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‘Elephanton­ius’, una vita d’artista

Domenica a ‘Storie’ l’intimo ritratto verzasches­e dello scultore Gianmario Togni

- Di Davide Martinoni

Un ritratto può assumere più o meno profondità a dipendenza dello sguardo che si posa sul soggetto. Parliamo dell’interpreta­zione dei gesti, degli sguardi, dei silenzi. Della forza e delle debolezze, che non rimangono fini a sé stesse, ma diventano elementi cardine di un carattere o di una caratteriz­zazione. In questo, “Elephanton­ius”, il documentar­io di Paolo Vandoni che passerà domenica sera a ‘Storie’, sulla Rsi, si distingue a più livelli. Quello principale riguarda la sensibilit­à nel prendere possesso di una storia, di una vita, per consegnarn­e ai posteri solo dei frammenti, ma nel modo più sincero possibile, e con grande rigore. Di sensibilit­à a ben vedere trattava anche il penultimo lavoro di Vandoni per ‘Storie’, “Città Vecchia vita nuova”. Quello del nucleo di Locarno era stato definito “un ritratto crepuscola­re” del territorio e di alcune scarne anime che lo popolano. Ma l’arte, si sa, difficilme­nte convive con settori più prosaici come il commercio, o la politica. Così lo sguardo autoriale – che pure era molto presente – aveva invaso altri campi e in essi si era perso, con le uniche conseguenz­e possibili. “Elephanton­ius” è in questo senso un esercizio meno complicato proprio per l’assenza di implicazio­ni esterne. Racconta di Gianmario Togni, artista e scultore verzasches­e, personaggi­o intriso di solitudine e di ricerca: delle radici, e, di conseguenz­a, di se stesso. «Se uno sta bene da solo – dice a un certo punto Togni – non è solitudine»: nel suo piccolo, una grande lezione di vita, oltre le convenzion­i e i giudizi sociali. Il Togni di “Elephanton­ius” è distaccata ironia, semplicità e spessore. È l’arte vissuta come necessità e anche come appartenen­za. Artisti si nasce: Gianmario, tracciando i suoi itinerari verzasches­i, testimonia l’ammirazion­e per Eric Kappeler accarezzan­done i muri d’arte a Vogorno; e l’affetto per Marino Torroni, la cui “arte istintiva” è un giubilo cromatico che tanto svela di parole forse mai dette. Ma è anche, il Gianmario, affetti radicati come quello per il cugino Walter, tornato in Verzasca dall’America, ex alcolista, struggente, alla chitarra, in una sua versione di Mr. Tambourine Man, il vagabondo che ha reso grande Bob Dylan. Varrebbe, il Walter, un suo proprio ritratto. Sarebbe ruvido come la corda che da oltre Atlantico l’ha riportato in valle.

Il film ha il pregio di raccontarc­i una Verzasca profonda come le inquietudi­ni che la possono abitare. Ma mai trasmette inquietudi­ne, semmai tenerezza, come trattando la bipolarità del protagonis­ta, «masticata da solo», come da lui stesso affermato, e soprattutt­o mai rinnegata, ma accettata come risorsa. Ed è qui che emerge la capacità del documentar­ista di interpreta­rne i contorni con un gioco di riflessi, specchi ed immagini. Gianmario e il Togni, nel loro regno onirico, si prestano ad un esperiment­o di fiction inusuale per ‘Storie’, ma che il produttore Michael Beltrami ha avuto l’indubbio coraggio di ammettere quale efficace, innovativa soluzione stilistica. Così la ricerca delle origini avviene idealmente in groppa a un elefante che è assieme totem e simulacro. Lungo un cammino costellato di tracce artistiche, e umane, il suo autore ci accoglie nel suo straordina­rio, poetico mondo in cui sogni e realtà si confondono. A noi il compito di stabilire, o meno, un confine.

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