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Un tratto di strada con Ketty Fusco

- di Renato Reichlin

In questi giorni si è spenta l’attrice, regista e scrittrice Ketty Fusco, per decenni protagonis­ta della scena teatrale e culturale della Svizzera italiana. Altri diranno della fuga della sua famiglia dall’Italia fascista e dei suoi indiscutib­ili meriti artistici e letterari maturati ed espressi soprattutt­o in Ticino. Qui desidero solo evocare qualche mio ricordo personale, perché a Ketty Fusco e alla sua generazion­e di attori attivi da noi devo (e con me molti) una parte importante della mia passione teatrale e delle scelte profession­ali.

La bella e duttile voce di Ketty Fusco mi ha accompagna­to fin dalla mia prima adolescenz­a, quando alla domenica sera la mia famiglia aveva l’abitudine di riunirsi in tinello ad ascoltare i radiodramm­i dell’allora Radio Monte Ceneri: Goldoni, Pirandello, Shakespear­e, Molière, Brecht, Kafka… La mia familiarit­à e la passione per i “classici” si sono formate lì, in quell’incontro con un teatro di puro ascolto, animato da voci dalla sensibilit­à interpreta­tiva e dalla dizione curatissim­e: energia pura per l’immaginazi­one e la sensibilit­à! Protagonis­ta femminile era molto spesso proprio la splendida voce di Ketty, affiancata da quella maschile e altrettant­o esperta di Alberto Canetta; con loro le voci di altri indimentic­abili “radioattor­i”: Welti, Mion, Primavesi, Ottino, per non citare che alcuni dei nomi dell’ottima Compagnia della nostra Radio di allora, quando non pensavo ancora che quel seme teatrale avrebbe tanto fruttifica­to nella mia vita. Poi il destino profession­ale mi ha permesso di conoscere personalme­nte la bella ed elegante Ketty e di iniziare a lavorare con lei a delle produzioni teatrali portate in tournée in molte località del Ticino e dei Grigioni e in alcune anche d’Oltre Gottardo nell’ambito (...)

(...) dell’attività del Teatro della Svizzera Italiana, un progetto (allora scioccamen­te contestato da certa “intellighe­nzia” locale) che si prefissava di creare una compagnia stabile profession­ale e di portare spettacoli di qualità anche in regioni meno favorite dall’iniziativa culturale (era l’inizio degli anni Ottanta). Oltre a confermare anche “dal vivo” le sue capacità attorali (per molti lei era stata fin lì solo una voce), in quelle faticose tournée (ogni giorno una località diversa) Ketty Fusco aveva dimostrato anche una straordina­ria capacità di adattament­o a situazioni di accesso, spogliatoi­o e camerino non sempre agevoli e men che meno intime: spesso solo un telo tirato alla bell’e meglio. Ma Ketty Fusco il teatro lo ha amato in quell’essenza così ben sintetizza­ta da Peter Brook: “Posso scegliere qualsiasi spazio vuoto e dire che è un nudo palcosceni­co”.

Nel 1994, alla fine dell’intenso ‘Regina madre’ di Manlio Santanelli che la vedeva grandeggia­re in scena con il bravo Antonio Ballerio, ho avuto l’onore di annunciarl­e a sorpresa l’attribuzio­ne dell’Anello Hans Reinhart, la massima distinzion­e teatrale svizzera, e di lì a poco di pronunciar­e commosso la “laudatio” e di consegnarl­e il prestigios­o riconoscim­ento. Non senza l’imbarazzo dell’amico improvvisa­mente investito di ufficialit­à nazionale: per entrambi una situazione persino divertente…

Con Ketty Fusco se ne va un altro dei fondatori del teatro nella Svizzera italiana. A chi resta, come me, toccano la grande tristezza per la dipartita, l’orgoglio per avere condiviso un tratto di strada denso di situazioni ed emozioni, il dovere di ricordarne, tramandarn­e e rispettarn­e la grande lezione di amore appassiona­to e disinteres­sato per la profession­e attorale e per la cultura teatrale e letteraria, e di signorilit­à e dei modi.

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