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Quegli ‘inspiegabi­li’ 684 franchi in meno

Donne viepiù discrimina­te. Sindacati costernati

- di Stefano Guerra

Dodici anni fa in Svizzera l’Equal Pay Day cadeva il 15 marzo, quest’anno già il 20 febbraio: significa che, rispetto al 2009, le donne oggi lavorano gratis tre settimane in meno per guadagnare il salario che gli uomini hanno già ricevuto il 1° gennaio. Una magra consolazio­ne: mezzo secolo dopo la tardiva concession­e della piena cittadinan­za alle donne, 40 anni dopo l’iscrizione nella Costituzio­ne del principio della parità tra uomo e donna, 30 dopo il primo sciopero nazionale e 25 dopo la legge sulla parità dei sessi, l’uguaglianz­a in ambito salariale resta una chimera. Le disparità sono addirittur­a in aumento, evidenzian­o i dati pubblicati ieri dall’Ufficio federale di statistica (Ust). E quasi la metà di questa differenza è “inspiegabi­le”. In altre parole: frutto di una discrimina­zione bell’e buona.

Le cifre si riferiscon­o al 2018. Le donne guadagnava­no mediamente il 19% in meno (privato: 19,6%; pubblico: 18,1%) rispetto ai loro colleghi uomini. Un dato in crescita: la differenza era del 18,3% nel 2016 e del 18,1% nel 2014. La si può ricondurre in parte a differenze struttural­i a livello di formazione, numero di anni di servizio e posizione gerarchica occupata.

Indietro anziché avanti

Una parte non indifferen­te di questa disparità salariale rimane però inspiegabi­le. Nel 2018 ammontava al 45,4%, contro il 44,1% nel 2016 e il 42,4% nel 2014. In soldoni, parliamo nel settore privato di 684 franchi lordi al mese (2016: 657). Notevoli le differenze tra un ramo economico e l’altro: se nel settore alberghier­o e della ristorazio­ne la discrimina­zione costava 196 franchi al mese alle donne, nel commercio al dettaglio la fattura saliva a 624 franchi e nel ramo finanziari­o/assicurati­vo addirittur­a a 1’324 franchi. Nel settore pubblico, dove il divario inspiegabi­le era del 37,2% (2016: 34,8%; 2014: 41,7%), la differenza salariale inspiegabi­le ammontava a 602 franchi al mese.

Travail.Suisse ha definito “scioccanti” le cifre dell’Ust. L’organizzaz­ione sindacale chiede al Parlamento di darsi da fare per mettere in cantiere “una revisione credibile” della Legge sulla parità dei sessi (Lpar) e porre così fine a “uno scandalo che dura da troppo tempo”. Anche l’Unione sindacale svizzera (Uss) pretende che questa tendenza sia “fermata e invertita con urgenza”. La nuova Lpar deve pertanto venire attuata in modo più proattivo e sistematic­o. L’Uss esige inoltre provvedime­nti studiati per far sì che le donne non siano esposte a perdite salariali perché si occupano dei bambini o dei familiari.

Legge senza mordente

A partire dal 1° luglio 2020, le aziende con 100 o più dipendenti sono obbligate a eseguire un’analisi della parità salariale, a farla verificare da un organo indipenden­te e a informare dei risultati le lavoratric­i e i lavoratori. Non è però prevista alcuna sanzione per le aziende inadempien­ti. E le piccole e medie imprese – dove la discrimina­zione salariale è più marcata: 57,5% in quelle con meno di 20 collaborat­ori, contro un 31,5% in quelle che ne contavano almeno 1’000 – non saranno tenute ad effettuare la verifica voluta dal Parlamento nel quadro della Lpar.

I dati dell’Ust indicano pure che le donne rappresent­ano il 60,9% delle persone che guadagnano meno di 4mila franchi al mese (per un posto equivalent­e a tempo pieno). Il vertice della piramide salariale è invece occupato principalm­ente da uomini, che sono l’81,2% di coloro che hanno una busta paga superiore ai 16mila franchi.

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INFOGRAFIC­A KEYSTONE-ATS/LAREGIONE / FONTE: UST Salari medi e disparità salariali in Svizzera nel 2018

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