Condannato l’artefice dei botti
Condannato il 22enne autore della bomba artigianale scoppiata un anno fa alle Scuole Sud
L’avvocato difensore Niccolò Giovanettina ha cercato di relativizzare la gravità delle azioni compiute dal suo assistito, sostenendo che ha sempre fatto esplodere i suoi petardi in sicurezza, nel cuore della notte, nell’area golenale del fiume Ticino o in altre zone discoste dall’abitato, assicurandosi che nessuno fosse nei paraggi. Per l’accusa e la Corte delle Assise criminali presieduta dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti, ha invece ripetutamente messo in pericolo la vita di terze persone oltre ad aver cagionato danni alla proprietà altrui, il più delle volte con un agire delittuoso e non riconducibile alla negligenza. Un elemento che ha pesato notevolmente nella commisurazione della pena inflitta al 22enne di Bellinzona condannato ieri nell’aula penale di Lugano: per lui tre anni e mezzo di carcere, sospesi in favore di un trattamento psicoterapeutico stazionario per far fronte alla turba psichica di tipo narcisistico dell’imputato. Il giovane è il responsabile – singolarmente e nel caso dell’esplosione più eclatante delle Scuole elementari Sud di Bellinzona in correità con altri due amici – dei sei botti uditi nella regione tra il gennaio 2019 e la fine dell’inverno successivo. Solo il 13 marzo 2020 è stato arrestato dopo l’ultimo petardo fatto saltare in zona golena a Giubiasco. Nella sua abitazione, la polizia ha rinvenuto diverse granate fumogene, varie bombole di gas, attrezzatura per saldare e materiale vario per confezionare gli ordigni. L’acquisto e l’importazione illegale dei vari petardi sono avvenuti tramite un portale estero. Oltre che per ripetuto uso delittuoso di materie esplosive, è stato condannato anche per delitto contro la Legge federale sugli esplosivi, fabbricazione e occultamento di materie esplosive, infrazione alla legge sulle armi e sulle munizioni, ripetuto danneggiamento e discriminazione e incitamento all’odio (per aver indossato al Rabadan un cappotto dell’esercito nazista). Dopo l’arresto ha dapprima trascorso 84 giorni in detenzione preventiva, per poi passare nel giugno scorso in esecuzione anticipata della pena. «Se la polizia non l’avesse fermato, sarebbe andato avanti arrivando presto o tardi a ferire qualcuno», ha affermato la procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, la quale nella sua requisitoria ha chiesto quattro anni e mezzo di carcere senza tuttavia opporsi all’ipotesi – poi confermata dalla Corte – di una sospensione della pena al beneficio di un trattamento stazionario.
Come detto, il caso che ha generato più clamore è l’esplosione avvenuta la notte del 26 febbraio sul piazzale delle Scuole Sud di Bellinzona, scoppio che ha causato un piccolo cratere nell’area di gioco e danni per 18mila franchi alle finestre e alle aule. In questo caso la miccia della “bomba delle bombe” (così l’ha definita in aula l’imputato indicandola come la più grande e potente da lui costruita) è stata accesa da un complice, il 20enne condannato martedì a 16 mesi sospesi, al quale l’imputato aveva consegnato l’ordigno composto da un tubo d’acciaio, rinforzato con del nastro adesivo e una cintura di sicurezza per automobili, nel quale erano stati infilati 600 grammi di polvere pirica prelevata da altri petardi. Affidato l’ordigno all’amico (insieme condividevano la passione per i botti), il 22enne si era poi allontanato senza assistere all’esplosione. Sul piazzale delle scuole, a fungere da palo c’era anche un minorenne. Proprio sulla distinzione dei ruoli ha fatto leva l’avvocato Giovanettina, battutosi per una pena detentiva sospesa non superiore ai 24 mesi. «Non voleva assolutamente che quel petardo venisse fatto esplodere alle scuole», ha affermato, riagganciandosi a quanto confermato durante l’interrogatorio dall’imputato, il quale ha ribadito che era assolutamente contrario all’idea di fare esplodere l’ordigno in quel punto. Per la Corte, l’imputato era invece pienamente d’accordo a farlo scoppiare proprio sul piazzale dell’istituto, conscio peraltro delle possibili conseguenze. «Si è allontanato solo per la paura di avere altri problemi con la polizia», ha affermato la giudice, ricordando la precedente condanna del 2019 a causa di simili reati (condanna a 6 mesi sospesi che è stata considerata ieri nella commisurazione della pena). Per la Corte ha agito per ragioni prettamente egoistiche e futili motivi, con lo scopo di danneggiare.
Gli altri episodi
Venendo agli altri episodi (di cui il 22enne ha ammesso di essere l’autore materiale), il primo, risalente al 2019, riguarda l’esplosione, in un prato di Galbisio, di un ordigno assemblato con sei petardi contenenti 100 grammi l’uno di polvere pirica inseriti in un contenitore in cartone avvolto con corda e nastro adesivo e con attaccate quattro bombole di gas per fiamma ossidrica per aumentare il potere esplosivo. Seguono – sempre nottetempo – altri eventi simili sfociati nel danneggiamento di pareti e bidoni della spazzatura, come pure di albero in golena a Giubiasco, vicino al sentiero pedonale lungo il quale peraltro un ragazzo stava facendo jogging. L’agire del 22enne, ha concluso la Corte, ha messo in pericolo la vita e l’integrità di altre persone, in particolare degli altri giovani che di volta in volta hanno assistito agli eventi in qualità di spettatori. Va aggiunto che la sera dell’esplosione alle scuole era in corso il Rabadan.
‘Ero frustrato e volevo dare fastidio’
Tre, ha sottolineato l’imputato, i motivi delle sue azioni. In primis «il fatto che non avevo niente da fare. In secondo luogo, mi sono sempre piaciuti i petardi. Da ultimo direi che probabilmente ero frustrato e il fatto di infastidire la gente che sentiva le esplosioni era quindi una sorta di sfogo. Mi divertivo anche un po’ così, guardando le pagine su Facebook che dopo pochi minuti pubblicavano vari commenti. Ognuno dava la sua versione: attività paranormali oppure che qualcuno stesse scavando una galleria sotterranea». Il giovane ha inoltre confermato che, seppur solo all’inizio, c’era anche un interesse al fattore mediatico. «Quando leggevo l’articolo mi facevo una risata. Ma il movente non era certo quello di finire sul giornale». «Non c’è dubbio che ho commesso un errore marchiano – ha affermato quando la giudice gli ha concesso la facoltà dell’ultima parola –. Onestamente ritengo però che dopo un anno di carcere abbia pagato il mio debito con la giustizia, soprattutto dal momento che ho intenzione di cambiare pagina». La difesa valuterà se ricorrere in Appello.