All’Ambrì costa caro il pessimo avvio
Dopo la scoppola dell’altra sera a Davos, i biancoblù di Luca Cereda costretti alla resa anche sul ghiaccio di Friborgo. ‘Questi non siamo noi’, dice il difensore Michael Ngoy.
La sentenza del Tribunale di Bolzano dà una chance di riscatto sul piano civile ad Alex Schwazer, ma di certo non spalanca le porte del paradiso sportivo al marciatore altoatesino. Che la redenzione e il perdono siano una strada tutta in salita lo dimostra l’immediata e feroce reazione dell’Ama, l’Agenzia mondiale antidoping, alla sentenza di ieri che, in Italia, aveva cassato l’affare sul piano civile. Feroce al punto che l’Ama si dice «inorridita» dalla sentenza, e respingendo le accuse contenute nelle 80 pagine del dispositivo minaccia le vie legali.
Ciò che, comunque, non desta particolare sorpresa, visto che ieri il giudice aveva accusato sia la stessa Ama, sia la Federatletica internazionale, accusandole di essere autoreferenziali e di non accettare alcun controllo dall’esterno. Su internet, affidandosi a un “tweet”, i vertici dell’Agenzia affermano di aver preso atto con grave preoccupazione di quanto rilevato dal giudice che, su richiesta della Procura, aveva archiviato ogni accusa a carico di Schwazer per la positività emersa nel 2016 (e non quindi per il precedente caso, risalente al 2012, in cui lo stesso atleta aveva ammesso la sua colpevolezza). «Siamo inorriditi dalle accuse spericolate, prive di fondamento e diffamatorie» dicono dall’Ama, ricordando le «prove travolgenti corroborate da esperti indipendenti rigettate (dal giudice italiano, ndr) in favore di teorie prive di sostanza». «Una volta analizzato il provvedimento – conclude la nota – si valuterà ogni opzione disponibile, inclusa l’azione legale».