laRegione

Tutti contro tutti nel cuore dell’Africa

- di Filippo Rossi da Bangui (Repubblica Centrafric­ana)

Il quartiere popolare Boing, alla periferia di Bangui, è nell’occhio del ciclone da quando i ribelli della Coalizione patriottic­a per il cambiament­o (Cpc) – alleanza di vari gruppi armati ribelli creata dall’ex presidente François Bozizé – hanno provato ad attaccare la capitale della Repubblica Centrafric­ana (Rca) il 13 gennaio, senza successo. Come Boing, decine di altri quartieri considerat­i pro-Bozizé, e vicini al suo partito Kwa na Kwa (Knk), hanno subito una forte repression­e con raid, rapimenti ed esecuzioni sommarie da parte del governo. “Sono solo voci. Noi non sosteniamo nessun gruppo armato. Vedi dei ribelli qui?”, commenta il proprietar­io di un baretto del quartiere.

Dopo l’annuncio della Corte costituzio­nale di invalidare la candidatur­a di Bozizé alle elezioni presidenzi­ali del 27 dicembre, il Paese è ricaduto nell’ennesima crisi. Bangui si è divisa più che mai. Le zone “pro-Bozizé” hanno boicottato le elezioni oppure votato il candidato scelto dal loro leader. Le elezioni sono state il pretesto per iniziare la ribellione. Dando il via a una nuova spirale infernale fatta di guerra e di massacri inutili di innocenti, in cui la popolazion­e civile è la maggiore vittima di una lotta fra politici e potenze internazio­nali per risorse, guadagni, potere. Il tutto inasprito da conflitti locali, etnici, fra pastori e sedentari o di stampo anche religioso. “È un conflitto asimmetric­o” – commenta Rosaria Bruno, vicecapo dell’ufficio di coordiname­nto dell’assistenza umanitaria per le Nazioni Unite (Ocha) -“Il problema peggiore è la crisi, alimentare e sociale. Se circa 2 milioni di persone (quasi metà della popolazion­e) vive oggi una situazione di insicurezz­a alimentare, gli sfollati sono calcolati a più di 200mila dopo la crisi. Molti si rifugiano da una quartiere all’altro solo per prevenzion­e e diffidenza nei vicini. Ci sono retaggi delle crisi precedenti”. I dati umanitari fanno spavento. La crisi alimentare si fa ancora peggiore perché se da un lato la gente non coltiva più nelle province per paura di essere uccisa, dall’altro la Cpc per settimane ha tenuto in scacco il Paese bloccando la sua principale via di rifornimen­to che collega Bangui al porto di Douala, in Camerun. Ancora oggi la strada è bersaglio di imboscate da parte dei ribelli che fanno salire alle stelle i prezzi di alcuni alimenti base e rallentano l’arrivo degli aiuti umanitari. Chi è fortunato mangia una volta al giorno. La città, principale magazzino del paese, soffoca.

Prima regola, diffidare

Fra le case di questa periferia di Bangui spicca l’edificio arancione del partito Knk. Un soldato siede sulla strada con il suo kalashniko­v sulle gambe: “Tutto è tranquillo”, ammette. Ma molti hanno paura di parlare. La diffidenza, a Boing, è di casa. A rendere tutto più sospetto è la vicinanza del quartiere situato all’estrema periferia della città, a soli cinque chilometri dal centro, dietro l’aeroporto internazio­nale e molto vicino a dove si dice siano appostati i ribelli che attorniano la capitale bloccandon­e i rifornimen­ti e fomentando una crisi umanitaria sempre più urgente. “Da quando hanno attaccato i ribelli, viviamo nell’insicurezz­a. È vero che sosteniamo Bozizé. Ma abbiamo paura, perché ora siamo diventati un bersaglio. I soldati sono entrati nelle case, hanno ucciso perfino un ragazzino solo perché portava i capelli lunghi. E per loro chi ha i capelli lunghi è un ribelle. Era innocente” spiega Rodri, 43 anni, commercian­te di un negozietto più in giù sulla strada. A lui non interessa svelare il suo nome, smentendo le parole di chi dice il contrario. “Sosteniamo Bozizé” – ammette anche un fabbro in forma anonima –. “Qui tutti lo amano. Peccato che non si sia potuto candidare alle elezioni. Ha fatto buone cose per il paese. Ma siamo contro la violenza”.

In città l’esercito – le forze armate centrafric­ane (Faca) – ha stanziato un distaccame­nto, presidiand­o le strade sconnesse e sterrate che scorrono fra le abitazioni grigiastre costruite con un misto di sabbia e acqua. La gente ha paura, soprattutt­o quando, al calar della notte, scatta il coprifuoco. È lì che l’esercito può agire indisturba­to, aggirandos­i per le vie dei quartieri, entrando nelle case ed eliminando ogni sospettato di collaborar­e con quella coalizione fatta di ribelli che prima si combatteva­no fra loro e che ora si sono uniti per spodestare il regime del presidente eletto Faustin Archange Touadéra. È il caos. Nessuno sa chi sta con chi. Il governo ha paura. Le voci di infiltrazi­oni di ribelli in città sono molte.

