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Due viaggi nell’insolito

Al Museo delle culture i tappeti in feltro dei nomadi asiatici e le cartoline del Giappone

- Di Ivo Silvestro

Due inaspettat­i viaggi in terre lontane: ‘Namad’ (nello Spazio Cielo) e ‘Souvenir du Japon’ (nello Spazio Maraini) sono le due nuove esposizion­i con cui, in aggiunta alla prolungata ‘Kakemono’ dedicata alla pittura giapponese, il Museo delle culture di Lugano riapre dopo la pausa pandemica.

Due viaggi inaspettat­i: ‘Namad’ ci porta in Iran e nell’Asia centrale attraverso l’umile feltro, mentre ‘Souvenir du Japon’ ci invita a scoprire il Giappone attraverso le cartoline. Due scoperte “dalla porta di servizio”, verrebbe da definirle, ma proprio per questo sorprenden­ti e suggestive.

Iniziamo da ‘Namad’, termine che in farsi indica appunto il feltro, la lana pressata che da millenni accompagna la vita dei nomadi di un’area che comprende gli odierni Turkmenist­an, Iran, Uzbekistan, Kazakistan, Kirghizist­an e Afghanista­n. “Da millenni” ma, come ci ha spiegato la curatrice Imogen Heitmann, abbiamo poche testimonia­nze sia dirette sia indirette di tappeti in feltro del passato e pochissimi esemplari sono giunti in Europa anche per il peso elevato: abbiamo qualche descrizion­e storica, ad esempio nelle cronache di Marco Polo, illustrazi­oni nei testi antichi, più recentemen­te le fotografie dell’occupazion­e russa nell’Ottocento ma sono rari i feltri di più di cento anni. «Al contrario dei tessuti, nei feltri il disegno rimane molto in superficie e una volta usurati, venivano buttati via e sostituiti: non sono oggetti creati per durare nel tempo ma per essere utilizzati» ci spiega Heitmann.

Siamo quindi di fronte a una lunga tradizione di cui vediamo solo i frutti recenti, ovvero i tappeti – che spesso adornavano le pareti delle tende dei nomadi, le famose iurte – e altri oggetti di feltro raccolti da Sergio Poggianell­a: una collezione che, in collaboraz­ione con l’omonima fondazione che si occupa di valorizzar­e questo patrimonio, il Musec ha studiato. Poggianell­a, ci spiega Heitmann, è gallerista ed esperto d’arte «e si è innamorato di questi oggetti per il loro linguaggio figurativo che rimanda a una certa idea di astrazione». Proprio nella prima sala troviamo un feltro da terra del Turkmenist­an – «uno dei preferiti del collezioni­sta» – realizzato nella prima metà del Novecento con un motivo a losanghe dai vivaci colori (di sintesi) che richiama subito Kandinskij. Il motivo a losanghe è in realtà tipico della cultura Saryk, ci spiega la curatrice, ma il legame con le avanguardi­e potrebbe non essere una semplice suggestion­e, come suggerisce il direttore del Musec Francesco Paolo Campione nella sua introduzio­ne al catalogo: alla fine dell’Ottocento Kandinskij e altri artisti guardarono alle radici asiatiche della Russia per rinnovare le fruste poetiche realiste del loro tempo.

Seguendo la sensibilit­à del collezioni­sta, il percorso espositivo ruota intorno all’iconografi­a di questi feltri, fatta di disegni e motivi apparentem­ente astratti, in realtà parte di una complessa e articolata raffiguraz­ione simbolica che possiamo approfondi­re nei fogli di sala e soprattutt­o nel catalogo.

Prima, però, qualche parola sulla tecnica, iniziando dalla domanda che è immediato porsi: perché il feltro e non dei tessuti? «Servirebbe­ro un telaio, oggetto pesante che poco si adatta alla vita nomade, e molto tempo, mentre quattro-cinque persone bastano a realizzare un feltro in una giornata, pressando la lana» ci risponde Heitmann. «Il feltro, inoltre, per le sue qualità fisico-chimiche protegge molto bene dalle intemperie, dal freddo, dall’acqua: le tende stesse erano formate da una struttura in legno rivestito, sia all’interno sia all’esterno, di feltro». Proprio alle tende dei nomadi, quelle iurte su cui in Occidente si è creata quasi una mitologia, è dedicata l’ultima sala dell’esposizion­e dove una semplice installazi­one mostra gli elementi essenziali della casa di queste popolazion­i.

Ma la parte principale del percorso è dedicata, come detto, ai Namad e ai loro motivi. In mostra troviamo esemplari della tradizione turca e di quella iranica, «con differenze sia nell’esecuzione, sia nei motivi, anche se ovviamente vi sono stati degli scambi tra le due culture» spiega Heitmann. Motivi, come detto, apparentem­ente astratti: «Al nostro occhio non c’è nulla di figurativo, ma ogni elemento rimanda a qualcosa che esiste nel mondo naturale». Ci avviciniam­o a un grande feltro yomut del Turkmenist­an, dominato da spirali. Singola, rimanda allo scorpione, dal quale il feltro ha anche il compito di proteggere. Quattro spirali combinate creano un motivo solare, legato al culto del Sole, mentre due spirali speculari sono le corna di montone, «idea di fecondità e forza maschile». Una spirale sopra l’altra la donna partorient­e, mentre se poste agli angoli le spirali rimandano alla protezione dai quattro punti cardinali. «È una grammatica: ogni elemento è una lettera che si combina con altre lettere creando significat­i».

Immagini da un Giappone immaginifi­co

I feltri hanno dalla loro l’immaginari­o delle iurte, le cartoline di ‘Souvenir du Japon’ invece richiamano alla mente le convenzion­ali e stereotipa­te immagini da mete vacanziere oggi soppiantat­e dagli altrettant­o originali selfie.

In un certo senso è così: quelle che costellano le pareti dello spazio Maraini sono effettivam­ente immagini stereotipa­te, dei modelli idealizzat­i che però, vuoi per la distanza temporale – si parla degli anni d’oro della cartolina, da inizio Novecento alla Grande guerra –, vuoi per la distanza geografica e culturale, hanno mantenuto e forse anche incrementa­to la capacità di portarci in un altro mondo.

Quelle che troviamo sono seicento cartoline, parte della ben più ricca Collezione Ceschin Pilone, ci spiega la curatrice Moira Luraschi. Cartoline che raccontano una infinità di storie: quella del servizio postale universale, quella della modernizza­zione del Giappone con curiosamen­te poetiche immagini di ciminiere fumanti, quella dell’espansioni­smo giapponese con raffiguraz­ioni dei popoli felici e colonizzat­i, della guerra con la Russia, la storia delle tecniche di realizzazi­one con alcune cartoline incredibil­mente raffinate realizzate in lacca o a olio, ma anche la storia del futuro ammiraglio italiano Romeo Bernotti che, di stanza in Giappone nel 1903, scriveva ogni giorno più cartoline alla fidanzata in Italia.

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Con le nuove esposizion­i ‘Namad’ e ‘Souvenir du Japon’ il museo riprende l’attività
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Imperatore Hirohito e Naveda battaglia Kirishima, 1930
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FONDAZIONE POGGIANELL­A Feltro da terra saryk, prima metà del ’900

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