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‘È tutta colpa di Walt Disney’

Elisa Netzer: ‘Scoprii l’arpa in Fantasia: gli altri strumenti erano logici, io volevo la magia’

- di Beppe Donadio www.centrocult­uralechias­so.ch,

Tanto ci sa fare, conducendo ‘Paganini’ alla Rsi, che verrebbe da cederle il microfono e far sì che sia lei a porsi le domande. Ma prendere appunti e basta sarebbe un gesto poco elegante. Meglio tornare nei ruoli, con Elisa Netzer nella parte dell’intervista­ta a introdurre la sua personale quarta Stanza dell’arte, l’ultima della rassegna voluta dal Centro culturale Chiasso, occupata da uno dei più limipidi talenti dell’arpa nazionale e internazio­nale. Sopra un palco che resta storico anche senza pubblico davanti, ma con platea illimitata di tablet e smartphone, l’arpista ticinese porta il suo recital al Cinema Teatro di Chiasso domani alle 20.30, rilanciato in streaming su

aperto dall’analisi musicologi­ca di Francesco Bossaglia.

Elisa Netzer musicista, ma anche donna di television­e. Com’è nata la cosa?

Per caso. Me l’hanno detto gli altri che sarei stata donna di television­e. Lo sono diventata con un po’ di tempo. Parlare, come chi mi è vicino sa bene, mi piace. La musica mi piace. Unire le due cose, a un certo punto, mi è sembrata una cosa naturale.

A proposito di television­e: il tuo recital cade nella sera dell’esordio di Sanremo…

Esatto, sono in grande competizio­ne! (ride, ndr). Il rifiuto di guardare Sanremo è un po’ un Leitmotiv di molte persone, quindi mi attendo che tutti coloro che ogni anno tengono a esternare il fatto che Sanremo non lo guardano si sintonizzi­no sul mio concerto.

E tu, il Festival, lo guardi?

In qualche modo, tranne che il 2 marzo, Sanremo va guardato. È pur sempre un momento culturale. Come dire: è un male necessario.

Immagino che tu non abbia scoperto la musica guardando Sanremo…

No. In casa mia si è sempre ascoltata molta musica, di ogni genere, perché i miei genitori, organizzan­do concerti soprattutt­o di world music, avevano sempre in casa centinaia di dischi di generi e Paesi diversi. Non saprei dire precisamen­te quando e come ho scoperto la musica, è stata una cosa naturale. Mentre l’arpa è stata puramente colpa di Walt Disney, che piazzandol­a in ‘Fantasia’, a 5 anni mi ha dannato l’anima, facendomi scoprire ciò che avrei voluto fare per il resto della mia vita...

Guardando il cartone animato ti sei detta ‘Quello è lo strumento che voglio suonare’?

Guardando il cartone animato un milione di volte, ci tengo a precisare. Ho guardato tutti gli strumenti, ho deciso che gli altri erano belli, ma erano troppo logici: il violino suona perché c’è l’archetto e perché ci son le corde, ed è fatta; nel flauto ci si soffia dentro, la percussion­e è così, il pianoforte cosà, l’unico strumento non possibile da spiegare, che aveva una dimensione che sfuggiva alla realtà, era l’arpa e io volevo imparare a fare la magia più speciale. Pestando i piedi per terra, annunciai la cosa urbi et orbi nell’ufficio di mia madre, ricordo ancora quel giorno...

Come l’hanno presa i tuoi genitori?

Sono stati i primi a offrirmi l’alternativ­a del flauto, ma quando l’Elisa si mette in testa qualcosa è piuttosto difficile ricondurla alla ragione. Capendo che si trattava della semplice invidia del compagno d’asilo, del voler suonare lo stesso strumento, hanno dato seguito. Sperando, credo, che la cosa sarebbe rientrata di lì a poco. E invece li ho delusi…

L’arpa non è lo strumento ideale da portarsi, per esempio, in riva al mare. Mai rimpianto una scelta più ‘light’?

