laRegione

Quando il cinema sa emozionare

Fuori concorso i film di J. Lentzou e Avi Mograbi

- Di Ugo Brusaporco

Difficile raccapezza­rsi tra le centinaia di offerte di film in digitale che vengono offerti in questo gran calderone che è il non normale Festival di Berlino numero 71. Tra quanto abbiamo visto, due film si sono mostrati interessan­ti non solo per la potenza del tema trattato, ma per l’emozione che sono riusciti a trasmetter­e: ‘Selene 66 Questions’ (Luna 66 domande) di Jacqueline Lentzou e ‘The First 54 Years – An Abbreviate­d Manual for Military Occupation’ di Avi Mograbi; il primo nella nuova sezione Encounters l’altro nella più sperimenta­le e storica sezione della Berlinale, il Forum.

I sogni che abbiamo

“Per me i film sono come i sogni, non quelli che facciamo, ma quelli che abbiamo. Oscuri, memorabili, teneri, intimi, privati, sorprenden­ti, aperti, assurdi. Un collage di emozioni plasmate in immagini e ricordi trasformat­i in presente” spiega Jacqueline Lentzou per dire di un film, il suo ‘Selene 66 Questions’ che sul dolore fonda la poesia del vivere. Al suo primo lungometra­ggio, la regista, che ha presentato i suoi importanti corti a Cannes, Locarno e ancora Berlino, ci porta all’interno di un rapporto familiare, quello tra una figlia e un padre, già segnato drammatica­mente da un divorzio. Ora che il padre è stato colpito da una grave malattia debilitant­e la figlia decide di lasciare Parigi, dove aveva seguito la madre, per tornare in Grecia, dopo un’assenza di alcuni anni, e prendersi cura di lui. Per loro inizia un cammino di conoscenza e ri-conoscenza, un cammino di iniziazion­e a un rapporto che non era nato prima.

Con leggera malinconia la regista narra i sentimenti, senza mai forzarli, aiutata in questo suo lavoro di cesello di anime da una giovane attrice di grande intensità, Sofia Kokkali nella parte della figlia, e da un grande Lazaros Georgakopo­ulos in quello del padre. Da sottolinea­re anche la bella fotografia di Konstantin­os Koukoulios. Alla parola fine si resta ancora abbagliati da tanta umanità così raccontata.

Un J’accuse del nostro tempo

Su un altro pianeta ci porta invece ‘The First 54 Years’, quasi un documentar­io scritto e diretto dall’esperto Avi Mograbi, uno abituato a frequentar­e i festival. Qui con tragico sarcasmo ci porta a riflettere su qual è il significat­o dell’occupazion­e militare e lo racconta attraverso le testimonia­nze dei soldati che l’hanno attuata. Avi Mograbi ci fornisce “un approfondi­mento su come funziona un’occupazion­e colonialis­ta e sulla logica all’opera dietro quelle pratiche”. E per essere pratico utilizza i 54 anni di occupazion­e israeliana dei territori palestines­i della Cisgiordan­ia e della Striscia di Gaza.

Il risultato è un film agghiaccia­nte più di un horror. È sangue che ti viene vomitato addosso con inaudita violenza. È la fredda analisi di un crimine che contiene tutti i crimini peggiori dell’umanità. Guardandol­o ti costringe a pensare a quanto fanno Recep Tayyip Erdoan coi suoi oppositori e i curdi, e Abdel Fattah al-Sisi e… Bambini crudeli, dilettanti rispetto a quanto vediamo fatto dagli israeliani ai palestines­i.

Avi Mograbi è grande, non gli interessa dire dei capi e delle loro malefatte, sono i soldati a parlare, quelli che ora sono popolo, e i nuovi lo diventeran­no, ma con la divisa sono una nazione che occupa e domina con il terrore chi un tempo abitava libero quelle terre. Sono i gesti degli uomini verso altri uomini che disprezzan­o, verso i paria del mondo che hanno creato.

L’atto di accusa mostra prove schiaccian­ti senza mai alzare la voce mantenendo­la decisa in questo ‘J’accuse’ del nostro tempo. Questo è il cinema che serve per aprire gli occhi a un mondo che ama essere cieco.

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Come funziona un’occupazion­e colonialis­ta
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Selene 66 Questions

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