittoria storica”. «I nostri assistiti hanno lottato per molti anni per i diritti dei lavoratori, siamo felici che finalmente stiamo arrivando in fondo», ha commentato dal canto suo Nigel Mackay, avvocato dello studio Leigh Day che ha rappresent­ato vari ricorrenti. Si apre ora la possibilit­à di «richieste di indennizzi per migliaia di sterline» da parte di ciascun autista, come compensazi­one delle mancate tutele del passato. «Dopo lungo tempo, abbiamo ottenuto la vittoria che meritavamo, lavorare per Uber è stressante, era il minimo che dovessimo avere gli stessi diritti degli altri lavoratori (dipendenti)», ha affermato Mark Cairns, uno dei leader della rivendicaz­ione fra le migliaia di guidatori di Londra.

Uber e altre piattaform­e numeriche simili sono coinvolti da tempo in battaglie legali in mezzo mondo. «La lunga diatriba britannica è simile a quelle in corso in Svizzera e altrove. Soprattutt­o negli ultimi due anni ci sono state svariate sentenze, a diversi livelli di giudizio. Sostanzial­mente vanno tutte nella stessa direzione», dice a ‘laRegione’ Umberto Bandiera. In California, per contro, lo scorso novembre Uber e la rivale Lyft sono uscite vincitrici da un referendum. I loro autisti possono così continuare a essere considerat­i freelance.

Vertenza ginevrina in dirittura d’arrivo

Nella Confederaz­ione uno dei contenzios­i oppone Uber al Canton Ginevra. Respingend­o un ricorso della società california­na, la Camera amministra­tiva della Corte di giustizia di Ginevra ha stabilito in dicembre che gli autisti di Uber che lavorano nel cantone devono essere considerat­i come dipendenti della multinazio­nale e non come indipenden­ti. La decisione obbliga Uber, in quanto società di trasporto vera e propria, a rispettare gli obblighi di legge, in particolar­e le disposizio­ni relative alla protezione sociale dei lavoratori e al rispetto dei contratti collettivi di lavoro o dei contratti normali. «Uber nel frattempo ha inoltrato ricorso al Tribunale federale», indica Bandiera.

La sentenza britannica, secondo il segretario sindacale, potrebbe «fare scuola» anche qui. A ogni modo, è «motivo di fiducia per tutti i lavoratori che si stanno battendo contro queste piattaform­e numeriche per farsi riconoscer­e i propri diritti in quanto lavoratori salariati». E possiamo soltanto augurarci che «i giudici elvetici traggano ispirazion­e dal lavoro dei colleghi britannici nella valutazion­e dei parametri da prendere in consideraz­ione».

Nel Regno Unito la decisione della Corte Suprema potrebbe avere importanti implicazio­ni anche per le altre piattaform­e numeriche con lo stesso modello d’affari, basato sui lavoratori della cosiddetta ‘gig economy’, l’economia dei lavoretti occasional­i, temporanei e su chiamata. Come i fattorini della piattaform­a di distribuzi­one di pasti Deliveroo, che stanno tentando di ottenere un contratto collettivo di lavoro davanti alla Corte d’appello di Londra. In Olanda, negli scorsi giorni un tribunale di Amsterdam ha stabilito che i ‘riders’ della società non sono lavoratori freelance, ma dipendenti a tutti gli effetti aventi diritto a salari e condizioni di lavoro convenuti per il settore. Deliveroo ha annunciato che farà ricorso alla Corte suprema.

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KEYSTONE Modello d’affari rimesso in discussion­e
 ?? KEYSTONE ?? Diversi contenzios­i aperti anche in Svizzera
KEYSTONE Diversi contenzios­i aperti anche in Svizzera

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