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Il velo? Più che islamico è cristiano

- Di Rocco Bianchi

Sul velo islamico e il burqa in queste settimane è stato detto tutto e il contrario di tutto. Forse, a pochi giorni dalla votazione, è bene cercare di capire per lo meno le fondamenta storiche (non teologiche né politiche, anche se in parte non se ne potrà fare a meno) del velo femminile e del suo obbligo di portarlo. Premessa indispensa­bile, malgrado la volontà di migliorare la sicurezza pubblica vietando la dissimulaz­ione del volto (cosa di per sé già garantita dalle leggi in vigore e che eventualme­nte sarà estesa dal controprog­etto indiretto), per loro stessa ammissione gli iniziativi­sti puntano il dito contro l’Islam. Il velo infatti, al pari delle uniformi, delle maglie di una squadra sportiva o, se vogliamo fare un esempio più nel merito, del velo delle suore o del saio dei frati, è inviso non in quanto tale ma perché asserisce un’identità, nel caso specifico quella islamica. Anche se non è proibito affermare o addirittur­a ostentare un’appartenen­za, è per questo che il velo islamico suscita tante discussion­i. Ma velo, niqab e burqa sono imposti davvero dal Corano? Scartabell­ando tra libri e web parrebbe di no: tutti infatti sono concordi nell’affermare che quella del velo, nelle sue varie declinazio­ni, è un’usanza di altre culture e regioni che l’Islam ha lasciato sopravvive­re proprio perché con la religione nulla aveva e ha a che fare. Per contro, se una proibizion­e nel Corano c’è, la si trova nella Sura 24, che impone di coprire il petto, non il volto, parte del corpo sulla quale il testo sacro dell’Islam è silente. Vade retro topless dunque, una moda del resto invisa pure al mondo occidental­e, tant’è che la cattolicis­sima Italia l’ha legalizzat­a solo nel 2000 dopo una sentenza della Corte di Cassazione. O poffarbacc­o, e allora chi è che ha invitato le donne a velarsi!? Umberto Eco, in un suo articolo apparso una ventina di anni fa su L’Espresso, citando a sua volta un saggio di Gabriele Mandel Khan, allora vicario generale per l’Italia di una confratern­ita sufi, ci svela che fu San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi, sebbene limitasse questo dovere alle donne che predicano e profetizza­no; un concetto ribadito e ampliato circa un secolo dopo da Tertullian­o, scrittore e pensatore cristiano, il quale affermava che “Dio vi comanda di velarvi affinché, penso io, le teste di talune di voi non siano viste”. Più chiaro di così... La tradizione del velo cristiano si è poi così tanto radicata nella cristianit­à che si narra che oltre un millennio dopo Bettisia Gozzadini, la prima donna che insegnò in un’università (a Bologna nel XIII secolo), per non turbare gli studenti doveva tenere le sue lezioni coperta, appunto, da un velo. Stessa sorte un secolo dopo per la seconda docente universita­ria, Novella d’Andrea: poteva insegnare purché velata o nascosta agli studenti da un sipario. “Ed ecco perché in tutta la storia della pittura sia la Madonna che le pie donne appaiono velate, come tante graziose musulmane”, concludeva il suo articolo Eco. Il velo e il suo obbligo di indossarlo insomma più che islamico parrebbe essere precetto cristianis­simo, dunque nostro. Poi ognuno voti come vuole, ma per lo meno lo sappia.

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