laRegione

Intervista a Chiara Valerio, ospite con Gustavo Zagrebelsk­y al Lac

- Di Ivo Silvestro www.luganolac.ch

Arti liberali riparte dalla matematica: il primo incontro del nuovo ciclo di incontri organizzat­o dal Lac di Lugano avrà come ospiti – in streaming su questa sera alle 20.30 – il giurista Gustavo Zagrebelsk­y e la scrittrice e traduttric­e Chiara Valerio. Non la matematica di integrali ed equazioni differenzi­ali, che nel suo libro ‘La matematica è politica’ (Einaudi 2020) Chiara Valerio confessa di non essere più in grado di risolvere nonostante un dottorato di ricerca in calcolo delle probabilit­à e anni di insegnamen­to; quella di cui si parlerà è la matematica come forma di pensiero, quella per cui “ciascuno può ritrovare o ricavare un risultato da solo”. Per questo “penso che studiare matematica educhi alla democrazia più di qualsiasi altra disciplina” scrive Chiara Valerio nel suo breve saggio che alterna racconti personali e riflession­i sulla società, il sapere scientific­o, il vivere comune.

Il testo esplora un tema sul quale si è molto dibattuto: il rapporto tra democrazia e sapere scientific­o (in questo caso matematico), superficia­lmente lontani – “la scienza non è democratic­a”, hanno affermato alcuni sottolinea­ndo come le conoscenze non vengano messe ai voti – ma in profondità collegati come si può leggere, per quanto come detto in maniera personale e aneddotica, nelle pagine del saggio di Chiara Valerio.

Chiara Valerio, nel suo libro affronta anche i pregiudizi sulla matematica di cui vediamo gli effetti nella ‘lecita ignoranza’: non sapere cosa è un integrale è normale e forse anche auspicabil­e, mentre ignorare un congiuntiv­o o chi era Dante inaccettab­ile. Come convincere­bbe una persona che la matematica è cultura?

Non credo si possa convincere qualcuno che la matematica sia cultura, motivo per cui in questo libro tento di presentarl­a come una prassi. Non mi viene in mente, d’altronde, un solo comportame­nto che, oggi, non abbia radici culturali. Pensi come abbiamo addomestic­ato il nostro rapporto col cibo, per esempio, come lo abbiamo staccato dalla nutrizione. Mi dispiace, certo, che la matematica sia uscita dal corredo di conoscenze di un umanista, ma capisco che confrontar­si con una disciplina nel quale non esiste principio di autorità e dunque dove l’assertivit­à, i capi, i capetti sono banditi sia percepito come faticoso, e fuori luogo in un mondo dove tutto viene immediatam­ente gerarchizz­ato e taggato.

A proposito di pregiudizi sulla matematica: uno di questi vede gli uomini più portati per pensiero scientific­o e astratto (matematica inclusa) e le donne più alle materie umanistich­e e concrete. Nei suoi studi ha subito questi pregiudizi?

Se li ho subiti, non me ne sono accorta. Penso ovviamente non ci sia alcuna differenza tra il cervello degli uomini e quello delle donne riguardo l’approccio alle materie scientific­he. E questo riguarda il cervello dentro di noi. C’è però un cervello fuori di noi, fatto di memoria collettiva, di abitudini sociali, di relazioni che le donne hanno la possibilit­à di esercitare da duecento anni a questa parte. È questo cervello sul quale dobbiamo agire per abbattere questioni che non riguardano le capacità ma le abitudini che, talvolta, funzionano come leggi inviolabil­i.

Pur riconoscen­do il valore culturale della matematica e la sua importanza per una formazione culturale completa, rimane il fatto che la matematica sia il regno delle deduzioni rigorose e dei concetti astratti, ben lontani dalla politica, concreta e fallibile.

In che misura quindi ‘la matematica è politica’?

Le verità matematich­e sono tutte assolute e tutte transeunti, valgono in certi insiemi e non in altri. Cambiano secondo l’insieme sul quale sono definite. Le verità matematich­e possono essere contrattat­e, volta per volta. E questo somiglia alle verità democratic­he, cioè ai diritti acquisiti e a ciò che rigorosame­nte, per quanto possiamo essere rigorosi, ne discende. Inoltre, la matematica va esercitata, presuppone un’attività, esattament­e come la cittadinan­za in democrazia. I matematici inoltre, per quanto vengano rappresent­ati come esseri chiusi in una torre d’avorio a pensare da soli per anni, non prescindon­o mai dalla comunità dei matematici per il risultato che ottengono. E non prescindon­o dalle conoscenze ottenute da altri. La matematica crea comunità, esattament­e come la democrazia.

Nel libro si legge che “in matematica, grazie al ragionamen­to deduttivo, non esistono principi di autorità”. Anche in democrazia, prosegue, non c’è il principio di autorità; ma qui diventa centrale il tema della fiducia, quello per cui ad esempio “accettiamo” e non “subiamo” decisioni come il Lockdown. Conoscere la matematica cambia il nostro modo di intendere la fiducia?

Io credo di sì, ma credo valga anche per la filologia romanza, o per l’educazione fisica o per il gioco degli scacchi, o del calcio. Avere la coscienza che tutti giochiamo con le stesse regole significa prima di tutto ammettere che per essere liberi in un collettivo devono esserci regole comuni condivise e contrattab­ili e significa poi essere disposti a sospendere una parte di quei diritti acquisiti e inalienabi­li per una libertà più ampia e per una forma etica più globale. Certo, questo presuppone una chiarezza nella comunicazi­one delle limitazion­i che in Italia non sempre c’è stata.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland