La nobile arte dell’arrangiarsi
Il Festival è cominciato, sullo stesso palco del Premio Tenco, dal quale arriva un vincitore
Anno 2020, poco dopo la metà di aprile; in Italia sono i giorni della musica dai balconi, dell’andrà tutto bene, dell’esercito convertito in onoranze funebri e dei dippicciemme, scritto alla Conte. Lady Gaga annuncia ‘One World together at Home’, il Live Aid del modem, la Woodstock della fibra ottica, il più grande open air al chiuso che la storia ricordi. Con intento benefico, ci sono tutti, chi dal salotto di casa, chi dalla stanza d’albergo, chi dallo studio di registrazione: Sir Paul McCartney canuto, Elton John paffuto, Luis Fonsi despacito; ci sono anche Zucchero imbolsito, Stevie Wonder intonato e i Rolling Stones invecchiato (è per fare la rima, son giorni di canzoni, l’abbiamo già scritto). In tutta la solidarietà di questo mondo unico, insieme come fosse una cosa sola, nello smarrimento del restare appesi a un filo, anche telefonico, e nella convizione che soltanto Dio sapesse cosa stava succedendo (‘God only knows’, Bublé con Bocelli e Céline Dion, la Germanotta e Lang Lang al pianoforte, in un capolavoro dei Beach Boys a chiudere l’evento), quella sera la musica ferita (...)
(...) provava a dare forza, nell’amara constatazione che tutto era preregistrato per l’impossibilità di andare a tempo gli uni con gli altri.
Così è stato per tanto tempo. È trascorso un anno da quel Lady Gaga & Friends, e il Festival di Sanremo è forse il primo grande evento musicale ad avvicinarsi a quella che è stata la realtà. Sembrano esserne consci tutti. Nelle conferenze stampa regna la buona educazione: nessuno ha chiesto i cachet di nessuno, nessuno ha storto il naso se ce ne sarà ogni notte sino all’una (di notte), e di sabato fino alle tre. Tanto che fare le pagelle, questa volta, quasi ci fa sentire degli infami. Solo chi ieri chiedeva ad Amadeus di render conto della moglie impiegata al Primafestival ha smentito quella sensazione che la pandemia ci avrebbe davvero resi migliori.
Venendo allo show. L’assurdità e l’esigenza di applicare lo spettacolo al contingente, dove il contingente è il vuoto assoluto in sala, eleva il tasso comico: prima dell’inizio, sul balconcino che affaccia su via Matteotti c’è l’ologramma di Vincenzo Mollica («La principessa Leila dei giornalisti»); e quando tutto inizia, in teatro c’è Fiorello con «l’accappatoio di Achille Lauro» che canta una ‘Grazie dei fior’ tra i Metallica e i Negramaro; c’è Fiorello che parla alle poltrone («Vi siete sempre beccate la parte peggiore di noi»), c’è Fiorello che fa tutto. Anche l’elogio del ‘culo’ è il frutto dell’arte dell’arrangiarsi, come il ‘su i braccioli, giù i braccioli!’ rivolto ai rossi sedili, che prima di essere trovata da mattatore è animazione da villaggio vacanze, esercizio fondamentale per l’intrattenitore come il giro di blues per il musicista. Il Festival della Canzone Italiana è iniziato nel segno della migliore improvvisazione, intesa come arte e non come casualità. Con un paio di punti fermi: 1. Mina che canta la canzone della Tim; 2. La barba del maestro Peppe Vessicchio che dirige; 3. L’orchestra, valore aggiunto di una manifestazione popolare dove a suonare è la macchina umana; un’orchestra che, in assenza degli incravattati e delle sciure delle prime file, fa anche da pubblico, con battimani e battiarchetti. 4.‘Fai rumore’, con Diodato sul palco a ricordarci che a febbraio di un anno fa non ce la passavamo poi così male.
Loredana Bertè che venderà più di tutti (l’inedito ‘Figlia di’), e le canzoni per come le abbiamo ascoltate noi, stanno su Chiudiamo con un virgolettato: «Mai avrei pensato che tutto questo fosse possibile, rispettando ogni norma di sicurezza, pensando a chi vive di musica, di televisione e di spettacolo. Questo festival è stato fatto pensando al paese reale che sta lottando per ritrovarsi. Abbiamo scoperto che la normalità è una cosa straordinaria, e per averla abbiamo lavorato in maniera straordinaria. Non ho spettatori in sala e – concludeva Amadeus a inizio serata, prima di lasciare spazio alla musica – avrò applausi registrati. Ma mi rincuora pensare che siano i vostri applausi da casa».
ESCLUSIVA ‘L’amore a Roma, città di mare’
Canta questa sera, Fulminacci. Un nome d’arte tra il rétro e il nostalgico, tra il Grande Splendini del Woody Allen di ‘Scoop’, o direttamente Supergiovane. Classe 1997, scrive le sue cose, le arrangia e se le canta, come nella migliore delle autogestioni musicali. ‘Borghese in borghese’, anno 2019, è carta moschicida per i cacciatori di cantautori. Il fatto che ‘La vita veramente’, anche singolo (“Odio gli artisti, i narcisisti, ma sono pazzo di me”) e miglior videoclip dell’anno, vinca di lì a poco la Targa Tenco per la migliore Opera prima, non è un caso. Anche perché prima del Tenco, Fulminacci – che aveva aperto per Gazzelle al Forum di Assago – al Concertone del Primo Maggio ci era andato in prima persona. È tornato a settembre 2020, il cantautore, con ‘Canguro’, e due mesi dopo con ‘Un fatto tuo personale’ – versione ‘Evolution’ – che finiranno nel nuovo album ‘Tante care cose’ in uscita il 12 marzo. Con dentro ‘Santa Marinella’, in gara a Sanremo. Il suo primo Sanremo.
Buongiorno Filippo: per parlare di Fulminacci partiamo dal nome?
Sì, ma la genesi del mio nome non è così interessante, in realtà. L’ho scelto perché mi diverte e ricorda il mio nome e il mio cognome mischiati. Mi chiamo Filippo Uttinacci e Fulminacci è, in qualche modo, una crasi delle due cose. In più, quello che mi ha fatto divertire, è stato scoprire che ‘fulminacci!’ è un’esclamazione dei fumetti degli anni 60 come Braccio di Ferro o Tex, che dicono ‘fuminacci!’ invece di ‘accidenti!’.
Sei una Targa Tenco che canta al Festival di Sanremo. Il teatro è lo stesso, l’Ariston, ma le dinamiche sono molto diverse…
Hanno in comune il fatto che esistono nello stesso luogo, e da un punto di vista prettamente estetico, che fa la sua parte, durante il Tenco il teatro è molto più spoglio ed essenziale. Ora c’è una scenografia pazzesca che ti travolge quando la guardi, che percepisci. Effettivamente c’è un’emozione superiore, che si sente. Però, devo dire che quando ho vinto il Tenco ero veramente all’inizio della mia carriera, per cui sono stato travolto anche quella volta, sebbene non ci fosse la scenografia del Festival. Il fatto di essere su quel palco, che era tutto arrosto e niente fumo, è stato molto importante, anche se più semplice.
Parti avvantaggiato. Non posso chiederti com’è Sanremo senza pubblico, ma provo a farti la domanda lo stesso, ipotizzando che il palco sia un altro…
Ho avuto la fortuna di fare parecchi concerti, con davanti molte persone, ed effettivamente sarà strano esibirmi di fronte a una platea vuota. In realtà, sappiamo benissimo che Sanremo sarà guardato da milioni di persone e anzi, questa cosa, direi, preoccupa molto di più che avere mille persone davanti. La pressione e l’adrenalina che dà il pubblico esiste lo stesso, se soltanto pensi a quanta gente ti guarda da casa, Comunque stiamo facendo televisione, non un concerto, la maggior parte delle persone sarebbe stata comunque nelle proprie case. In questo senso, Sanremo è il miglior format per non avere il pubblico.
