Violenza carnale: ora la ex si mette in discussione
Alla sbarra un 39enne già condannato a tre anni
Fu un rapporto sessuale un po’ troppo focoso o uno stupro? A stabilirlo sarà la Corte di appello e di revisione penale, presieduta da Giovanna Roggero-Will, giudici a latere Rosa Item e Andrea Ermotti. La sentenza verrà pronunciata nelle prossime settimane. Ieri mattina alla sbarra è comparso un 39enne sudamericano residente nel Bellinzonese, che lo scorso 18 giugno 2019 la Corte delle Assise criminali, presieduta da Mauro Ermani, ha ritenuto colpevole di coazione sessuale e violenza carnale per aver costretto l’ex compagna – irrompendo nella sua abitazione il 12 agosto 2015 – a subire atti sessuali contro la sua volontà, usando violenza e minaccia. La sentenza di primo grado ha condannato l’imputato a una pena di tre anni, di cui 10 mesi da espiare e 26 sospesi condizionalmente per due anni. L’accusa, rappresentata dal procuratore pubblico
Pablo Fäh, ha chiesto in secondo grado che l’imputato venga condannato a una pena detentiva di tre anni, rimettendosi al giudizio della Corte riguardo a una possibile parziale sospensione della stessa. Dal canto suo la difesa, rappresentata dall’avvocato Raffaele Caronna, si è battuta per l’assoluzione del suo assistito.
Una lettera alla Corte
Rispetto al dibattimento tenutosi alle Assise criminali vi è un elemento di novità: lo scorso 5 febbraio l’accusatrice privata ha recapitato una lettera alla Corte di appello. Nello scritto l’ex compagna dell’imputato ha voluto esternare i propri dubbi, dichiarando di non escludere che quel giorno dell’agosto 2015 avrebbe potuto esprimere con maggior chiarezza e fermezza la propria contrarietà ad avere un rapporto sessuale con l’imputato. In quell’occasione – ha spiegato la donna – il dubbio che le è sorto analizzando quanto avvenuto, è che i suoi ‘non voglio’ e ‘ho paura’ siano stati intesi dall’imputato non come un rifiuto al rapporto, ma come un non voler praticare quanto da lui richiesto. «Sono convinta che se io avessi saputo trovare un modo diverso per fargli capire che non volevo fare sesso quel giorno, lui si sarebbe fermato», ha aggiunto la donna che oggi dice di essere in buoni rapporti con l’imputato, soprattutto per il bene del figlio che hanno avuto insieme. L’accusatrice privata, rappresentata in aula dall’avvocato Stefano Peduzzi, ha affermato che dopo la sentenza di primo grado non si è sentita sollevata, anzi. «In questa vicenda non c’è chi vince e chi perde, abbiamo perso tutti a prescindere». La donna tiene poi a precisare un altro aspetto: «Quando mi sono recata in polizia a deporre non immaginavo che ci saremmo poi trovati in questa situazione. Il mio obiettivo era soltanto che lui capisse che non doveva più venire a casa mia e mi lasciasse in pace». Nonostante quanto dichiarato dall’ex compagna, la pubblica accusa ha invitato a prestare attenzione all’oggettiva estrema gravità dell’accaduto, senza cercare spiegazioni a posteriori per banalizzare quanto avvenuto quel giorno di agosto. Per il pp l’imputato era geloso e violento, voleva umiliare e sottomettere l’ex compagna, dimostrandole che lui poteva fare di lei ciò che voleva, costringendola così a subire un rapporto. Ciò che ha peraltro portato la donna a soffrire di un disturbo post traumatico.
L’ombra del dubbio
L’avvocato Peduzzi ha chiesto alla Corte di accogliere integralmente il ricorso della difesa, invitando a considerare il principio ‘in dubio pro reo’: «E questa volta in aula il dubbio lo ha portato proprio la mia assistita», ha evidenziato. Ma il dubbio, ha fatto dal canto suo presente l’avvocato Caronna, c’era già all’inizio: nelle prime dichiarazioni fornite alla polizia la donna ha definito il rapporto ‘particolarmente intenso’, aggiungendo che sembrava che l’ex compagno avesse quasi avuto l’intenzione di violentarla. «Queste sono le parole pronunciate subito dopo i fatti. E c’è una bella differenza tra queste affermazioni e dire ‘mi ha violentato’», ha precisato il patrocinatore.
L’ultima parola
Quando è stata concessa l’ultima parola all’imputato, il 39enne tra le lacrime ha riconosciuto che qualcosa quel giorno non ha funzionato: «La nostra intesa non è stata quella di sempre. È vero, non sarò stato l’uomo più gentile al mondo in quell’occasione, ma come ho dichiarato in tutti i verbali, e lo dico dal profondo del cuore, se avessi capito che lei voleva interrompere il rapporto sessuale, lo avrei fatto».