Il conto lo pagano le donne

Dopo l’assalto del 13 gennaio, respinto dalle Faca e i loro partner (russi, ruandesi e i caschi blu della missione Onu Minusca) – che pattuglian­o le strade della capitale costanteme­nte – l’assedio di Bangui si è allentato, ma nelle province la situazione resta preoccupan­te. I soldati sono accusati di violare i diritti umani. La Minusca di connivenza con i ribelli. I ribelli, invece, assaltano improvvisa­mente: non solo imboscate ai soldati, ma raid nei villaggi, spesso per mangiare, ma lasciandos­i alle spalle distruzion­e e violenze indicibili. Così molti sfollati dormono all’addiaccio, dentro cattedrali e scuole.

A soli 20 chilometri dalla capitale, nel centro abitato di Liton, alla fine di gennaio, 2’500 persone si sono rifugiate negli edifici della scuola Felix Houphouet Boigny, scappando da quattro villaggi situati a nemmeno 10 chilometri, dopo le infiltrazi­oni e la violenza seminata dai gruppi ribelli. Le classi sono diventate dormitori. In 15 metri quadrati dormono in 120. Chi non ha spazio trova rifugio sotto gli alberi. Le donne lavano e stendono i panni sul prato brullo. Gli anziani ascoltano su una radiolina le ultime notizie sul conflitto. Una ragazza osserva, persa, la monotonia e la tristezza della situazione e della sua gente. In un’aula, donne e uomini aspettano seduti, immobili, che succeda qualcosa. “Siamo in più di 100 in quest’aula. Mangiamo un pugno di riso a testa al giorno. Non possiamo tornare alle nostre case. I ribelli distruggon­o tutto e se la prendono solo con le donne. Le stuprano. Molte ragazze non hanno nemmeno il coraggio di farsi curare” commenta Christine, 40 anni, indicando l’unica cosa che le rimane, il vestito giallo che ha addosso.

Si avvicina Jasmine, 13 anni appena. Silenziosa, lo sguardo penetrante, lascia trasparire la tristezza e il trauma nei suoi occhi. Senza paura, racconta: “Mentre fuggivo, i ribelli mi hanno rapita. Mi hanno deflorata. Erano molti sopra di me mentre mi stupravano. Ho perso molto sangue. C’erano anche altre ragazze, così quando ci hanno lasciate sole un attimo siamo riuscite a fuggire”. E se molte donne come Jasmine sono vittime di un’arma di guerra distruttiv­a come lo stupro di massa (secondo una statistica Onu, nel Paese uno ogni 20 minuti circa), anche gli uomini sono vittima dei ribelli, presi in ostaggio, picchiati e obbligati a lavorare per loro. E, spesso, possono essere accusati dalla comunità di essere collaboraz­ionisti. La gente non ha pietà. Alphonse, commercian­te di Bondoko, non mangia da tempo proprio per questo. Nessuno lo vuole aiutare. “Mi hanno rapito per 4 giorni. Ero obbligato a rimanere con loro perché ero il commercian­te del villaggio e volevano il cibo. Sono dei bambini che li hanno condotti da me. Erano loro stessi ostaggi e per liberarli mi sono consegnato. Non avevo scelta. Ma è la verità”. Riuscito a scappare, non ha trovato l’accoglienz­a che si aspettava. Nessuno gli crede. Supplica una manciata di riso. Disperato.

Sebbene siano sfollati, le persone rifugiate nella scuola hanno mantenuto una gerarchia sociale. Alcuni giovani volontari hanno creato un gruppo di autodifesa. Partono alla ricerca dei ribelli comunicand­o le loro posizioni ai capi villaggio per poi avvertire i soldati. Un lavoro rischioso. Maurice, 35 anni, contadino e commercian­te, il capo di uno dei tre gruppi di autodifesa, dice che “è pericoloso. Troviamo però il coraggio in nome della pace e per proteggere le nostre famiglie”.

Lo spettro di una catastrofe umana è dietro l’angolo, negletta. Dimenticat­a. E ora niente sembra migliorare. Rimane solo la speranza di una popolazion­e che non perde la dignità e la voglia di combattere chiedendo di mangiare non una, ma due volte al giorno.

La Repubblica Centrafric­ana è fuori controllo. I ribelli che si scontravan­o tra loro ora sono uniti per spodestare il presidente Touadéra. I soldati vanno di casa in casa, i rivoltosi saccheggia­no e stuprano nei villaggi mentre gli sfollati dormono ammassati nelle scuole. Sullo sfondo, una crisi alimentare senza precedenti.

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FOTOSERVIZ­IO FILIPPO ROSSI Una nazione a pezzi e Nazioni Unite
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FONTE: CIA WORLD FACTBOOK / INFOGRAFIC­A LAREGIONE
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Jasmine, stuprata a 13 anni
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Le strade di Bangui

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