Vengo alla canzone in gara partendo da un estratto: “Roma, che è città di mare”, che in qualche modo corrisponde al vero…
Premetto che l’intera canzone ‘Santa Marinella’ l’ho scritta io ma non riguarda qualcosa che mi è successo. L’ho scritta dopo che un amico mi ha raccontato una sua storia d’amore. Questo amico non è di Roma, ma del Nord Italia, e un giorno mi disse proprio: “Roma è una città di mare”. E in effetti io, romano, non ci avevo mai pensato, c’è una brezza marina per la quale, anche se Roma non sta esattamente al mare, anche se il mare non lo vedi, comunque lo percepisci, lo senti.
‘Santa Marinella’: come, dove, quando e perché.
L’amico, che per un lungo periodo mi ha intrattenuto con la sua storia d’amore, mi trasmetteva le sue emozioni. Dopo un annetto, addirittura a storia finita, mi sono messo lì, un giorno, a casa, e mi è venuto naturale buttare giù tutto il testo, di getto. Mi è sembrato naturale scriverla così, ed è stata una cosa molto bella perché durante la scrittura, nonostante io facessi finta di essere un altro, ci trovavo molto di me. E alla fine, quello che dico, la sensazione liberatoria che provo cantando il ritornello, è veramente come fosse qualcosa che è successo a me. È stato un esperimento d’immedesimazione che non escludo di riutilizzare in futuro, perché non ha niente da invidiare a un’esperienza vissuta in prima persona.
Fulminacci si può definire rappresentante della scuola romana, a partire dal fatto che è romano. Eppure, per la sera delle cover hai scelto uno che sì, è nato a Roma, ma è cresciuto ad Arezzo e ha vissuto tanto al Nord…
Ho scelto ‘Penso positivo’ di Jovanotti perché è un pezzo opposto al mio, allegro, ritmato, veloce, con sonorità funky. Ho scelto di regalare al pubblico un momento di spensieratezza, di leggerezza, divertimento, anche perché in generale, sia nel primo disco che nel secondo, ho una doppia anima: mi piace scrivere ballad e cose più spensierate e ironiche. E siccome questa è un’occasione per farmi conoscere a un pubblico più vasto, ho deciso di sfruttarla per mostrare i miei due modi diversi di essere.
Ho origliato tra i tuoi ascolti. Singole cose, i Beatles tutti, e poi Elton John e Billy Joel, pianisti anche se sei chitarrista…
Tantissimo. È vero, nasco chitarrista, suono e scrivo con la chitarra, credo comunque sia bello usare entrambi e ho intenzione d’imparare a suonare il pianoforte, e di suonarlo bene. Qualcosa ho scritto al piano per il secondo disco e mi sono reso conto che cambia molto. Billy Joel ed Elton John hanno un modo di suonarlo che mi fa impazzire, il pop di quegli anni, con tanto pianoforte e quegli arrangiamenti, è qualcosa di meraviglioso. È un tipo di pop che ho ascoltato molto per la scrittura del secondo disco. Ci metto dentro anche la Electric Light Orchestra. E Jackson Browne, che si accompagna con entrambi…
Hai 23 anni, se mi dici il tuo primo ricordo di Sanremo è sicuro che me lo ricordo anche io…
Non ho una prima immagine. Ricordo una settimana bianca fatta coi miei genitori in Abruzzo, da bambino, a Rivisondoli. Alloggiavamo in un albergo e abbiamo visto un’edizione di Sanremo presentata da Paolo Bonolis. Non mi ricordo nemmeno il contenuto di quell’edizione, ma ricordo con emozione questo quadretto familiare di vacanza, per andare a sciare. Il Festival l’avevamo visto dalla stanza d’albergo. E non è molto diverso da quel che succede quest’anno…