Aperture in Ticino, chiusure in Italia
Timori oltre confine per una terza ondata. Bellinzona resta più ottimista.
In Lombardia e in altre regioni italiane il virus ricomincia a mordere, e anche di qua dalla frontiera si vive l’ennesima sensazione di déjà-vu: proprio mentre i luoghi pubblici cominciano a riaprire, torna il timore che possa trattarsi di un sollievo fugace. Per ora, comunque, le autorità invitano a non trarre conclusioni precipitose. È questo il messaggio che traluce dal governo quando si porta l’esempio delle scuole; in Lombardia si assiste a una loro chiusura diffusa, ma Manuele Bertoli frena: «Chiudere le scuole mentre sono stati riaperti i negozi, un domani magari anche i ristoranti, sarebbe quantomeno strano – nota il direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport –. Naturalmente osserviamo i dati italiani, che preoccupano, ma consideriamo soprattutto i nostri dati, che invece rimangono buoni, pur in presenza di una ‘sostituzione’ tra contagio ordinario e contagio da varianti del virus. La scuola è pronta a qualsiasi scenario, ma finché sarà possibile, io spero fino a metà giugno, si andrà avanti in presenza».
Sempre a proposito di giovani, in Italia è dopo la diffusione delle varianti del virus tra gli adolescenti che in alcune zone si è deciso di ricorrere alla didattica a distanza. Intanto i rilevamenti sulla sieroprevalenza in Ticino mostrano che il 18% degli adolescenti è entrato in contatto col virus, una percentuale superiore alla media generale del 16%. Segno che ci si contagia anche a scuola, contrariamente a quanto spesso comunicato dall’esecutivo? Anche in questo caso Bertoli invita a non affrettare conclusioni fuorvianti: «Non saprei dare una risposta, che necessariamente deve essere data da chi ha competenze sanitarie. Il tasso di contagio comunque di per sé non dice nulla sul luogo del contagio. Quello che si è constatato dalle indagini del contact tracing è comunque che è la scuola a subire il contagio portato da fuori, non il contrario».
Controlli alle frontiere
L’aumento dei contagi in Italia riporta anche in primo piano il tema dei controlli alle frontiere, che il presidente del Consiglio di Stato ticinese Norman Gobbi ha sempre ritenuto auspicabili, e che sono adottati da molti paesi dell’area Schengen. Berna finora non sembra però d’accordo. Eppure «il fatto che la Germania domandi i tamponi ai frontalieri in entrata potrebbe essere un segnale anche per le autorità federali», afferma Gobbi. E aggiunge subito, non senza una nota polemica: «Ma Berna chiede sacrifici ai residenti dimenticandosi che in Svizzera entrano a lavorare 200mila persone». Bellinzona intanto insiste: «L’autorità cantonale ha ribadito in ben quattro lettere indirizzate al Consiglio federale l’importanza di controllare il flusso al confine, in particolare in una regione come la nostra in cui la mobilità transfrontaliera è elevatissima. Il problema lo conoscono. Spetta a loro intervenire».
VACCINAZIONI Modello inglese? Non in Ticino
Somministrare una sola dose al maggior numero di persone possibile. È quello che sta facendo l’inghilterra. Un modello ipotizzabile anche in Ticino? «No», ci risponde il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini. «Da noi non è un’opzione che viene considerata perché gli studi fatti si basano sull’inoculazione di due dosi a distanza di 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna. Giorni che si possono estendere fino a 42. Gli studi sono stati fatti seguendo questo schema, che ha portato poi a omologare i due vaccini con i dati di efficacia noti». Quello inglese è un modello che devia da quello riconosciuto dalle autorità sanitarie, spiega Zanini che ricorda come un cambio di rotta in Ticino dipenda da una decisione a livello federale. «Swissmedic – l’istituzione incaricata dell’approvazione dei farmaci, ndr – ha già detto quali sono le condizioni dell’omologazione e non si esprimerà sull’ipotesi di somministrare una sola dose, questo perché non ci sono gli studi sufficienti». L’ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) potrebbe comunque decidere di seguire la strategia inglese, ma così «si discosterebbe in modo esplicito dalle indicazioni di Swissmedic», dice il farmacista cantonale.
Peraltro, secondo Zanini somministrare una sola dose di vaccino non avrebbe attualmente molto senso: «Premettendo che in questa pandemia si viene spesso smentiti dagli eventi, il modello inglese aveva probabilmente più chances quando i quantitativi di vaccino erano molto bassi. Adesso dovrebbero aumentare, dunque non vedo la ragione per dare il 50 per cento di protezione a tante persone quando abbiamo la possibilità di garantirne mano a mano il 90-95 per cento».
In sostanza la Svizzera, come praticamente tutti gli altri stati, resta fedele al rispetto dei riscontri scientifici finora disponibili: «O crediamo all’importanza degli studi o crediamo all’importanza dell’improvvisazione», taglia corto Zanini.
IMMUNITÀ Anticorpi per almeno 6 mesi
In Svizzera una parte sempre più rilevante della popolazione possiede gli anticorpi che difendono l’organismo dal coronavirus, anche se si è ben lontani da qualsivoglia immunità di gregge. Lo confermano i risultati nazionali di Corona Immunitas, il programma che analizza l’immunità della popolazione. «Le persone con anticorpi sono nettamente aumentate rispetto alla prima ondata e sono arrivate fino al 20–25 per cento in certi cantoni», ha spiegato Milo Puhan, direttore dell’Istituto di epidemiologia, biostatistica e prevenzione dell’Università di Zurigo. Secondo lo studio, il 90 per cento delle persone infettate dal coronavirus presentava ancora anticorpi dopo più di sei mesi dall’infezione. ATS
LOMBARDIA A RISCHIO Nuove strette per un mese a partire da sabato
Roma – Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha firmato il suo primo Dpcm anti-Covid, che entrerà in vigore, per un mese, da sabato 6 marzo, includendo le feste pasquali. La principale novità riguarda le scuole: saranno tutte chiuse nelle zone rosse o dove l’incidenza del virus è di 250 casi per 100mila abitanti. Decisione che interessa diverse zone della Lombardia: Como e provincia sono arancione rafforzato e le scuole sono già chiuse. Con il nuovo Dpcm spetterà ai presidenti delle regioni arancioni decidere sull’apertura delle scuole. Se si chiude nelle regioni più a rischio, si provano aperture graduali nelle regioni gialle, dove i musei sono aperti durante la settimana. Dal 27 marzo nelle zone gialle riaprono teatri e cinema con posti preassegnati e a capienza ridotta. Restano chiusi palestre, piscine e impianti sciistici. ANSA/RED