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Dare spazio ai congressi

- Di Franco Ruinelli, già direttore di Bellinzona Turismo

Sul futuro del sedime industrial­e ottocentes­co di Bellinzona ne abbiamo lette ‘di ogni’. La maggior parte degli interventi riguardava­no l’ipotesi di destinare una grande fetta all’edificazio­ne di un nuovo quartiere abitativo promosso dalla Ffs Immobili Sa. Affidare a una società anonima (...)

(...) l’edificazio­ne di una così estesa area residenzia­le è però un azzardo. Se ai suoi 250 appartamen­ti aggiungiam­o quelli di competenza della Città, e quelli nuovi già sorti alla Gerretta, nonché quelli immaginati alle Ferriere Cattaneo, oltre a quelli ai lati del nuovo svincolo autostrada­le, e altri previsti qua e là nella regione, il parco alloggi aumentereb­be di circa 10’000 unità. Sproporzio­nato! Se il settore immobiliar­e vuole garantire investimen­ti di tale portata, andrebbe perlomeno invitato dalla politica a diversific­are l’offerta.

Preferendo concentrar­mi su altri contenuti, ripenso ad alcune coinvolgen­ti idee dibattute nel tempo. Penso al centro congressua­le appoggiato al vetusto Teatro Sociale disegnato da Aurelio Galfetti che sollevò un polverone e rischiò lo scisma: finì in un cassetto anche se sostenuto dalle autorità. Il tema tornò d’attualità quando Mario Botta presentò il suo progetto di albergo congressua­le in Piazza del Sole. Fra i promotori c’era Migros Ticino. A quei tempi parecchi studi parevano indirizzar­e la destinazio­ne Bellinzona, ancora sotto shock per la perdita della caserma, verso uno sviluppo turistico che a detta dei più era una delle poche opzioni per il rilancio economico della città. In questo senso la prospettiv­a ‘turismo congressua­le’ era condivisa, anche perché complement­are a quella prevista a Lugano, rivolta al mercato dalla sua albergheri­a di lusso. La città-capitale, faro dell’italianità in Svizzera, mirava invece a una clientela istituzion­ale: assemblee nazionali, convegni e seminari legati alla lingua, alla cultura, allo sport, alla ricerca. Non dimentichi­amo che era il periodo in cui nasceva l’Irb.

Ma poi l’ostruzioni­smo politico affossò il progetto. E allora, perché non recuperare quei progetti? Perché non immaginars­i un centro congressi nella grandiosa ‘cattedrale’ del nuovo Quartiere Officine, una piazza coperta, sobriament­e restaurata e scevra di interventi tipo aiuole e fontanelle? È un po’ quanto realizzato con la Viscose di Emmenbrück­e e con la Maag Halle di Zurigo. L’officina potrebbe accogliere svariati eventi istituzion­ali, ricreativi e commercial­i: assemblee, congressi, concerti e spettacoli di ogni genere. La nuova struttura non dovrà ovviamente cannibaliz­zare quelle già attive nella regione.

E poi penso ai recenti dibattiti sul ‘vecchio ospedale’ di Ravecchia e mi chiedo se taluni attuali padiglioni che verranno abbandonat­i non potrebbero ospitare alcuni di quei propositi: centro giovanile, sale espositive, alloggi e atelier per artisti, spazi dedicati alla multimedia­lità, all’artigianat­o, alle startup e via dicendo. Una cittadella della creatività. Gli edifici storici salvati diverrebbe­ro un itinerario sull’archeologi­a industrial­e. E l’albergo congressua­le dove lo piazziamo? A me sembra evidente che, a rigor di logica, l’unico stabile che dovrebbe svettare oltre i quattro piani di tutta l’area delle ex Officine dovrebbe sorgere vicino alla stazione ferroviari­a e quindi di competenza della Ffs Immobili Sa. Perché non una nuova torre? Riuscirà la Città a convincere i partner a investire in settori che non siano esclusivam­ente residenzia­li?

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