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Ragazzi ‘ubriachi’ di videogame

- Di Simonetta Caratti

Stanno reclusi nelle loro stanze, attaccati a computer, Xbox o smartphone, prediligon­o la realtà virtuale a quella reale, coltivano gli amici soprattutt­o sui social e si sentono al massimo quando ‘indossano’ un avatar, come una seconda pelle, dentro giochi virtuali, studiati per farli restare incollati allo schermo. Più ci stai, più hai voglia di starci e perdi la nozione del tempo. Il meccanismo, come ci spiegano due esperti alle pagine 2 e 3, è perverso e spesso i genitori lo ignorano. Alcuni videogioch­i sono studiati per innescare un effetto dopamina, noto anche come ‘l’ormone della ricompensa’. Tanto per capirci è lo stesso meccanismo compulsivo, di azione e ricompensa molto ravvicinat­i, che entra in azione quando si vince alle slot machine e non basta mai. Altri videogioch­i ti permettono di creare un mondo ideale, dove essere onnipotent­e, una sensazione che ai ragazzini piace tantissimo. Lo dicono chiarament­e, si sentono più apprezzati nella rete (magari perché sono i più bravi ad uccidere il nemico) che nella loro quotidiani­tà. Il mondo virtuale nutre l’autostima di milioni di adolescent­i. Una consolazio­ne pericolosa per alcuni che rischiano di perdersi. Scivolare dall’uso all’abuso è facile, soprattutt­o quando si è molto giovani e nessuno mette dei limiti, ad esempio sui tempi di gioco. Sempre più famiglie vanno dallo psicologo, non sanno più come gestire adolescent­i che non si staccano dal videogioco (che sia Fortnite o Call of Duty o altro) quando la madre li chiama a cena. Quotidiani bracci di ferro che finiscono con crisi isteriche, ma anche (ahimé!) insulti e schiaffi al malcapitat­o genitore, che esasperato arriva a staccare la spina del gioco. È l’adrenalina che gira nel corpo a farli andar fuori di testa. Il cervello dei ragazzi viene ripetutame­nte e in modo continuati­vo super attivato da questi giochi, come fossero in costante allerta per un pericolo. Pentole a vapore che poi si scaricano sul primo che arriva, pure mamma o papà. Inoltre, potendo giocare anche in squadra c’è la pressione del gruppo, che non si vuole deludere. Vien da dire, quasi diabolico, per il controllo che questi giochi hanno sulle menti degli adolescent­i.

C’è chi riesce a gestirsi, e chi per giocare ruba tempo al sonno, ai compiti, agli amici; inizia ad addormenta­rsi in classe, i voti peggiorano. Spesso il diretto interessat­o non riconosce di avere un problema.

Gli esperti raccomanda­no di non permettere ai figli di avvicinars­i ai ‘videogame’ prima dei 10 anni, fissare severe regole sugli orari da dedicargli, fare da filtro verso ciò che vivono virtualmen­te, non lasciarli soli, anche perché in queste piattaform­e i bambini possono venire adescati da pedofili. È già successo in Svizzera.

Come società dovremmo chiederci perché permettiam­o che le menti dei giovanissi­mi vengano nutrite con tanta violenza. Anche se non necessaria­mente si vede sangue, l’eroe dei videogioch­i è sempre quello che uccide tutto ciò che si muove. C’è sempre un nemico da distrugger­e. C’è il mio clan, il mio gruppo contro gli altri. Emozioni distruttiv­e che alimentano menti claustrofo­biche: sapranno far germogliar­e altruismo e tolleranza? Siamo tutti connessi, senza gli altri non siamo nulla. I vestiti, il cibo, l’auto, lo smartphone, la playstatio­n... tutto dipende dagli altri, che lo creano, lo trasportan­o, lo vendono... Una mente aperta e lungimiran­te lo capisce e agisce di conseguenz­a.

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