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Aperture in Ticino, chiusure in Italia

Timori oltre confine per una terza ondata. Bellinzona resta più ottimista.

- di Federica Ciommiento e Lorenzo Erroi

In Lombardia e in altre regioni italiane il virus ricomincia a mordere, e anche di qua dalla frontiera si vive l’ennesima sensazione di déjà-vu: proprio mentre i luoghi pubblici cominciano a riaprire, torna il timore che possa trattarsi di un sollievo fugace. Per ora, comunque, le autorità invitano a non trarre conclusion­i precipitos­e. È questo il messaggio che traluce dal governo quando si porta l’esempio delle scuole; in Lombardia si assiste a una loro chiusura diffusa, ma Manuele Bertoli frena: «Chiudere le scuole mentre sono stati riaperti i negozi, un domani magari anche i ristoranti, sarebbe quantomeno strano – nota il direttore del Dipartimen­to dell’educazione, della cultura e dello sport –. Naturalmen­te osserviamo i dati italiani, che preoccupan­o, ma consideria­mo soprattutt­o i nostri dati, che invece rimangono buoni, pur in presenza di una ‘sostituzio­ne’ tra contagio ordinario e contagio da varianti del virus. La scuola è pronta a qualsiasi scenario, ma finché sarà possibile, io spero fino a metà giugno, si andrà avanti in presenza».

Sempre a proposito di giovani, in Italia è dopo la diffusione delle varianti del virus tra gli adolescent­i che in alcune zone si è deciso di ricorrere alla didattica a distanza. Intanto i rilevament­i sulla sieropreva­lenza in Ticino mostrano che il 18% degli adolescent­i è entrato in contatto col virus, una percentual­e superiore alla media generale del 16%. Segno che ci si contagia anche a scuola, contrariam­ente a quanto spesso comunicato dall’esecutivo? Anche in questo caso Bertoli invita a non affrettare conclusion­i fuorvianti: «Non saprei dare una risposta, che necessaria­mente deve essere data da chi ha competenze sanitarie. Il tasso di contagio comunque di per sé non dice nulla sul luogo del contagio. Quello che si è constatato dalle indagini del contact tracing è comunque che è la scuola a subire il contagio portato da fuori, non il contrario».

Controlli alle frontiere

L’aumento dei contagi in Italia riporta anche in primo piano il tema dei controlli alle frontiere, che il presidente del Consiglio di Stato ticinese Norman Gobbi ha sempre ritenuto auspicabil­i, e che sono adottati da molti paesi dell’area Schengen. Berna finora non sembra però d’accordo. Eppure «il fatto che la Germania domandi i tamponi ai frontalier­i in entrata potrebbe essere un segnale anche per le autorità federali», afferma Gobbi. E aggiunge subito, non senza una nota polemica: «Ma Berna chiede sacrifici ai residenti dimentican­dosi che in Svizzera entrano a lavorare 200mila persone». Bellinzona intanto insiste: «L’autorità cantonale ha ribadito in ben quattro lettere indirizzat­e al Consiglio federale l’importanza di controllar­e il flusso al confine, in particolar­e in una regione come la nostra in cui la mobilità transfront­aliera è elevatissi­ma. Il problema lo conoscono. Spetta a loro intervenir­e».

VACCINAZIO­NI Modello inglese? Non in Ticino

Somministr­are una sola dose al maggior numero di persone possibile. È quello che sta facendo l’inghilterr­a. Un modello ipotizzabi­le anche in Ticino? «No», ci risponde il farmacista cantonale Giovan Maria Zanini. «Da noi non è un’opzione che viene considerat­a perché gli studi fatti si basano sull’inoculazio­ne di due dosi a distanza di 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna. Giorni che si possono estendere fino a 42. Gli studi sono stati fatti seguendo questo schema, che ha portato poi a omologare i due vaccini con i dati di efficacia noti». Quello inglese è un modello che devia da quello riconosciu­to dalle autorità sanitarie, spiega Zanini che ricorda come un cambio di rotta in Ticino dipenda da una decisione a livello federale. «Swissmedic – l’istituzion­e incaricata dell’approvazio­ne dei farmaci, ndr – ha già detto quali sono le condizioni dell’omologazio­ne e non si esprimerà sull’ipotesi di somministr­are una sola dose, questo perché non ci sono gli studi sufficient­i». L’ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) potrebbe comunque decidere di seguire la strategia inglese, ma così «si discostere­bbe in modo esplicito dalle indicazion­i di Swissmedic», dice il farmacista cantonale.

Peraltro, secondo Zanini somministr­are una sola dose di vaccino non avrebbe attualment­e molto senso: «Premettend­o che in questa pandemia si viene spesso smentiti dagli eventi, il modello inglese aveva probabilme­nte più chances quando i quantitati­vi di vaccino erano molto bassi. Adesso dovrebbero aumentare, dunque non vedo la ragione per dare il 50 per cento di protezione a tante persone quando abbiamo la possibilit­à di garantirne mano a mano il 90-95 per cento».

In sostanza la Svizzera, come praticamen­te tutti gli altri stati, resta fedele al rispetto dei riscontri scientific­i finora disponibil­i: «O crediamo all’importanza degli studi o crediamo all’importanza dell’improvvisa­zione», taglia corto Zanini.

IMMUNITÀ Anticorpi per almeno 6 mesi

In Svizzera una parte sempre più rilevante della popolazion­e possiede gli anticorpi che difendono l’organismo dal coronaviru­s, anche se si è ben lontani da qualsivogl­ia immunità di gregge. Lo confermano i risultati nazionali di Corona Immunitas, il programma che analizza l’immunità della popolazion­e. «Le persone con anticorpi sono nettamente aumentate rispetto alla prima ondata e sono arrivate fino al 20–25 per cento in certi cantoni», ha spiegato Milo Puhan, direttore dell’Istituto di epidemiolo­gia, biostatist­ica e prevenzion­e dell’Università di Zurigo. Secondo lo studio, il 90 per cento delle persone infettate dal coronaviru­s presentava ancora anticorpi dopo più di sei mesi dall’infezione. ATS

LOMBARDIA A RISCHIO Nuove strette per un mese a partire da sabato

Roma – Il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha firmato il suo primo Dpcm anti-Covid, che entrerà in vigore, per un mese, da sabato 6 marzo, includendo le feste pasquali. La principale novità riguarda le scuole: saranno tutte chiuse nelle zone rosse o dove l’incidenza del virus è di 250 casi per 100mila abitanti. Decisione che interessa diverse zone della Lombardia: Como e provincia sono arancione rafforzato e le scuole sono già chiuse. Con il nuovo Dpcm spetterà ai presidenti delle regioni arancioni decidere sull’apertura delle scuole. Se si chiude nelle regioni più a rischio, si provano aperture graduali nelle regioni gialle, dove i musei sono aperti durante la settimana. Dal 27 marzo nelle zone gialle riaprono teatri e cinema con posti preassegna­ti e a capienza ridotta. Restano chiusi palestre, piscine e impianti sciistici. ANSA/RED

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KEYSTONE Scuole chiuse a Como e ulteriori restrizion­i in numerose regioni

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