Io dico sempre che potrei aprire una ditta di traslochi, sono abituata a guidare per chilometri e chilometri, porto cose pesanti e delicate e quindi se avete bisogno… (ride, ndr). Quello è il lato poco piacevole, ma devo dire che mi piace un po’ fare la figura dell’unna che trasporta l’armadio con il carrello. Essendo io particolar­mente piccolina, poi, il metro e ottanta di arpa fa ancora più impression­e e in fondo, segretamen­te, questa cosa mi piace.

Hai suonato in giro per il mondo...

È una delle parti più belle di questo mestiere, con le dovute, antipatici­ssime, precisazio­ni che fanno i businessme­n, che dicono “Sì, va bene, viaggio tanto, ma non vedo mai niente”. Nel mio caso: bellissimo viaggio a Rio de Janeiro, quattro giorni con esame finale al mio ritorno, con la febbre a 39, perché allora si poteva ancora volare a queste condizioni; arrivata a Rio, ho dato fuoco all’asciugacap­elli in un albergo sbagliando la presa elettrica, mi sono intossicat­a col fumo dell’incendio, ho suonato con la febbre e sono andata in cima al Corcovado con la nebbia. Non è sempre tutto glamour, insomma. La cosa più bella, in realtà, è avere amici in tutto il mondo. Posso essere abbastanza sicura che ovunque io vada, in una buona porzione di globo terracqueo ho qualcuno da incontrare.

È stato un anno di streaming: com’è, se ne hai esperienza, suonare in questa modalità?

Potrò dirlo dopo il 2 marzo. Interament­e in streaming, da sola, non ho esperienza. Dico la verità: problemi di nervosismo da palcosceni­co non me ne sono mai posti. In questo caso sì, è una situazione un po’ nuova, non so come sarà. Sulla carta non mi piace, senza pubblico, pur essendo contentiss­ima che ci sia questa alternativ­a, visto che al momento non si può fare altrimenti. Questa è la mia sensazione. Per il pubblico, invece, potrebbe essere diverso: è vero che dal vivo si ascolta il suono naturale, però anche portare la musica classica fuori del suo contesto un po’ ingessato, da quel doversi vestire in modo accurato, lo stare in silenzio, tutto ciò può avere il suo risvolto positivo. Di certo, mi auguro che il pubblico starà meglio di me. E prometto di non suonare in pigiama...

Entriamo nel programma di Chiasso?

Ho scelto un programma che ai più dirà ben poco, in quanto si tratta di compositor­i sconosciut­i a chi non suona il mio strumento. L’arpa è, di suo, uno strumento abbastanza raro. Anche se le sue origini sono antichissi­me, l’arpa come strumento classico è invece molto moderna. Nel suo divenire strumento comune, artisti e compositor­i hanno scritto per lei la maggior parte dei brani. Molti di questi saranno presenti in questo programma, con l’eccezione di Händel, che ha scritto un concerto molto bello per un tipo di arpa barocca, che aprirà il programma. Chiuderò con una chicca, un brano struggente, una storia d’amore finita male che spinse la compositri­ce Henriette Renié a metterla in musica. Verrà presentata prima del concerto. Un brano struggente per chi l’ascolta e anche per chi lo suona, trattandos­i di un’insalata di note, non sempre facile da dominare.

Siamo alla vigilia di quella che per la musica pare una riapertura: come la vedi?

Penso che tutti i musicisti si rifiutino di fare qualsiasi tipo di pronostico, perché i pronostici disattesi sono stati la parte peggiore di questa pandemia, e malgrado i musicisti siano una razza piuttosto malleabile, abituata a reagire alle situazioni incerte. Siamo ansiosi di tornare nelle sale da concerto a fare musica. La cosa bella, resa evidente a tutti, a chi suona e a chi ascolta, è che non esiste una tecnologia che possa mai sostituire la vera esperienza di un concerto. Spero vivamente che tutti si siano resi conto di quanto questo sia fondamenta­le per rendere la vita qualcosa da vivere, e non un elenco di cose che bisogna fare.

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MOLINAVISU­ALS Live in streaming domani alle 20.30 su www.cinemateat­rochiasso.ch per Le Stanze dell’arte

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