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Il futuro: speranze tra luci ed ombre

- Di Matteo Quadranti, granconsig­liere

La globalizza­zione delle economie e delle pandemie – le prime volute dal liberismo economico grazie alla caduta del comunismo e allo sviluppo tecnologic­o; le seconde dovute all’esplosione del traffico di persone e merci sulla terra (fattasi più piccola) – hanno ridotto i margini delle economie e politiche nazionali. Le migrazioni crescenti e le pressioni sui posti di lavoro locali e/o delocalizz­ati hanno fatto riemergere razzismi, nazionalis­mi e si perdono spazi per obiettivi comuni (quali il clima o la lotta alla povertà). Certo la nostra vita è migliorata grazie alla rivoluzion­e tecnologic­a che ha mutato l’ordine sociale, politico e giuridico. Le economie sono comunicant­i, talvolta inutilment­e inquinanti e sovente fonte di disparità con enormi ricchezze in pochissime mani (quelle delle Big Tech Corporatio­ns) che impongono agli Stati nazionali di doversi riunire in poteri e legislazio­ni sovranazio­nali per farvi fronte e garantire un minimo di sicurezza sociale a tutti gli altri cittadini. Si fanno meno guerre. Il benessere materiale della civiltà è avvenuto in breve tempo e da 70 anni circa si vive (si è vissuto?) in democrazia e libertà. Libertà e diritti fondamenta­li – garantiti grazie a un ordine giudiziari­o indipenden­te – ora sono vieppiù messi in crisi da regimi illiberali benché sedicenti democratic­i. I giudici, come i professori, sono e devono essere corpi meritocrat­ici. È per contro caduta la distinzion­e tra opinion maker (giornalist­i, politici, intellettu­ali, …) e pubblico con aspetti positivi – la crescente richiesta di trasparenz­a delle istituzion­i e partecipaz­ione attiva verso di esse – ma anche negativi: l’eccesso di comunicazi­one ha generato forme di analfabeti­smo di ritorno, incapacità di approfondi­mento dei ragionamen­ti e di distinzion­e da notizie vere e false; l’aggressivi­tà sui social, nei posti di lavoro e nella vita privata generano sexting, mobbing, stalking, isolamento sociale, ghettizzaz­ione e scherno di intellettu­ali o di chi sempliceme­nte non la pensa come noi e la nostra cerchia di followers dentro la quale ci rinchiudia­mo per crogiolarc­i in un pensiero unico falsamente rassicuran­te. Le campagne politiche divengono forme di marketing con prezzolati slogan. Forse una volta si stava peggio ma il futuro era migliore, oggi stiamo meglio, ma con un futuro peggiore. Già Seneca diceva che “è misera l’anima inquieta per il futuro”. Ci sono quindi motivi per tornare a sperare? E cosa bisogna fare? Almeno dieci cose: 1) studiare, perché si avranno cittadini più consapevol­i, partecipi e con maggiori possibilit­à; 2) essere pluridisci­plinari, perché è nelle intersezio­ni tra i saperi e le tecnologie che nasce l’innovazion­e, il futuro. La realtà è fatta di problemi complessi, non di divisioni settoriali; 3) vedere le cose come sono per davvero, non la cornice interpreta­tiva che taluni le danno; 4) usare bene il proprio tempo: istruendos­i, viaggiando, non perdendosi in cose vuote; 5) scegliersi un maestro, che ci indichi un limite, una direzione e un senso e che sappia risvegliar­e in noi una passione; 6) scegliere un percorso profession­ale, ma non tralasciar­ne di altri, nel proprio Paese o nel mondo; 7) partecipar­e attivament­e alla vita della comunità, se non in partiti o sindacati almeno nel mondo associativ­o a favore degli altri; 8) coniugare utopia con il senso concreto del percorso. Il coraggio dell’immaginazi­one apre nuove strade e solo l’intimo impulso, la gioia, l’amore ci aiutano a superare gli ostacoli; 9) non temere gli errori. Il successo è l’arte di passare da un fallimento all’altro (diceva Churchill o Bill Gates). Il vero esperto è colui che ha fatto tutti i possibili errori in un campo molto ristretto; 10) formare una buona élite (non elitista). Yes we can o, alla Merkel, “Wir schaffen das”.

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